mercoledì, 29 Marzo
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Fuori dalla crisi? Il caso lettone

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Almaty – Mentre il dibattito teorico sulle scelte macroeconomiche contro la crisi finanziaria degli ultimi anni si svolge nei circoli accademici e di policy, a colpi di articoli scientifici e di grafici cartesiani, le ricadute economiche sui cittadini sono molto dolorose. Questa la lezione che ci offre la Lettonia, il Paese-cavia delle politiche di austerità, il modello fiscale e monetario per l’uscita dalla crisi. A difendere le scelte ‘conservatrici’, economisti del calibro di Christine Lagarde del Fondo Monetario Internazionale e Anders Åslund, economista ex consigliere dell’ex-primo ministro Valdis Dombrovskis. Paul Krugman, premio Nobel per l’economia, ha criticato duramente la politica dei tagli senza stimoli. La scelta tra il modello lettone e quello islandese sta facendo arrovellare i cattedratici delle facoltà di economia e gli impiegati dei ministeri delle finanze di tutta Europa.

Tra le storie che arrivano dalla Lettonia, oltre al tragico crollo del tetto in un centro commerciale di Riga, bisogna anche prendere nota dei 1500 operai delle acciaierie Liepājas Metalurgs, che stanno ricevendo le lettere di licenziamento, dopo un lungo periodo di cassa integrazione. Secondo i lavoratori, la colpa è degli azionisti di maggioranza che avrebbero riciclato e nascosto i proventi di una fabbrica definita ‘sana’ dagli operai. La disoccupazione giovanile, insieme a quella adulta, rappresentano due facce della stessa medaglia: i giovani emigrano e contribuiscono ad altre economie europee, gli adulti in età matura devono riciclarsi come possono e vanno a occupare i pochi posti rimasti liberi.

La Lettonia ha avuto due fisici come ultimi primi ministri, proprio durante la crisi economica. La dimestichezza che questi ebbero con i numeri (e con la batteria di Roger Taylor al concerto dei Queen del 2008) si è dimostrata valida per risalire, almeno secondo le statistiche, dalla discesa libera che aveva coinvolto il Paese. Della ripresa, dell’accesso alla moneta unica e delle risposte dei cittadini abbiamo parlato con due importanti osservatori della situazione lettone: Morten Hansen, preside della facoltà di economia della Stockholm School of Economics in Riga, e Rayyan Sabet Parry, redattore della testata ‘The Baltic Times’.

Morten Hansen, cosa ha fatto la Lettonia per evitare la crisi prima del 2007? Oggi esiste un dibattito su un modello economico diverso da quello esistente?

La Lettonia non aveva mosso un dito. Nessuna misura fu presa per rallentare il boom della crescita, che avrebbe inevitabilmente causato un grande ‘botto’: la crisi. Il piano del marzo 2007 per ridurre la domanda è un classico esempio di ‘too little too late’. Troppo poco e troppo tardi, una frase che ben riassume l’atteggiamento lettone di quegli anni.

Oggi il dibattito è stato messo da parte. La nuova legge sulla disciplina fiscale ha come obiettivo quello di evitare gli eccessi fiscali e le spese fuori bilancio.

Cosa ha causato la crisi e come hanno reagito i lettoni?

Il boom portò nelle casse dello stato dei guadagni fiscali esagerati, mai visti prima. I soldi delle tasse sono stati spesi tutti nel settore pubblico, per aumentare i salari della pubblica amministrazione e il numero degli impiegati. Un atteggiamento pro-ciclico che poco si addice a uno sviluppo economico ‘normale’. L’austerity va vista soprattutto come un ritorno a una situazione ‘normale’ dove l’economia non cresce del 10% all’anno, il che significa stabilità.
Per i lettoni, la crisi economica, è stata dura: la disoccupazione ha superato il 20% e i sussidi sono venuti a mancare. Per questo, in molti hanno deciso di emigrare, altri si sono trasferiti nelle zone rurali per vivere di agricoltura di sussistenza. Diverse aziende hanno aumentato le loro attività ‘in nero’.

Quali sono state le conseguenze del cambio fisso tra Lat e Dollaro?

Su questo ognuno ha opinioni diverse. Alcuni sostengono che la svalutazione del Lat avrebbe potuto alleviare i problemi. Insieme ad altri, invece, io sostengo che una svalutazione potrebbe aver portato al collasso della moneta, che a sua volta avrebbe messo a dura prova la capacità delle famiglie e delle aziende di ottenere e ripagare i prestiti. In questo modo, il settore bancario ne avrebbe sofferto ancora di più.

Ryyan Sabet Parry, cosa succede adesso, con l’entrata della Lettonia nella moneta unica europea?

L’entrata nell’eurozona potrebbe dare più stabilità monetaria e attrarre più investimenti dall’estero, secondo l’opinione politica prevalente. Gli scettici dicono che l’euro non è una moneta forte e stabile, indicando la crisi che ancora è avvertita. I prezzi, quasi sicuramente aumenteranno e le preoccupazioni giornaliere dei cittadini si dirigono principalmente verso gli effetti che la mossa avrà per le proprie tasche, senza guardare al dibattito teorico.

Infine, cosa ci dite della fuga dei lettoni all’estero durante gli anni della crisi?

Hansen: “I numeri sono certamente enormi, ma erano già grandi anche prima della crisi, durante il boom. Molti analisti si concentrano sulla Lettonia, ma io non credo che i numeri siano tanto diversi da quelli lituani, per esempio”.

Sabet Parry: “C’è un enorme esodo di persone dalla Lettonia. Cercano lavoro altrove. Gli stipendi rimangono bassi e al tempo stesso la Lettonia rimane unto tra i Paesi europei più poveri in termini di PIL pro capite. Le destinazioni preferite sono Irlanda, Regno Unito e Germania”. 

 

 

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