Gli storici italiani mettono in guardia il Parlamento sul disegno di legge contro il negazionismo. Di nuovo. Già a ottobre, infatti, avevano chiesto alle Camere di approfondire la riflessione sull’atto del Senato numero 54, che fra l’altro punisce con il carcere fino a tre anni e una multa fino a 10mila euro chi fa apologia, nega o minimizza crimini di genocidio (come la Shoah), contro l’umanità e di guerra «come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale». Il rischio paventato è che la verità storica sia sottoposta a decisioni politiche, norme di legge o decisioni dei giudici, e che le posizioni negazioniste ottengano indebita visibilità.
L’allarme è rimasto inascoltato, finora: la proposta è stata approvata dalla Commissione Giustizia del Senato e questa settimana sarà discussa in Aula. Gli storici, quindi, hanno chiesto un incontro al presidente del Senato, Pietro Grasso. L’appello alla riflessione e all’incontro è sostenuto da tutte le associazioni degli storici, dagli antichisti ai contemporaneisti, e da una serie di fondazioni ed enti di ricerca, come l’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia (Insmli), l’Istituto Sturzo, la Fondazione Basso e la Fondazione Gramsci, ci dice Marcello Flores, direttore scientifico dell’Insmli, professore di Storia comparata all’università di Siena e direttore presso la stessa università del master europeo in diritti umani e studi sul genocidio. Flores è stato promotore dell’appello di ottobre e con lui abbiamo parlato dei problemi della proposta al vaglio delle Camere.
Intendete riferire al presidente del Senato Pietro Grasso gli aspetti “inutili, inapplicabili e dannosi” del disegno di legge. Quali sono?
Premetto che la richiesta nasce da due esigenze diverse, perché non tutti sono d’accordo: gran parte degli storici è contraria tout court a una legge sul negazionismo mentre altri la ritengono giustificata ma non accettano la versione attuale. Cambiamenti sono stati suggeriti, ma non sono stati neppure presi in considerazione. Il primo difetto della legge in discussione è la sua inutilità: nei prossimi cinque anni potrà forse colpire uno o due docenti universitari, nomi noti che fanno del negazionismo una piccola battaglia ideologica. Peraltro, incriminarli darebbe grande rilievo a questi personaggi squalificati e senza ascolto. Inoltre, poiché questa legge riguarda la negazione non solo dei genocidi ma anche dei crimini di guerra e non si specifica in base a che cosa si dovrebbe trattare degli uni o degli altri, si lascia ai magistrati la più ampia arbitrarietà. Un conto è se c’è il giudizio di un tribunale internazionale, ma se non c’è come ci si dovrebbe comportare? Senza contare che in alcuni casi i giuristi internazionali sono discordi sulle decisioni dei tribunali internazionali, ad esempio sui fatti di Srebrenica, che il tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia ha definito genocidio pur non individuando alcun responsabile. Se invito nella mia università il professor Stanton (Gregory H. Stanton, esperto negli studi sui genocidi nda), secondo il quale i fatti di Srebrenica non costituiscono genocidio, e lui parla di questo, un giudice di Siena dovrebbe mettergli le manette? Immagino che molti promotori di questa legge volessero colpire il negazionismo che diventa odio razziale e antisemita nel web e negli stadi, ma al riguardo c’è già la legge Mancino e le altre che sanzionano l’odio razziale e l’istigazione a delinquere; quelle bastano a punire chi si comporta così, ma non sono mai state usate. È evidente che il problema è un altro. Che poi si scelga la Giornata della Memoria per tirar fuori una proposta di legge che suscita perplessità è un’azione strumentale e disgustosa. Credo che la senatrice Silvana Amati del Pd e il senatore Lucio Malan del Pdl siano i principali responsabili di questo.
Si rischia che lo Stato diventi l’arbitro della Storia?
Sì, nella fattispecie di crimini di guerra e genocidi. Certo, nel caso della Shoah c’è una tale condivisione che solo una persona disturbata, ignorante della Storia e che vuole avere audience può portare avanti una battaglia pseudoscientifica su questo terreno. Ma invece di puntare su una grande campagna d’informazione si cerca di penalizzare comportamenti indefiniti.
Il provvedimento è troppo vago?
Sì. Ma anche se si specificasse che sono da considerare crimini di guerra quelli sanzionati come tali da tribunali internazionali, teniamo conto che i giudizi riguardano i comportamenti di singoli individui, non gli eventi nel loro complesso.
Che cosa accadrebbe se il disegno di legge fosse approvato così com’è?
Penso che accadrebbe ben poco. Fra l’altro, se anche un cittadino denunciasse un sito web per un’affermazione che nega la Shoah, se quel sito ha sede alle isole Cayman o chissà dove nessuno potrà chiamare in giudizio il proprietario. Ci sono poi i libri di storici veri ma discutibili che negano che quello degli armeni sia stato genocidio; che si fa, si cita in giudizio anche se non ci sono pronunce di tribunali internazionali? Sul Ruanda, un tribunale internazionale ha emesso giudizi di genocidio, su singoli casi; se il libro paranegazionista su quel Paese con prefazione di Noam Chomsky sarà tradotto che cosa facciamo, incriminiamo Chomsky che voleva dare spazio a una voce che, diceva, ha diritto al dibattito?
Come dovrebbe essere corretto il disegno di legge? O lo si dovrebbe proprio cestinare?
Personalmente credo si dovrebbe cestinare perché non ce n’è bisogno, ma alcuni colleghi pensano si debba inserire un riferimento esplicito alla Shoah e solo ad essa, come avviene nella legge francese e di altri Paesi. Altri ritengono sia possibile inserire Shoah e altri genocidi ma solo se la negazione è direttamente collegata all’istigazione della violenza e al razzismo, non solo alla semplice proposizione di un’idea. Il Parlamento dovrebbe ascoltare storici e giuristi sulla questione, non perché abbiano la verità in tasca ma perché ne discutono da tempo.
Come si può intervenire contro il negazionismo sul piano educativo, culturale e mediatico?
C’è l’imbarazzo della scelta. Basterebbe favorire percorsi educativi e iniziative al riguardo, magari affidandole a una commissione specifica che valuti e scelga progetti. In passato ci sono state tante iniziative, alcune più funzionanti di altre, ma non può lasciare la questione alla buona volontà di singoli istituti, provveditorati e Regioni. In quanto all’intervento sui media, basterebbe ricordare come nella seconda metà degli anni ’70 il serial Holocaust (serie tv statunitense nda) fu visto in tutto il mondo e rese la Shoah un fenomeno collettivo, mentre fino a quel momento se ne era parlato poco e la maggiora parte del pianeta la ignorava. Si può discutere sul fatto che potesse essere fatto meglio, ma almeno c’è stato. Nelle tv italiana le iniziative per il Giorno della Memoria sono una buona cosa, ma sarebbe necessaria una maggiore attenzione anche nel resto dell’anno.
E se le affermazioni negazioniste arrivano da un docente universitario in cattedra?
Si dovrebbe vedere che dice, e comunque casi del genere si sono contati sulle dita di una mano negli ultimi dieci anni; vogliamo emanare una legge solo per loro? Meglio un’inchiesta ministeriale con possibilità di sanzioni, e anche -ma dipende dai presidi- discussioni fra docenti e studenti che non si riducano a un dibattito sulla libertà d’insegnamento.
La diffusione del negazionismo è responsabilità indiretta anche dell’inerzia di politici e giornalisti?
Non direi. Conta più ciò che accade in rete, dove formalmente qualsiasi idea ha pari dignità, anche le stupidaggini. Da questo punto di vista inviterei a non identificare antisionismo e antisemitismo. Spesso chi è antisionista o comunque critico verso lo Stato d’Israele, per rafforzare la sua posizione può scadere nell’antisemitismo sulla base dell’ignoranza, parlando di lobby e complotti ebraici. Dall’altro lato, chi difende lo Stato d’Israele non può accusare di antisemitismo chi ne critica l’operato, perché favorisce l’irrigidimento della contrapposizione. Spesso antisionismo e antisemitismo hanno una ripresa in seguito a certe iniziative dello Stato d’Israele, come l’occupazione dei territori palestinesi.