“Il mondo d’oggi non è più quello del tempo in cui Bertolt Brecht scrisse Vita di Galileo, uno dei suoi più celebri capolavori. Ma cosa ci racconta Brecht che possa continuare ad avere la sua forza nella nostra epoca? Ci mostra le figure della Corte Medicea raccolte attorno a Ferdinando II ed al suo figlioletto Cosimo, rifiutarsi di gettare lo sguardo attraverso il cannocchiale che il grande scienziato ha donato al Granduca. La metafora, sapientemente e ironicamente illustrata, è che il Potere non vuole mai guardare nel cannocchiale, il Potere non vuole conoscere la Verità. Il sistema, come si è detto dopo, non può cambiare: è quanto del resto si è tornati a sentir dire in questi giorni in ricordo della morte e dell’opera di Pasolini…Il sistema c’impone di consumare di più in modo che possa autoalimentarsi, ci vuole tutti uguali e indifferenti…”.
Già, l’omologazione. Sta dunque qui nel conflitto tra Potere e Verità, l’attualità del messaggio che ha spinto Gabriele Lavia a rendere omaggio a Giorgio Strehler e a mettere in scena questa Vita di Galileo? “Sì, è questo il messaggio che ancor oggi si può cogliere nel capolavoro brechtiano, che ho voluto riproporre all’attenzione del pubblico a molti anni di distanza da quella straordinaria messinscena di Giorgio Strehler al Piccolo di Milano. Quello spettacolo, rappresentato nel ’63, è forse quello che mi ha colpito di più nella mia vita: ero un ragazzo e non avevo mai veduto prima niente di simile. Da lì ebbi una forte spinta ad intraprendere poi l’attività teatrale, come attore e regista. Memorabile l’interpretazione di Tino Buazzelli, indimenticabili le scene di Luciano Damiani, i costumi, le luci, la regia di Strehler. Quest’opera di Brecht è un capolavoro assoluto, un testo di una bellezza vera e sconvolgente, che avevo in mente di rappresentare già da diversi anni. Naturalmente la storia è andata avanti, il nostro mondo è diverso da quello di allora e noi lo rappresentiamo in maniera diversa, pur nella fedeltà al testo”.
Un kolossal che, nell’attuale panorama teatrale è già di per sé un evento, quasi uno spettacolo d’altri tempi, con 26 attori sulla scena che interpretano 130 personaggi, costumi in copia, musiche dal vivo interpretate dai musicisti della Scuola di Musica di Fiesole, l’astrolabio, cannocchiali ed altri oggetti in scena. Dell’attualità o meno del suo Galileo ne parliamo con il Maestro, impegnato in questi giorni fino al 12 novembre con la sua Vita di Galileo al Teatro della Pergola di Firenze, co-produttore insieme al teatro Carignano di Torino, dello spettacolo.
“Volevo fare un’opera non seriosa, ma molto seria e impegnata anche come sforzo produttivo”. E il pubblico l’apprezza. Lo dico perché ne sono stato testimone, seguendo con grande attenzione l’intero spettacolo che dura 4 ore e 20’ sottolineando con applausi i momenti salienti. In questo si discosta dalla solennità con cui Strehler ha rappresentato Brecht: “Volevo che avesse un taglio di grande leggerezza, a tratti cabarettistico, con musiche dal vivo, cantanti e movimento sulla scena, com’era spesso in talune rappresentazioni del teatro brechtiano, dal forte timbro espressionista, penso a Maagony, all’Opera da Tre soldi o anche a Madre Coraggio. E comunque volevo rendere un omaggio a Strehler al quale è dedicata”.