L’Italia, dunque, agli occhi francesi torna ad essere europeista e di nuovo nel gruppo di Paesi determinanti?
Certamente.
Durante il primo Governo Conte, oltre alla polemica di Matteo Salvini sui migranti, era stato il M5S, con la visita del Capo politico e Vicepremier, Luigi Di Maio, ai gilet gialli, ad innescare una crisi diplomatica senza precedenti tra l’Italia e la Francia che decise, per protesta, di richiamare il proprio ambasciatore. Cosa è cambiato?
Il problema era essenzialmente legato al fatto che la Lega e Fratelli d’Italia hanno incarnato, senza discontinuità, un partito anti-francese. E questo con una forte legittimazione, con Matteo Salvini che in modo esplicito diceva di essere contro l’Europa di Macron. E con Macron che diceva di se stesso, in vista delle europee, di essere contro l’Europa dei Salvini e degli Orban.
Una retorica che faceva comodo ad entrambi.
Esatto. Poi c’è stato l’episodio del M5S, estremamente maldestro da un punto di vista diplomatico. Ci sono state anche delle dichiarazioni piuttosto fantasiose da parte dei cinque stelle sulla politica economica francese in Africa e sul Franco CFA che certamente non sono state apprezzate, ma anzi hanno innescato la crisi. Tuttavia, questo governo Conte Bis, avendo mostrato la discontinuità molto forte, come ha manifestato il Presidente Conte nell’ultimo discorso di fiducia al Senato. E penso che in modo pragmatico abbia recepito questa discontinuità, dopo aver registrato il voto favorevole del M5S a Ursula Von der Leyen. Per questo credo si possa ripartire da zero, con un’agenda più pragmatica.
Il problema, per la Francia, era la Lega di Matteo Salvini e non il M5S?
Non c’era un problema: la Francia tradizionalmente non presta molta attenzione all’Italia. Poi c’è stato un susseguirsi di problemi e dichiarazioni che hanno portato all’attenzione della Francia una crisi con l’Italia che è passato attraverso il richiamo dell’ambasciatore francese in Italia, ma non dimentichiamo che sempre l’ambasciatore francese in Italia, durante il Governo Gentiloni, durante la campagna elettorale del 2018, fu convocato dalla Farnesina in riferimento all’episodio di non rispetto del trattato di cooperazione di polizia tra i due Paesi che, tra l’altro, si basava su un’interpretazione estremamente bizzarra dell’esecutivo italiano. Quindi era una crisi che risaliva alla fine del Governo Gentiloni e che è montata con una serie di incidenti che si sono accumulati. C’è una necessità pragmatica da parte della Francia di registrare la virata europeista del Governo Conte, la virata sui conti europei, la presenza di un Commissario come Paolo Gentiloni che tra l’altro ha avuto dei dialoghi non sempre sereni con la Francia. Macron ha, però, un disegno europeo: oltre ad aver ottenuto un ottimo risultato alle elezioni europee, è riuscito con la soluzione ‘Von der Leyen’ a mettere il cappello sulla nuova Commissione. Quindi ben venga, in modo pragmatico, un partner italiano con il quale dialogare senza opposizioni frontali.
Nell’ottica francese, è più affidabile il PD o il M5S?
Credo ci sia un grande pragmatismo. C’è consuetudine con governi precedenti e quindi con figure come Enzo Amendola o altri che sono stati incrociati in contesti bilaterali precedenti. Non penso, però, che ci sia, in partenza, una preclusione nei confronti dei Ministri del M5S.
Nei rapporti tra Italia e Francia, cosa cambia con il nuovo esecutivo in riferimento alla questione migratoria?
Io penso che Macron non può venire a Roma senza fare un gesto politico che non sia anche concreto. Questo perché ci sono troppe aspettative italiane su questo tema e rimane un punto dolente sia reale che simbolico tra Francia e Italia perché su di esso, da anni ormai, con le conseguenze della crisi libica e gli sbarchi dal 2013 in poi, si sono accumulati tantissime richieste. In Francia come in altri Paesi europei, inoltre, esiste la percezione diffusa che l’Italia sia stata lasciata troppa da sola in questo ambito. I francesi hanno anche capito che lasciare l’Italia da sola ha favorito là crescita dei populismi al potere e quindi hanno molto interesse a non ripetere quell’errore. Perciò Macron deve arrivare con un compromesso concreto di azione che possa far dire al Governo Conte che la ripresa delle relazioni diplomatiche con la Francia segna un fattore positivo, contrastando la retorica antifrancese che comunque non è mai cessata da parte della Lega e di Fratelli d’Italia.
E sulla Libia?
Si sta parlando di una soluzione tedesca, ovverosia di un ruolo pilota della Germania, alla crisi libica. Credo che sarebbe un’ottima soluzione perché toglierebbe dalla necessaria iniziativa diplomatica per la Libia l’equazione della rivalità percepita o reale tra Francia e Italia.
Sulla modifica dei Trattati europei sui conti pubblici, in particolare il Fiscal Compact, Italia e Francia, in concomitanza con una Germania economicamente indebolita, possono essere alleati?
E’ illusorio, secondo me, in questo momento, pensare ad una modifica. Dopodiché, bisogna vedere come vengono concepite e cambiate le regole di flessibilità che già esistono e delle quali l’Italia ha usufruito tantissimo per incentivare alcune forme di investimenti pubblici ritenuti virtuosi. E su questo, anche la Germania potrebbe essere della partita. Sarebbe meglio non parlare di modifica che verrebbe subito bloccata dai Paesi che tengono all’ortodossia, ma rivedere le regole di flessibilità, pensando magari a delle forme di investimenti pubblici sulla tecnologia e sull’ambiente che possono dare un volano virtuoso di capacità, ma bisogna saperli usare: sappiamo che molti fondi europei in Italia vanno persi. Conoscendo l’industria italiana, tuttavia, l’Italia potrebbe essere molto agevolata dalla possibilità di investimenti pubblici di tipo ambientale e tecnologico. Credo che su questo si deve puntare perché è l’unico punto su cui si può raggiungere, anche in convergenza con la Francia che è assolutamente sensibile a questi temi come dimostra il portafoglio del nuovo Commissario francese Silvye Goulard, un risultato.
Sul Medioriente, la Francia è impegnata nel tentativo di salvare l’accordo nucleare iraniano. Potrebbe trovare un alleato nel‘Italia, dopo l’uscita di scena dal governo di Matteo Salvini, dichiaratamente pro-Israele?
La linea tradizionale italiana è sempre stata di grandissima attenzione verso l’Iran per non dire pro-iraniana. Non dimentichiamo il ruolo storico dell’ENI nella Repubblica Islamica. Quindi, certamente la linea adottata dai francesi è molto più vicina a quella tradizionale italiana.
Il Presidente americano Donald Trump, in piena crisi di governo è quasi contestualmente al G7 di Biarritz, ha fatto un endorsement a «Giuseppi» Conte. Come influisce, se influisce, la posizione statunitense sulla rinnovata sintonia tra Parigi e Roma?
Non influisce anche perché la Francia è l’alleato numero 1 degli Stati Uniti nel mondo, avendo una lunga consuetudine operazionale. Questo gli italiani non lo hanno mai voluto capire e non lo hanno mai voluto prendere in considerazione anche per una certa gelosia. Dopodiché Macron vede Trump e riesce ad avere un dialogo con lui, ma il giorno dopo il Presidente americano cambia completamente linea. Ma non ci sono riflessi anche perché, secondo me, la politica atlantica dell’Italia è tutta da riprendere in mano visto che è stata lasciata allo sbando dal Governo precedente che ha seguito impulsi che si sono rivelati anche controproducenti. L’endorsement a Giuseppe Conte da parte di Donald Trump illustra bene questa dimensione che è però tutta italiana, ma che non influiscono sui rapporti tra l’Italia e la Francia.
Nel corso della crisi diplomatica tra Roma e Parigi, l’unico canale che è rimasto attivo è stato quello tra l’Eliseo e il Quirinale. È corretto?
Sì. Non bisogna esagerare perché il ruolo del Presidente della Repubblica italiana è più limitato rispetto a quello del Presidente della Repubblica francese. È vero, però, che il Quirinale ha mantenuto rapporti come si è visto in occasione della visita di Sergio Mattarella a Amboise, quando ha commemorato, insieme a Emmanuel Macron, i cinquecento anni dalla morte di Leonardo Da Vinci. Questa visita è stata l’unica in un anno e mezzo durante il quale non ci sono stati summit bilaterali che sono saltati, sebbene fossero previsti e diverse figure governative si insultavano, più spesso dall’Italia verso la Francia, ma qualche volta anche in direzione inversa. Certamente il Quirinale ha mantenuto, nel contesto di coerenza di visione europeista, un minimo di canale bilaterale che fosse utile per ricostruire la relazione. D’altra parte, Sergio Mattarella è una figura istituzionale estremamente rispettata anche in Francia.
Si può dire ottimista riguardo la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Roma e Parigi?
Sono relativamente ottimista. Esistono varie condizioni. Innanzitutto Macron non deve arrivare a Roma con le mani vuote: se arrivasse nella capitale italiana senza qualcosa di concreto come quote di ripartizioni o gesti su alcune navi delle ONG, difficilmente si può creare un capitale e quindi risalire la china. Inoltre, la crisi dei rapporti franco-italiani affonda le sue radici nel XXI secolo, a partire dal conflitto in Libia, dagli attentati in Francia mai capiti in Italia, dalla non solidarietà italiana alle richieste di aiuto francese, dal teorema italiano della colpa francese degli sbarchi, dalla percezione negativa di alcuni investimenti francesi che, pur essendo virtuosi per l’economia italiana, vengono percepiti male. Non dimentichiamo il dossier STX francese dove un neoeletto Emmanuel Macron impedì una decisione già presa dal governo precedente, un gesto di forte chiusura nei confronti dell’Italia. I risentimenti sono forse numerosi e tali per cui, solo se si facessero dei passi concreti, si potrebbe andare verso una vera ripresa del dialogo.
Un eventuale ‘Trattato del Quirinale’ potrebbe tornare in agenda?
Io penso sarebbe estremamente necessario perché il Trattato del Quirinale, sul modello del Trattato franco tedesco dell’Eliseo del 1963, è un meccanismo fondamentale di cooperazione. Sarebbe interessante che qualche ministro italiano partecipasse al Consiglio dei Ministri francese e che qualche ministro francese partecipasse al Consiglio dei Ministri italiano. Sarebbe interessante per creare delle solidarietà. Tra l’altro, la nomina di Von der Leyen si crea dentro questa consuetudine tra le equipe francese e italiana. C’è bisogno di capire la ragione altrui. Per il momento, tuttavia, i francesi sembrano non capire la ragione degli italiani e viceversa. Un meccanismo del genere che obbligherebbe a degli scambi di funzionari, a dei comitati comuni su diversi settori, al di là delle posizioni legittime, aiuterebbe a capire le motivazioni e, magari, a smontare percezioni errate. Sarebbe molto opportuno, ma a patto che sull’immigrazione, ci sia un gesto concreto da parte della Francia.