Poi dici che l’elettore, il cittadino, si stufa e ti manda a quel paese… Nel puzzle dell’arena politica italiana si può provare a mettere in fila le varie tessere, e a fine disegno, comunque, non si garantisce una logica; che ci sarà, ma non intellegibile, piuttosto appartiene all’imperscrutabile.
Si può cominciare con il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Acqua cheta per definizione, da quando è entrato a palazzo Chigi, ha fatto del volo rasoterra la sua virtù e fortuna. Da tempo i sondaggi di gradimento lo premiano. Surclassa Matteo Renzi e gli altri leader del Partito Democratico e ormai ha consolidato una immagine di politico affidabile, alieno da promesse avventate. Quando si affaccia, come l’altro giorno alla festa nazionale de ‘l’Unità’ a Imola (Pochi chilometri dall’ormai rosata Bologna) è uno scroscio di applausi sinceri, abbracci e strette di mano; visiva rappresentazione di un ‘popolo’, quello del PD, comincia a vedere un possibile percorso fuori da quel mare dei Sargassi in cui la navigazione renziana lo ha portato.
Gentiloni, vuoi per calcolo, vuoi per indole continua nel suo percorso di ‘forza tranquilla’ e rassicurante. Con cura evita polemiche e scontri diretti. Con sapienza riesce a dribblare le questioni più spinose. Gli chiedono un parere sulla spinosissima vicenda Consip e le polemiche tra la procura di Modena e il colonnello Sergio De Caprio, più conosciuto come ‘Ultimo’. Da Renzi a tutti gli altri esponenti del partito, hanno denunciato il clima di ‘eversione’ e di ‘colpo di Stato’; il Ministro della Difesa Roberta Pinotti senza troppi giri di parole chiede al comando generale dei Carabinieri di indagare sulla congruità delle rese dichiarazioni di ‘Ultimo’ e la loro veridicità. Gentiloni? Come un Budda serafico: «Non mi abbandono a giudizi di questo tipo»; conferma insomma una vicinanza in linea di principio con Renzi, ma non fa sua la levata di scudi dei renziani; e anche quando gli domandano esplicitamente quale sia la differenza tra il PD e il Movimento 5 Stelle, è ben attento a evitare di cadere nella trappola: «Il lavoro che faccio non mi consente di fare polemiche partitiche».
Sintesi di questo discorso: Gentiloni non ‘tradisce‘ Renzi; non fa nulla che non possa essergli rimproverato: non alimenta una leadership alternativa; e del resto non ne ha neppure bisogno: sono i fatti da soli ad accreditare che sia più lui, di Renzi, a essere quotato per un ritorno a palazzo Chigi. Questo è un primo fatto.
Il secondo fatto: quello che accade all’interno del PD. Le armi sono affilate da tempo; ora si attendono solo i risultati delle elezioni regionali in Sicilia. Non sono un test nazionale, si sgola Renzi. Eccome se lo saranno.
Il PD ne uscirà con le ossa rotte, di questo un po’ tutti ne sono consapevoli, e non tutti dispiaciuti. L’ennesima sconfitta verrà imputata a Renzi, e hai voglia di ricordare che alle primarie ha vinto con il 70 per cento dei consensi. La sua linea politica comporta l’ennesima sconfitta, dal referendum alle regionali. Come uscirne? Anche se le varie componenti della sinistra che si muove a fianco e dentro il PD sono tutt’altro che unite, una qualche forma di ‘assemblaggio‘ alla fine verrà trovata: e non sarà la ‘zuppa’ dell’Ulivo prodiano, ma sarà un pane bagnato piuttosto simile, che comprenderà il Movimento dei Progressisti di Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema, il movimento di Giuliano Pisapia, e chi si accoderà. Leader di questo ‘assemblaggio’ deve per forza di cose essere qualcuno che non ha vocazioni e comportamenti divisivi; al contrario, deve essere suadente e paziente; una goccia che scava la roccia. Molti si augurano -e neppure troppo nascostamente- che Renzi, non di sua volontà beninteso, sia costretto a dare esecuzione a quella promessa fatta alla vigilia del referendum costituzionale: tornarsene a casa, dalla famiglia. Il possibile ticket non divisivo c’è: Gentiloni e con lui Marco Minniti (anche se quest’ultimo non è nelle grazie di D’Alema e di parte della sinistra non PD); ma entrambi hanno incassato, per esempio, il prezioso sostegno vaticano. Gentiloni per ragioni anche storiche e famigliari. Minniti la sua investitura l’ha avuta il diretta dal Pontefice, che notoriamente quando è in aereo è più autenticamente ‘lui’ e dice quello che a Roma magari può uscire ‘condizionato’ dalle diplomazie della gerarchia ecclesiastica. Alla fine, se riusciranno a superare lo ‘scoglio‘ Renzi, le varie ‘anime‘ nel PD e attorno al PD, non foss’altro perché necessità fa virtù, troveranno la quadra. In caso contrario, sono tanti che rischiano seriamente di vedere un’aula parlamentare solo dagli scranni del pubblico.
Ci sarà magari il problema di un segretario del partito non divisivo. Ma perché no, un Dario Franceschini, e magari coadiuvato da un Michele Emiliano e un Andrea Orlando? Cosa non si farebbe per l’unità del partito e del movimento progressista in generale?