martedì, 28 Marzo
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Ginevra 2 vista da Amman

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Amman – I preparativi sono stati complicati. Numerosi slittamenti e il continuo timore, fino quasi all’ultimo minuto, che l’appuntamento potesse saltare. Alla fine, Ginevra 2 si terrà; a Montreaux stanno arrivando, in queste ore, le varie delegazioni, e domani partiranno i colloqui.

L’importanza del vertice ha assunto proporzioni ben più ampie del benessere della popolazione siriana: c’è una linea da difendere che taglia di netto la Siria e congiunge il Golfo Persico col Mediterraneo, e in gioco c’è un nuovo bilanciamento dei poteri del Medio Oriente, non ultimo, il nuovo protagonismo della Russia nell’area. Lo storico accordo sancito fra Usa e Iran -Iran che non sarà presente al tavolo- fornisce una chiave di lettura chiara degli interessi in discussione.

Ad oltre mille giorni dall’inizio delle manifestazioni popolari e pacifiche che chiedevano un ampliamento dei diritti e riforme che traghettassero il Paese nel terzo millennio, qualunque forma di dialogo sembra impossibile, il Paese è dilaniato da una guerra che nulla ha a che fare con le istanze che erano alla base delle manifestazioni dell’inizio della ‘primavera’ siriana, una guerra per procura. Con l’Alto Commissariato per i Rifugiati che stenta a trovare i sei miliardi di dollari necessari per gli aiuti ai quattro milioni di sfollati, e stime che quantificano in cento miliardi di dollari  i costi per alimentare il conflitto.

E il virus siriano oramai si è allargato all’intera area.
In primo luogo in Libano, divenuto un ring di messaggi di sangue, sempre più preoccupato della possibilità di una guerra civile, e costretto a gestire il milione di profughi che si sono riversati al suo interno mettendo in ginocchio il suo welfare e le sue infrastrutture, oltre a sfasare completamente ogni meccanismo economico interno.
Ma anche qui, nella piccola Giordania, che con il conflitto siriano è stata la prima a confrontarsi, con una massa di profughi che oramai hanno dato vita al quarto agglomerato urbano più grande del Paese, Zaatari.

Domani il vertice avrà inizio, ma la probabilità che si tratti di un vertice risolutivo è praticamente nulla, già sarebbe tanto se il vertice segnasse un ritorno alla politica e al dialogo vero, in questa area dove politica e dialogo si sono spenti da troppo tempo.

Musa Shteiwi è il Fondatore e Direttore del Jordanian Center for Social Research, un centro di ricerca focalizzato sullo sviluppo dei Paesi della regione, oggi al lavoro  sulle trasformazioni che stanno prendendo piede nell’area dopo le ‘primavere’. “Il nostro lavoro”, dice “ha subito un significativo aumento dagli anni novanta, in concomitanza col surriscaldamento regionale in seguito alla Prima guerra del Golfo”.

 

E il conflitto siriano come impatta?
L’impatto della crisi siriana sulle economie dei Paesi limitrofi, in particolare della Giordania, è forte e classificabile su diversi livelli di ingerenza. Il momento iniziale è stato sicuramente devastante, poiché ha determinato uno sconvolgimento dell’intero assetto dei rapporti. Ha ridotto sensibilmente il livello di scambi, e non si parla naturalmente solo delle importazioni fra Paesi ma, se si considera la posizione geografica, questo ha determinato la chiusura del corridoio di scambio verso l’Europa, aumentando così il danno in maniera esponenziale. La conseguenza naturale è stata l’instabilità, e non parlo di instabilità conclamata o contagiata, ma della percezione dell’instabilità nella popolazione. Il secondo livello è quello dell’enorme flusso di rifugiati, oltre ogni aspettativa  -in Giordania è pari al 20% della popolazione- di cui lo Stato deve prendersi cura. Si rifletta poi sulla competizione per trovare un posto di lavoro, oltre che sulle infrastrutture, a livello formativo, sanitario, ordine sociale etc. Ha determinato inflazione. Il Paese deve trovare un accordo con il paese confinante quando questo Paese è afflitto da una guerra civile, proteggere i propri confini al fine di evitare un contagio e schierare le proprie forze armate e soprattutto di intelligence. Tutto questo ha un peso economico forte.

La situazione in Siria oramai è molto confusa. Chi sta combattendo in Siria in questo momento?
Se parliamo dell’opposizione abbiamo innanzitutto una parte di popolazione siriana, composta da cittadini dissidenti ed ex militari. Ci sono schieramenti che fanno riferimento ad Al-Qaeda ed Al-Nusra. Vi sono combattenti giunti in Siria da una moltitudine di Paesi stranieri per prendere parte agli scontri. I gruppi che combattono sappiamo essere alcune volte indipendenti, ma anche supportati in vari modi da potenze straniere come Turchia, Qatar, Arabia Saudita. Questi gruppi non sono stabili e talvolta oltre che combattere la fazione opposta filo-governativa si scontrano fra di loro. Dall’altro lato abbiamo il Governo e la fazione lealista, supportata chiaramente da Hezbollah e dallo schieramento minoritario di origine irachena, a loro volta supportati da Russia e Iran.

Perchè non si è riusciti arrivare a una soluzione politica prima, quando era chiaro oramai da tempo che solo una soluzione politica poteva risolvere il conflitto?
Questo punto è molto importante. Quando la situazione siriana è cambiata, cioè quando la resistenza è divenuta militarizzata, gradualmente la popolazione civile siriana ed i suoi sistemi rappresentativi politici hanno perso il loro potere ed il loro ruolo, le loro forze politiche e di dialogo sono venute meno, coinvolgendoli nel conflitto o facendoli sentire autorizzati a farlo. Questo ha determinato l’ampliamento dello scontro a livello regionale ed il coinvolgimento di forze straniere, che non hanno dimostrato nessun interesse per il perseguimento delle finalità originali della rivoluzione, come il conseguimento di maggiori diritti della popolazione, ma sembrano avere interesse solo a instaurare un proprio potere all’interno dello Stato (futuro). La difesa del regime a questo sistema ha creato degli scontri su più livelli, impossibili da accordare, la conseguenza è la situazione odierna.

Chi, allora, è l’interlocutore giusto per trattare a Montreaux? L’Iran, dopo queste ultime 24 ore, non ci sarà, mentre ci sarà l’opposizione, che non sarebbe stata presente se fosse intervenuto l’Iran.
Di sicuro il regime è un interlocutore di diritto, visto che il maggior potere è ancora detenuto a Damasco, dal lato opposto, i gruppi che lottano per il cambiamento. E dovrebbero essere lì anche i vari rappresentanti regionali ed internazionali coinvolti.

L’opposizione era pronta a non intervenire se fosse stato presente l’Iran …  
Perchè questi gruppi non sono indipendenti, ed i loro sponsor non hanno interesse che questo processo vada a buon fine. A livello di posizione sul territorio non hanno appiglio nè radicalizzazione politica.. La loro richiesta è che il regime abbandoni il potere, e chiariamoci, non è una richiesta illegittima,  ma in una logica di guerra, di guerra civile e in una logica di potere in generale, le richieste avanzate devono essere proporzionate alla forza della propria posizione. Sanno di non avere abbastanza forza per poter ottenere risultati in un tavolo di trattativa e quindi la scelta più logica è disconoscerlo.

Sarà un summit fallimentare?
Questo dipende da cosa si intende per fallimentare. Ritengo estremamente importante che un processo politico abbia inizio. La politica, al momento, può risolvere alcuni temi del conflitto, può trovare un accordo per la protezione dei rifugiati e per questo è importante che il processo abbia inizio. Per altri aspetti, le trattative riguarderanno i partner internazionali coinvolti, ed i tempi di risoluzione saranno lunghi, ma possiamo considerarlo un primo passo. Un passo importante sarebbe stata anche la presenza dell’Iran al tavolo. Il problema dell’Iran è l’antagonismo con l’Arabia Saudita, ma avere nella trattativa Turchia e Arabia, che sono alleati,  senza la presenza dell’Iran, che ha  un ruolo forte nei poteri in gioco in Siria, non produrrà effetti stabili. Un’eventuale pace non sarebbe completa. Qualunque accordo ci fosse stato a Ginevra fra gli sciiti iraniani ed i sunniti sauditi avrebbe prodotto effetti su tutta la regione. Questo era il motivo dell’importanza della presenza di entrambi a Ginevra.

Quale la posizione degli osservatori europei in un contesto come questo?
Il regime ha una strategia, e l’opposizione pure. Ma man mano che il tempo passa le Nazioni Unite e gli altri Stati europei iniziano a capire che, in questa situazione, smantellare il regime produrrebbe un disastro, per ciò che riguarda il bilanciamento dei poteri nella regione. Il regime non può essere smantellato dall’interno, ma dev’essere smantellato dall’esterno, poiché detiene il controllo della parte più influente di territorio e non sarà disposto a cedere il suo potere, e, come già detto, le opposizioni non hanno abbastanza potere per abbatterlo.

Cosa è legittimo attendersi da questo summit?
Nella migliore delle ipotesi trovare un accordo umanitario con le milizie per garantire protezione per i profughi e un cordone di sicurezza per i rifornimenti. E possibilmente gettare le basi per un dialogo che possa proseguire. La peggiore delle ipotesi è che fallisca, che si facciano accordi che prescindano dal reale peso delle forze in campo. In quel caso si dovranno trovare interlocutori diversi nel territorio e sappiamo per certo che gli Usa non andrebbero a cercarli fra i membri di Al-Nusra, poiché sono gruppi terroristici. In quel caso la guerra continuerà, finchè questi interlocutori non verranno trovati. Purtroppo non credo che la soluzione dei problemi verrà fuori da Ginevra2.

 

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