In occasione della Giornata della Memoria, ha forse senso chiedersi cosa resta oggi di quegli eventi. La memoria di cui si parla è davvero conservata delle persone che, per ragioni anagrafiche, non hanno vissuto quegli eventi? Come si guarda oggi alla Shoah? In un momento di grande difficoltà politica e di fronte alla crisi migratoria, in Europa si assiste ad una recrudescenza dei nazionalismi e di sentimenti di diffidenza e odio nei confronti del “diverso”.
In questo contesto, l’Ordine degli Psicologi dell’Emilia Romagna (OPER), ha pubblicato uno studio su quei meccanismi mentali che rendono possibili dei comportamenti inumani. Si è avuto modo di osservare che anche le persone più pacate, conformandosi all’autorità e all’atteggiamento della maggioranza, possono trasformarsi in efficientissimi ingranaggi nella macchina dello sterminio.
Secondo i Professori Alexander Haslam e Stephen D. Reicher «chi compie atti feroci e spietati, in sottomissione e in conformità a una autorità, non si uniforma in modo passivo. Questi esecutori, infatti, tendono ad adattarsi agli ordini in modo attivo e partecipato, mettendo in atto un processo di identificazione con chi esercita il potere che spaccia azioni atroci e disumane per atti virtuosi, arrivando a credere che quello che stanno facendo è giusto. Chi ordina o compie delle atrocità ha svolto un lungo lavoro di elaborazione mentale, più o meno consapevole. L’operazione mentale che ha compiuto gli ha permesso di ‘negare’ la persona perseguitata, eliminandone l’identità. L’altro, attraverso un processo psicologico di reificazione, viene spogliato dell’umanità e reso un oggetto, un simbolo da distruggere, un numero da cancellare da una lista».
Il discorso sulla percezione della Shoah al giorno d’oggi, valido per tutta l’Europa (e non solo), ha ancora più valore se applicato alla Germania dove, oltre alla consapevolezza di ciò che è accaduto, è necessario fare i conti con il senso di colpa, con la consapevolezza che una larga fetta di responsabilità ricade sulle spalle dei propri antenati. Cos’è oggi, per i tedeschi la Shoah? Come viene vissuto ed elaborato il senso di colpa per il passato?
Per approfondire l’argomento, abbiamo parlato con il Professor Gian Enrico Rusconi, storico, politologo e filosofo, esperto del mondo tedesco.
Quale è stato e come si è evoluto l’atteggiamento della politica tedesca nei confronti della Shoah?
in generale la cultura e la società tedesche hanno impiegato un certo tempo non tanto a riconoscere quello che era successo, perché lo si sapeva o lo si intuiva anche durante la guerra e oggi si viene a sapere che c’erano delle informazioni, ma la dimensione di quello che noi chiamiamo Shoah o Olocausto è venuta fuori poco alla volta. Questo può essere interpretato in maniera maliziosa o in maniera benevola: maliziosa nel senso che non volevano sapere; benevola nel senso che non si avessero in effetti le idee chiare sulle dimensioni enormi della cosa.
Il Governo ha preso due strade: da un lato il riconoscimento della grande responsabilità anche dello Stato e della società tedesca, non semplicemente del regime hitleriano, nei confronti dello sterminio degli ebrei e degli altri, perché giustamente oggi si allarga lo sguardo anche ai Rom o agli omosessuali anche se l’antisemitismo in senso stretto è stato la dimensione più ampia; dall’altro lato, come Governo, ha avuto un atteggiamento molto positivo e propositivo nei confronti di Israele.
Non è che il problema della Shoah si risolva nei rapporti del Governo tedesco, in particolare quello federale, rispetto a Israele, però gran parte della comunicazione è passata di qui: a un certo punto Israele ha fondato la sua identità storica su questo evento e in particolare i tedeschi son rimasti coinvolti. Per esempio la Germania, già negli anni ’50, ha sostenuto e finanziato lo Stato: in qualche modo ha fatto anche delle compensazioni monetarie. Insomma, c’è stato un rapporto privilegiato che è un modo indiretto di riconoscere quello che era successo.
Quindi c’è una dimensione culturale interna e poi c’è una dimensione più diplomatica.
All’interno, poi, si è fatto anche molto progresso recentemente con la legge per cui sostenere che non ci sia stato lo sterminio degli ebrei è diventato un reato punibile per legge e non è più considerato semplicemente un’opinione sbagliata. È una cosa molto importante e anche molto discussa e discutibile: la Germania, ma anche altri Stati, considerano la negazione dell’Olocausto come un fatto penalmente punibile. Questa è una cosa molto importante e non è avvenuta immediatamente ma lentamente, col passare degli anni e dei decenni.
Ci sono state differenze tra l’approccio della Repubblica Federale Tedesca (FDR o BRD) e quello della Repubblica Democratica Tedesca (DDR)?
Sì e no. Nel caso della DDR, certamente si è riconosciuto l’Olocausto (e questo era inevitabile), ma non gli è stata data quell’enfasi così forte che gli fu data della Repubblica Federale. Inoltre ci sono stati i rapporti un po’ polemici con lo Stato di Israele per ragioni politiche: tutti i Paesi comunisti, in un certo momento, non erano molto filo-israeliani, ma lì interveniva la politica. Qui si introduce un discorso oggi ancora attuale: esiste l’anti-semitismo e l’anti-sionismo; si può essere assolutamente critici dello Stato di Israele ma non avere nessun pregiudizio anti-semita.
La posizione della DDR non è stata come quella della Germania Occidentale: forse più che la DDR furono in particolare la Polonia e la stessa Russia a ridimensionare il discorso. I polacchi soprattutto temevano che l’eccesso di interesse verso la situazione degli ebrei avrebbe in qualche modo nascosto il fatto che la Germania, quando ha invaso la Polonia, ha trattato i polacchi in maniera altrettanto dura, attuando quasi un genocidio : il piano era di trattare i polacchi, non come gli ebrei che alla fine sono stai sterminati, ma di privarli non solo di uno Stato ma anche di una cultura; si voleva fare in modo che i polacchi non potessero studiare e si trattò di un genocidio virtuale, un vero crimine contro l’Umanità. Nell’ottica dei polacchi si è notato che con gli ebrei si è fatto un grande processo auto-critico mentre nel loro caso si è stati un po’ più elusivi.
Come si è intervenuti dal punto di vista dell’educazione?
Un discorso molto interessante e molto positivo viene fatto a scuola perché i ragazzi vengono informati dell’Olocausto fin dalle prime classi: fa parte proprio della storia e della cultura. È molto impressionante perché, avendo insegnato per alcuni anni in Germania, ho visto come questi ragazzi hanno un atteggiamento religioso di fronte all’Olocausto. Si tratta di una sorta di Religione Civile: si sono resi conto dell’enormità e del senso di corresponsabilità storica.
Colpa può essere una parola un po’ equivoca e in ogni caso la responsabilità ce l’hanno i nonni o al limite i padri.
Quello che viene fatto a scuola è davvero straordinario: anche i critici più feroci della Germania di oggi, e ce ne sono tanti, su questo punto devono riconoscere che il lavoro fatto a scuola è stato enorme e la cultura dominante è abbastanza sensibile.
E giustamente i tedeschi di oggi si arrabbiano quando vengono rappresentati come nazisti, quando si parla di quarto reich, quando si disegnano baffetti di Hitler sulle immagini della Merkel: si tratta di grandi stupidaggini e la risposta ad affermazioni del tipo “voi siete i soliti nazi” diventa facilmente “e voi siete i soliti mafiosi”. Questo fa decadere il dibattito ad un livello inaccettabile… questa è subcultura nel senso deteriore del termine.
Come influisce il senso di colpa e l’elaborazione dello stesso nella politica reale dei Governi tedeschi? Ad esempio, come ha influito nella difficile Crisi dei Migranti?
È il solito discorso che è venuto fuori soprattutto con la Grecia. La linea del cosiddetto Rigore che i Governi tedeschi sono riusciti ad imporre all’Europa, che non convince più nessuno e che ha provocato il caso Grecia che è stato molto estremo, è stata un po’ attribuita a questo carattere che a suo tempo aveva creato il nazismo: certamente ci sono certi tratti caratteriali come una certa ostinazione, ma non penso si dovrebbe fare un cortocircuito del genere.
Atteggiamenti del genere rovinano il dialogo e impediscono di avanzare delle critiche ragionate. Sulla Crisi dei Migranti c’è una parte che è ancora maggioritaria ed è quella che sostiene la Merkel, che ha accettato il migrante e lo ha fatto ricordando anche questa cosa, ma in senso positivo intendendo la sensibilità al problema come un dovere per un popolo che ha dei debiti. Gli altri hanno usato un argomento diverso puntando sul fatto che si tratti di estranei che non si lasciano integrare e che il popolo tedesco resti svantaggiato.
Quale è stato e come si è evoluto invece l’atteggiamento della popolazione? C’è stata una evoluzione dal dopoguerra ad oggi?
Ci sono stati tanti genocidi, si pensi a quello degli Armeni del 1915 o a ciò che succede ora in Siria. Certo il caso dell’Olocausto è stato davvero enorme. tanto più che è stato praticato da un popolo che aveva una cultura che mediamente era superiore alla media europea. Non si tratta più di un massacro ma di una cosa scientifica. E non è messa in atto da quattro criminali: nelle Università c’erano le cattedre di razzismo, credevano al concetto di razza.
Il famoso ’68, che da noi è legato ad altre cose, lassù era collegato proprio al fatto di tirar fuori dai propri padri e genitori le ragioni di un colpevole silenzio: è stata una rottura notevole.
Soltanto oggi c’è questa piena consapevolezza di quello che è accaduto e si è venuta a creare una specie di Religione Civile, un atteggiamento di pentimento e di senso di colpa: Religione Civile significa un senso di cultura diffusa e di sensibilità.
Quindi si può dire che l’atteggiamento si è evoluto positivamente, nel senso che il riconoscimento storico delle responsabilità è fuori discussione, specialmente nelle nuove generazioni. I tedeschi sono invece molto irritati dal fatto che il richiamo al loro passato venga ritirato fuori in modo improprio in alcune circostanze: i giovani riconoscono senza esitare le responsabilità storiche del proprio Paese, però anche loro cominciano ad essere seccati di essere identificati ogni volta come tedeschi nel senso antico e deteriore del termine. I ragazzi che vanno in Germania con il Progetto Erasmus scoprono che questi giovani tedeschi non sono affatto i “nipoti dei cattivi”.
Anche in questo caso, ci sono differenze tra chi viene dalle ex aree della DDR e chi da quelle della Repubblica Federale?
Adesso si dice che statisticamente questi movimenti di estrema destra hanno radici più nelle regioni orientali che in quelle occidentali. Certamente bisogna introdurre anche delle spiegazioni strutturali: l’impoverimento, ad esempio. Si tratta però di un dato di fatto. Non imputerei al Governo della DDR la responsabilità di un discorso del genere, salvo per la minore sensibilità verso l’argomento. Semmai si potrebbe imputare al sistema della DDR che era anche sbagliato sul piano educativo. Il socialismo rimaneva una cosa puramente ideologica e sono anche stati facilmente assimilati molti ex-simpatizzanti nazisti perché bastava “convertirsi” per essere “assunti”, invece in occidente la cosa era più complicata. Si può quindi capire perché chi viene da quelle regioni lì sia più aperto alle tematiche dei populismi. Inoltre, come anche in Italia con i fascisti, non fu attuato un vero e proprio processo di epurazione e molte persone compromesse col regime rimasero nelle istituzioni anche ad alto livello e per molto tempo.
Alternative für Deutschland (AfD) propone una netta revisione delle colpe tedesche e, alle prossime elezioni, è quotato tra il 12% ed il 15%: esiste un rischio reale di un ritorno in auge di movimenti filo-nazisti in Germania?
In Germania sta montando quello che, con un termine corrente, si chiama populismo.
In Germania c’è sempre stato un Partito “nazista” che non può essere buttato fuori dal Parlamento perché non dice apertamente che l’Olocausto sia stato tutta una menzogna e un’esagerazione, che anche i tedeschi sono stati colpiti e così via, ma dice una cosa molto più sottile: “smettiamola con i sensi di colpa, smettiamola con la cultura della colpa”. Questo è quello che sottilmente sta accadendo.
Questo movimento si chiama Alternative für Deutschland e non è neo-nazi: ha assorbito i neo-nazisti, ma non ha ufficialmente un’ideologia neo-nazi; accetta la Costituzione, accetta i diritti fondamentali, riconosce l’Olocausto, però dice “smettiamola con la cultura della colpa”. È la distinzione tra revisionismo e negazionismo. Revisionismo vuol dire tentare di ridimensionare il peso di ciò che è accaduto ad esempio affermando che prima del lager c’è stato il gulag, che quella è stata la condizione logica che ha portato ad Auschwitz e che quella è la “priorità” della discussione: quasi un tentativo di scaricamento di colpa. Tutto questo, però, senza mai negare la Shoah. Ci fu un tempo in cui c’era questa ossessione di contrapporre il nazismo allo stalinismo: si facevano i conti su chi ne avesse ammazzati di più. È pericoloso schiacciare AfD sul neo-nazismo: la questione è più sottile.
Non direi che esista un rischio di recrudescenze neo-naziste in senso stretto: AfD tira fuori il concetto di Völkisch che vuol dire popolare e che è un concetto che i nazisti hanno portato all’estremo. Il concetto di Volk, a differenza di quello di People, è proprio un concetto etnico e di conseguenza tende ad escludere il diverso e il primo diverso è l’ebreo. Il concetto di Völkisch, nella cultura tedesca ha intrinsecamente un virtuale anti-semitismo, il che è un fatto culturale.
Il concetto viene prima del nazismo: il nazional-socialismo aveva radici in un anti-semitismo e in un razzismo precedente che, tra l’altro, era molto diffuso in Francia. Il nazismo ha portato all’estremo qualcosa che stava sotto.
Questo concetto è stato restaurato dalla AfD: bisogna stare molto attenti perché non sta tornando fuori un nazismo vero e proprio, sta tornando fuori questa idea del Völkisch, dell’etnico, del popolo in senso razziale. Questa idea del Popolo che ora sta venendo fuori è molto insidiosa perché è stata proprio questa la forza del nazional-socialismo: il concetto di Volk esclude per definizione “gli altri” fino ad arrivare, nel caso degli ebrei, alla deumanizzazione.
Se da un lato lo Stato ha messo in atto un processo di auto-critica, maturazione ed elaborazione del passato, dall’altro esiste un substrato culturale in cui questa idea di Volk è tuttora presente: si tratta di una subcultura.
Ci sono movimenti in altri Paesi europei che hanno posizioni simili o che simpatizzino per AfD?
Il problema è allargabile a tutta l’Europa in senso generale.
Se guardiamo a casa nostra: Salvini, che fino a cinque anni fa era contro la Nazione, oggi è diventato un nazionalista come Le Pen, ma io non direi per il “lepenismo” le stesse cose che posso dire per AfD. Poi c’è da noi questa cosa equivoca che sono i 5 Stelle che, in maniera molto confusa, sono anche loro populisti in quanto anti-establishment, anti-sistema, anti-classe politica. Questo per dire che il populismo è diverso perché tira fuori tante cose perché è fondamentalmente un “No”: un No al sistema, un No a questa classe politica, un No all’Europa, un No all’Euro… a quel tempo il No era un No all’ebreo mentre oggi la cosa è più complicata.