mercoledì, 22 Marzo
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Finanza e cultura d'impresa

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I prodotti finanziari attraggono chi abbia la volontà di gestire e valorizzare un patrimonio privato o aziendale. Per scegliere in modo ottimale tra le diverse offerte, specie nell’attuale clima di preoccupazione generalizzata, occorrono però competenze e specializzazioni che non tutti possiedono. Ci si rivolge dunque al mercato dei servizi -dalla promozione all’intermediazione alla consulenza- per ottenere analisi di scenario finanziario e raccomandazioni di investimento. Un mercato che contiene previdenza, assicurazioni e finanza, tra i quali scegliere il profilo di investimento più adatto alle esigenze e agli obiettivi di ciascun investitore.

Il punto centrale, quando si decide di affidarsi a un consulente finanziario, è ovviamente stabilire con lui / lei un rapporto di fiducia. Come valutare la correttezza delle scelte? C’è chi propone corsi di formazione adatti a formare la consapevolezza dei clienti, in un’ottica di ‘cultura d’impresa’. Fiorisce dalle radici storiche del taylorismo illuminato di Adriano Olivetti? Responsabilità sociale, impresa e territorio, relazioni che si stabiliscono tra le aziende e i contesti nei quali queste operano riguardano anche i clienti del mercato finanziario? In poche parole: produrre utili o produrre tessuti ha tratti di fondo comuni e sviluppa una forma di responsabilità sociale o si tratta di ambiti separati?

Partiamo dal fatto che il rapporto tra impresa e territorio può raggiungere livelli straordinari e profondi come nel caso FIAT (vale la pena ricordare che significava Fabbrica Italiana Automobili Torino), modello produttivo e scansione dei cicli culturali di un territorio, addirittura di una nazione intera. I casi recenti di ILVA hanno dimostrato una dinamica che, nonostante uno sviluppo drammatico, conferma quanto il campo sociale e l’impresa siano legati. E la moralità e l’etica e la salute e molto altro ancora. La ‘cultura d’impresa’ collega lo sviluppo dell’azienda, del territorio nel quale opera e dell’intero sistema-paese nel suo insieme, tenendo in considerazione i lavoratori e i clienti. In parole povere, fare cultura d’impresa significa autoanalisi, comunicazione e trasparenza, RSI e lungimiranza.

Trasparenza, fiducia e programmazione vogliono anche essere il cuore di Learnings, un ciclo di 7 incontri pensati da Gardoni Finanza per ‘formare e informare’ i clienti sui temi chiave della consulenza finanziaria. Abbiamo chiesto a Benedetta Gardoni, alla guida dell’omonima srl, di spiegarci l’idea e come funziona il suo settore.


Quanto conta il fattore umano nelle attività di consulenza finanziaria indipendente come quelle che proponete?

In questo momento di crisi, che dura da parecchio tempo, gli imprenditori si rivolgono alla mia organizzazione chiedendo un affiancamento che gli permetta di orientarsi nel mercato degli investimenti attivi (se hanno un patrimonio da valorizzare) o dell’assistenza più ampia. Ho così deciso di lanciare un percorso di formazione che si aprirà il 27 febbraio e che fa seguito ad altri eventi tematici che ho realizzato negli scorsi anni. Si può dire che tra risparmiatore e consulente incaricato si determini, nel tempo, un percorso di crescita comune. La nostra ‘formazione’ si rivolge dunque proprio al cliente [tra formazione e informazione, NdA]. Credo profondamente nella validità di questo percorso, così ho anche deciso di passare dalla promozione finanziaria (di cui mi occupavo in passato) alla consulenza indipendente, proponendo al cliente un affiancamento totale in merito agli aspetti finanziari e alla gestione attiva della sua situazione patrimoniale. Credo che il fattore ‘umano’ conti quasi per il 100% nella stragrande maggioranza dei rapporti con i nostri clienti. 

In che modo si sviluppa questo affiancamento?

Nel caso delle interazioni con le banche, cerchiamo soprattutto di rimediare a una fondamentale ‘asimmetria informativa’. Tale asimmetria si determina tra piccoli imprenditori e istituti di credito e crea particolari problemi soprattutto nella fase attuale. Oggi più che mai è essenziale condividere linguaggi e modelli comunicativi per ottenere i finanziamenti (che poi sono gli aspetti ‘passivi’ della consulenza finanziaria) e per investire (aspetti attivi). Il cliente si affida a noi secondo un rapporto di fiducia, che -attraverso i nostri servizi- lo aiuta a gestire al meglio le sue attività (aziendali o meno).

Si può dire che anche voi operiate nella cosiddetta ‘cultura d’impresa’?

Alla base del rapporto fiduciario con il quale il cliente ci affida i suoi investimenti c’è anche un aspetto culturale. L’imprenditore, specie se viene dal mondo delle PMI, non è abituato al nuovo rapporto con gli istituti di credito. Tale rapporto è molto diverso da come era prima della crisi. Le banche, a loro volta, hanno il problema di ‘leggere’ la situazione degli imprenditori e di capire se sono affidabili. Ecco l’asimmetria di cui parlavo prima, riguarda gli interessi reciproci degli imprenditori e delle banche e il modo in cui tali interessi si incontrano. Contribuiamo così a fare ‘cultura d’impresa’ all’italiana, un approccio in cui l’imprenditore si occupa degli interessi dei dipendenti, dei fornitori e dello stile stesso della produzione nella sua azienda. Questi imprenditori lavorano in azienda, magari tutto il giorno. Per loro l‘affidabilità è la capacità di pagare i fornitori e di non mandare in cassa integrazione i loro dipendenti. Per la banca l’affidabilità è invece una questione ‘numerica’. La fase attuale, problematica, è iniziata da quando le banche hanno smesso di concedere agli imprenditori liquidità a breve termine, creando con questo diniego un gap e un fraintendimento sui quali operiamo noi consulenti.

In che modo?

Per esempio aiutando l’imprenditore a rappresentare la sua situazione in modo corretto e completo, spiegandogli quali sono gli indici di bilancio e gli altri parametri standard da produrre e che sono indispensabili per dialogare con gli istituti finanziari e ottenere il sostegno più adatto alla loro situazione.

Il cliente dovrebbe apprendere da voi a ‘leggersi’ e raccontarsi meglio e anche questo è cultura d’impresa, in un certo modo. Si può pensare di misurare questo tipo di apporto ‘intangibile’?

Stabilire un rapporto empatico e umano con il cliente è il solo modo per farlo sentire libero di esprimersi anche rispetto alle sue ‘mancanze’. Conoscere questi aspetti è necessario per pianificare il modo di conseguire tutti gli obiettivi economici previsti e per raggiungerli. Non possiamo indicare una corrispondenza diretta tra contributo culturale e risultato tangibile, ma possiamo senza dubbio dire che senza la base ‘immateriale’ la successiva programmazione non potrebbe esistere, né produrre effetti economici di alcun genere. Parliamo, lo ripeto, di un articolato processo di crescita e dialogo con il cliente necessario per poter soddisfare i suoi ‘desiderata’.

Tra i clienti che fanno ricorso a consulenze finanziarie ricorrono tipologie particolari?

In particolare sono clienti con esigenze ‘sull’attivo’, che dunque desiderano investire. Nel 60% dei casi si tratta di imprenditori o liberi professionisti e di portafogli medio alti, posseduti da persone con un approccio mentale aperto e consapevole, ma che in genere non amano rischiare. Ecco perché la nostra è una clientela tutto sommato ‘facile’: con un attivo da gestire, con una competenza medio alta, dunque con una certa consapevolezza. Gestiamo il miglioramento e l’efficienza, più che le situazioni di crisi. Il cliente ci racconta le sue effettive necessità, che si tratti di un passaggio generazionale o di provvedere agli studi dei figli. I nostri clienti sono sostanzialmente omogenei tra loro, cambia invece sostanzialmente il modo di assisterli e di accompagnarli al raggiungimento dei loro obiettivi.

Se cambiano le esigenze, cambia il modo di interagire con il mercato. Che livello di auto-consapevolezza dimostrano i vostri clienti (questo incide anche nella loro valutazione del vostro operato)?

Sono piuttosto consapevoli, è una clientela evoluta. Sono persone che ci chiedono analisi di scenario per poi agire direttamente sulla base delle nostre raccomandazioni; è importante dire che non facciamo promozione, ma consulenza. I promotori stabiliscono accordi con istituti che gestiscono direttamente i patrimoni, noi facciamo analisi informate e prospettiamo le soluzioni ai clienti.

Quali altri servizi offrite?

Sostanzialmente facciamo analisi e servizi di supporto. Le nostre ricerche comparative possono ad esempio servire per scegliere la migliore previdenza integrativa in base a vantaggi fiscali o reddituali. Ci siamo anche dotati di una rete di partenariato a garanzia di una copertura ‘esperta’ di tutti i servizi che offriamo, anche in termini di formazione. Un buon consulente, infine, approfondisce la situazione complessiva del suo cliente dando anche indicazioni su aspetti che non gli competerebbero direttamente (per esempio assicurare la propria abitazione prima di affidarne la gestione in termini patrimoniali).

I nostri clienti tendono a non voler rischiare, e non è un fatto legato alla crisi. In genere hanno anche un capitale importante. Con questi due fattori di partenza, i risultati sono decisamente visibili. Per mia abitudine preferisco comunque ragionare in percentuali e in questo modo si capisce meglio il risultato di un’operazione. Inoltre amo ripetere ai miei clienti che è fondamentale reinvestire sempre (o spendere) gli utili di un’operazione, per non vederseli erodere dall’inflazione. Quasi tutti tendono a voler tenere i loro guadagni sul conto corrente perché spostarli li fa sentire come se non avessero guadagnato.

Per quanto riguarda la formazione ‘classica’ in azienda, l’aggiornamento professionale e i fondi interprofessionali, qual è l’approccio del corso che realizzerete l’8 maggio?

Ho voluto questo intervento nel percorso di Learnings perché credo nel ruolo centrale della formazione. In questo momento storico la formazione interna alle aziende è necessaria per affrontare le sfide del mercato in modo utile e nuovo. Molte PMI della mia zona (Alto Milanese) sono state soffocate dalle nuove regole e per far fronte a tutti è necessario anche far evolvere il personale.

Il vecchio approccio tra banca e impresa non esiste più, non solo per via di Basilea 2 o per la crisi, che riguarda sia aziende, sia istituti di credito. Come consulenti ci siamo dunque accorti che c’era bisogno di assistere sia i clienti con attivi da valorizzare, sia quelli che faticano a raccontarsi. Assistere un cliente significa anche spiegare al commercialista quali indici deve predisporre o quali sono gli schemi di lavoro. In questo modo si aiuta anche il cliente a leggere la propria situazione secondo l’ottica della banca, a valutare correttamente quell’affidabilità di cui parlavo prima. Una competenza indispensabile per non criminalizzare le banche per il loro attuale irrigidimento. Non è colpa loro, ma delle scelte passate, che hanno illuso i nostri imprenditori sul fatto che quella situazione di relativa facilità potesse durare in eterno.

 

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