lunedì, 20 Marzo
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Fra diplomazia e moral suasion: il Vaticano in campo per il disarmo nucleare

Santa Sede in prima linea per l’abolizione delle armi nucleari. In Vaticano, il 10 e l’11 novembre, si terrà infatti un convegno mondiale sul disarmo nucleare. Sono previsti partecipanti ad alto livello fra cui il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres, la Rappresentante per la Politica Estera UE Federica Mogherini, i rappresentanti diplomatici di Stati Uniti, Corea del Sud e Russia e ben undici premi Nobel per la pace. Di primissimo livello anche gli esponenti della diplomazia vaticana, dal Segretario di Stato Pietro Parolin al Prefetto del Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale Peter Turkson, previsto anche un intervento del Pontefice.

Sullo sfondo del convegno la delicatissima partita nordcoreana con un’escalation nucleare che sta preoccupando tutto il mondo e i rapporti sempre più tesi fra Washington e Pyongyang. Su questo punto, le autorità vaticane invitano a mantenere i piedi per terra: il Portavoce della Santa Sede Greg Burke ha infatti sottolineato che il congresso in programma «non è una mediazione» fra Stati Uniti e Corea del Nord ma «un convegno ad alto livello per promuovere le condizioni necessarie per un mondo senza armi nucleari». Un obiettivo che da sempre costituisce una priorità nell’opera di pacificazione svolta dalla Chiesa a livello mondiale.

Il congresso dei prossimi giorni giunge a poco più di un mese di distanza dalla firma, da parte della Santa Sede, del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari adottato il 20 settembre presso la sede dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York. Secondo il Professor Paolo Antonio Valvo, docente presso l’Università Cattolica di Milano, questo trattato è stato una premessa fondamentale nel percorso che ha portato all’organizzazione del convegno sul disarmo: “Si è trattato di un accordo estremamente rilevante perché sino ad ora si era parlato solo di non proliferazione delle armi nucleari mentre in questo caso si parla espressamente di proibizione, in questo senso un trattato estremamente coraggioso anche a partire dai termini utilizzati. Al momento i Paesi firmatari son una cinquantina, una minoranza rispetto agli Stati membri delle Nazioni Unite, perché le nazioni che sono dotate di armamenti nucleari o che sono vincolati da alleanze politico-militari con Paesi in possesso di un arsenale nucleare proprio hanno ovviamente deciso di non aderire. La Santa Sede, che all’ONU ha una propria rappresentanza diplomatica, è tuttavia uno degli Stati firmatari del trattato, oltre ad aver partecipato attivamente ai negoziati che hanno portato alla sua adozione. Questo sicuramente costituisce un segnale importante dato dal Vaticano in direzione di un cammino per il disarmo nucleare mondiale e nelle dichiarazioni filtrate nelle ultime settimane in relazione al summit in programma in Vaticano si è affermato come tale vertice costituisca occasione per rilanciare di fronte ad una platea più ampia i contenuti di tale trattato”.

La Santa Sede conferma così il suo impegno decennale sulla questione nucleare, sia sul versante dello sviluppo dell’energia atomica a scopi pacifici sia su versante della riduzione se non addirittura di una proibizione delle armi nucleari. Un impegno che ha radici lontane e profonde, come ci spiega il Professor Valvo, e che recentemente si è tradotto in numerose iniziative diplomatiche intraprese dalla Santa Sede ai livelli più alti della propria gerarchia, delle quali il convegno previsto fra pochi giorni rappresenta un importante coronamento: “La Santa Sede fu uno degli Stati fondatori, nel 1957, dell’Agenzia Europea dell’Energia Atomica, una delle massime istituzioni impegnate per lo sviluppo dell’energia atomica per scopi pacifici e non bellici. Ed in tempi molto più recenti, vi sono state numerose iniziative della Chiesa in tal senso. Innanzitutto vi è stato l’impegno in prima persona del Papa, che ha più volte ribadito la sua contrarietà alla guerra nucleare, ma soprattutto vi sono stati diversi interventi a livello prettamente diplomatico finalizzati ad indirizzare il mondo verso un processo di denuclearizzazione. Fra questi si possono ricordare il Segretario di Stato Pietro Parolin, il Segretario alle Relazioni con gli Stati Paul Gallagher e i vari rappresentanti diplomatici della Santa Sede presso le agenzie delle Nazioni Unite, quali l’Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’ONU Bernardino Auza che ha effettuato un importante intervento presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 17 ottobre del 2016 e , il 3 maggio di quest’anno, il Monsignor Janusz Urbanczyk, Osservatore Permanente presso la Sede Onu a Vienna, che ha gettato le basi per una possibile revisione del trattato di non proliferazione delle armi nucleari. E’ pertanto evidente come nel corso del tempo vi sia stata una ricca serie di iniziative tramite le quali il Vaticano ha voluto intraprendere un percorso di lotta contro le armi nucleari”.

Iniziative che secondo l’autorevole posizione espressa da Monsignor Silvano Maria Tomasi, Nunzio Apostolico e Membro del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, risultano finalizzate a “sensibilizzare l’opinione pubblica sulle conseguenze disastrose a livello umanitario che l’uso delle armi atomiche può avere. Siccome la comunità internazionale si è mossa ultimamente, attraverso l’adozione del Trattato sulla proibizione delle armi atomiche, in una direzione volta a impedire non solo l’uso ma anche il possesso di armamenti nucleari, si vuole tentare di far capire che il possesso di armi atomiche da parte di un gruppo ristretto di Paesi non è idoneo a garantire la sicurezza di tutte le popolazioni. Al contrario, risulta certamente preferibile che nessun Paese possieda l’arma atomica”.

A partire dalla fine della Guerra Fredda, secondo Monsignor Tomasi, “l’opinione pubblica ha dimenticato il rischio e il danno che possono causare questi ordigni. Pertanto si è dovuto reintraprendere un processo di sensibilizzazione della comunità internazionale sul punto. La Santa Sede si è impegnata in occasione del Trattato di pochi mesi fa a proporre un bando totale all’uso dell’arma atomica. Dal punto di vista diplomatico, con il crescere della pressione dell’opinione pubblica desiderosa di una pace che non si basi sulla deterrenza generata dalle armi atomiche, si è tentato di convincere i Paesi possessori di armi atomiche ad unirsi alla ricerca comune di una formula nuova di rapporti fra Stati che sia basata sulla fiducia e sulla costruzione di progetti condivisi, di modo che non vi sia più bisogno di risolvere attraverso la minaccia delle armi le controversie che sorgono fra gruppi antagonisti di Paesi”.

Nel percorrere questo difficile cammino, la Santa Sede ha sempre ritenuto fondamentale mantenere un approccio multilaterale sulla questione nucleare, in questa direzione vanno anche le dichiarazioni di Greg Burke circa l’assenza di un’opera di mediazione del Vaticano nella crisi nordcoreana. Secondo il Professor Valvo le parole del portavoce della Santa Sede costituiscono “una indicazione interessante che non deve essere letta nel senso di un disinteresse della Chiesa nei confronti di una mediazione diplomatica fra i due Stati ma con il significato di una necessità, percepita a livello di Santa Sede, di un approccio multilaterale all’intera questione. L’idea di fondo è che la stessa questione nordcoreana non è semplicemente un ‘affare’ fra due contendenti o uno scontro di interessi particolari totalmente avulsi da un contesto internazionale, ma al contrario è una partita molto più ampia che coinvolge innanzitutto la Corea del Sud, che non sempre viene menzionata ma è un attore fondamentale in quanto è proprio dalla tensione fra le due Coree che si genera l’attuale problematica internazionale”.

L’immediata conseguenza di tale approccio è la pari dignità data dalla diplomazia vaticana a tutti gli attori in campo, un aspetto che il Professor Valvo ritiene importante sottolineare: “La stessa Corea del Nord, che ad oggi non ha dato nessun segnale di dialogo, va trattata come un membro della comunità internazionale. Si tratta di una convinzione che spesso si fa fatica a comprendere, ma che è strettamente legata all’approccio diplomatico del Vaticano: la diplomazia pontificia per la sua stessa natura non può operare una discriminazione fra le parti in causa, lo stesso concetto di ‘Stato canaglia’ è qualcosa che non appartiene al linguaggio e alla concezione diplomatica della Santa Sede”.

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