domenica, 26 Marzo
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Festival della Diplomazia: una finestra sul mondo

Oggi il via al Festival della Diplomazia che si terrà a Roma dal 19 al 27 Ottobre. ‘Prìncipi e princípi: il sistema geopolitico fra interessi nazionali e valori universali‘ è il titolo che caratterizza la VIII edizione e che già lascia intravedere le intenzioni di un evento straordinariamente interessante. Diverse le sedi degli appuntamenti, tutti imperdibili. Relatori italiani ed esteri, tante ambasciate ma anche tanti giovani studiosi. Un’occasione unica di incontro con il mondo diplomatico per affrontare i temi più attuali. Ne abbiamo parlato con Giorgio Bartolomucci, Segretario Generale del Festival della Diplomazia.

Parliamo di questo Festival: qual è il focus di quest’anno?

Il Festival ha un titolo che già di per sé ha una caratteristica, ‘Prìncipi e princípi’: due parole uguali che cambiano di significato per un accento diverso. Le leadership forti che si scontrano da diversi anni stanno mettendo in discussione una serie di principi e di valori universali che pensavamo fossero assodati come la global governance, il principio di solidarietà, la lotta alle disuguaglianze, la libera circolazione delle merci. In qualche modo, le affermazioni forti che arrivano spesso via social e rivolte anche alla ricerca di un consenso interno, stanno modificando gli scenari; vengono messi in discussione sia accordi come quello sul clima e quello sul nucleare che relazioni aperte come quelle fra Stati Uniti e Cuba. Tutto ciò crea situazioni di imbarazzo lì dove i muri che vengono alzati sono muri che mettono in discussione il principio di solidarietà e tendono sempre di più ad isolare Paesi che, altrimenti, avrebbero il dovere di partecipare a progetti a livello europeo e globale di riequilibrio dei rapporti economici tra sud e nord del mondo. La scelta di questo titolo è, quindi, particolare: noi pensiamo che gli interessi nazionali stiano riemergendo un po’, come il ‘particulare’ del principe Machiavelli. L’interesse nazionale viene prima dei valori universali. E’ possibile che il mondo affronti una regressione, per cui, da quello che poteva essere un multilateralismo e un sistema di relazioni tali da garantire sviluppo e pace, si vada incontro, invece, ad una fase buia di isolamento che, talvolta, si invoca con misure di restrizione come l’embargo. Ecco che questa torna ad essere il motivo dominante di un’economia e di un mondo sempre più caratterizzato dall’incertezza. La Brexit non è stata forse una forma di isolamento? In qualche modo, sta ad indicare una prevalenza di paure interne, di indecisioni ma anche il desiderio di difendere posti di lavoro e la propria specificità. Vediamo anche il comportamento di un Paese democratico come la Francia che nel momento in cui c’è bisogno di trovare una soluzione al problema di Fincantieri si arrocca e diventa un Paese protezionista. Per questo metteremo a disposizione di molti giovani la possibilità di incontrare i protagonisti della diplomazia, quelli che lavorano dietro le quinte, che cercano di ricucire quegli strappi molte volte creati dai leader politici che fanno le loro sparate populiste che poi un domani non dovranno neanche pagare in termini di responsabilità ma che lasciano, però ,un mondo peggiore. Il Festival ha la pretesa di far discutere su come il nostro mondo possa trovare attraverso i negoziati e la diplomazia, soluzioni che siano il più possibile condivise ed eque.

Come è cambiata la diplomazia italiana negli anni?

Evidentemente ha ancora un grosso valore, sia perché ha una scuola antica per cui i diplomatici italiani sono molto apprezzati all’estero ma anche perché ha una capacità di innovarsi rispetto ai temi che oggi il diplomatico deve affrontare, come quello della diplomazia economica, quella dei diritti umani. In questi settori l’Italia ha sicuramente sviluppato delle competenze estremamente sofisticate grazie a quell’umanesimo che ci permette di affrontare molte volte i temi con un occhio che non è soltanto mercantilistico; siamo sempre molto più capaci di interpretare l’altro, di conoscere quali siano le sue esigenze. Poi è cambiata proprio la parte relativa alla diplomazia commerciale; ormai, il nostro ‘sistema Paese’ ha bisogno della diplomazia per aprire spazi alle aziende, a nuovi mercati e ad esempio, nel nostro Festival c’è un focus Asia-Pacifico che ha proprio per oggetto la discussione con i Paesi di quell’area. Stesso scopo quello dell’incontro presso l’Ambasciata cinese sui potenziali per l’Italia dalla Via della Seta digitale, sulla possibilità per le nostre merci di viaggiare verso la Cina attraverso il digitale e, soprattutto, su ciò che significa la gestione delle informazioni. I cinesi chiaramente al momento costituiscono un grande bacino per l’Italia. Sempre in tema di diplomazia commerciale, abbiamo poi un evento con gli Emirati Arabi che verranno a raccontarci quali sono i grandi progetti per cui le imprese italiane potranno concorrere e quali sono le preparazioni di Expo 2020 e delle Paralimpiadi del 2019. Ci saranno anche le delegazioni di tre ministeri dalla Corea per studiare i modelli delle piccole-medie imprese italiane ed un evento con la città di Montreal che si presenterà come porta di entrata per le telecomunicazioni. Si terrà, inoltre, un evento con il capo giapponese della edilizia antisismica che visiterà Amatrice e si discuterà degli standard di edilizia antisismica.

La diplomazia, insomma, ha diverse declinazioni: c’è della sostanza, quindi, per l’Italia?

Si, ad esempio, per le Paralimpiadi l’Ambasciata degli Emirati Arabi ci ha chiesto di invitare il comitato paralimpico italiano e di parlare della possibilità di organizzare insieme eventi sportivi anche negli Emirati. Per quanto riguarda la cultura, invece, oggi ci saranno l’Ambasciatore della Colombia e Pistoletto per raccontare come l’arte possa essere uno strumento di pace. La diplomazia non è più soltanto una diplomazia della rappresentanza, ma è anche una diplomazia attiva, che si plasma su quelle che sono le varie esigenze. Si discuterà sul modo di creare relazioni più stabili attraverso meccanismi che possano riguardare, ad esempio, il commercio ma anche la circolazione dell’arte che permette a tanti studenti di venire a studiare da noi. Tutto ciò ha bisogno di una rete di relazioni, di diplomazia.

 

Consiglierebbe ad un giovane di seguire la carriera diplomatica?

Certamente è necessaria una formazione ampia dal punto di vista storico e geopolitico. A 30 anni si può essere consoli e si diventa rappresentanti del proprio Paese come forse con nessun altra azienda è possibile ottenere; insomma, è una professione che dà soddisfazioni. Ma sin da subito c’è bisogno di avere le idee chiare sul percorso, sulle lingue, sulle esperienze che si devono fare. Occorre prepararsi partendo dal liceo e approfondendo vari temi. Allo stesso tempo, va detto che c’è un mondo fuori dai confini che ha a che fare, ad esempio, con le ONG, con le banche d’affari internazionali, con le aziende; quindi, pensare ai 25 posti all’anno per la diplomazia è molto riduttivo. Chi vuole intraprendere un percorso di formazione simile ha molte più possibilità. Noi lavoriamo con 7 università e 30 licei che partecipano ai nostri eventi; lo facciamo per dare la possibilità ai giovani di capire che non si esaurisce tutto dentro i confini geografici del proprio Paese, ma che oggi il mondo è il punto dove guardare. Bisogna avere il coraggio di affrontare sfide che vengono dall’estero.

In un società che non si pone più domande e che non conosce affatto la pubblica amministrazione, il cittadino comune, secondo lei, conosce la diplomazia italiana e il lavoro che conduce e che opinione ha?

E’ molto difficile dirlo perché non ci sono sondaggi ma faccio un esempio: organizziamo un evento che si svolge il 23 Ottobre per conoscere le grandi agenzie delle Nazioni Unite. Spesso, infatti, ci sfugge che dentro i palazzi delle 18 agenzie internazionali a Roma si decidono tante politiche e strategie di sviluppo che coinvolgono il mondo. Roma è davvero ‘caput mundi’ della diplomazia agroalimentare e di tutto ciò che ha a che fare con le risorse. Il punto è questo: se vediamo ambasciate chiuse, non pensiamo che lì, in realtà, c’è gente che domani, andando via da Roma, porta con sé il ricordo di questa città, di quello che ha mangiato, di quello che ha comprato, delle relazioni che ha avuto con la gente. Queste persone diventano ambasciatori del ‘Made in Italy’, della nostra cultura, del nostro modo di vestire. A Roma ci sono 70.000 persone che vivono di diplomazia e di internazionalità, quindi, è importante conoscere di più quello che questa gente fa, entrare nelle ambasciate, capire cosa fanno, in che modo si creano le occasioni per una fiera o un congresso. Anche la cultura della diplomazia alternativa a quella del Ministero è importante; parlo, ad esempio, dell’accogliere 66 università americane che ogni anno arrivano a Roma per studiare l’arte, il nostro Paese ma che noi consideriamo turisti e che non lo sono, sono persone che amano la nostra cultura che vorrebbero conoscerci di più. Ma non sfruttiamo a pieno questa possibilità; a Roma, per fare un altro esempio, ci sono 50 istituti culturali stranieri (pari a nessun altro Paese al mondo)! Di tali iniziative e del loro contributo culturale le scuole difficilmente approfittano, ma proprio questo a noi, invece, servirebbe per uscire da quell’empasse, da quella situazione di una crescente incapacità di capire il mondo, un mondo che non si esaurisce nei programmi tv di intrattenimento o nei social. C’è un mondo a Roma che si apre nelle mostre, nella cultura, nella musica; perché la città non riesce a sfruttare questo patrimonio? Perché probabilmente è un problema di governance, di comunicazione, di non riuscire a superare le diffidenze verso culture diverse. C’è un evento che si chiama ‘Finestra sull’Asia’ che si terrà ogni giorno dal 23 al 26 dalle 11 alle 13 volto a conoscere le spezie e la cucina asiatica e lo faremo al mercato centrale di Termini perché lì c’è la gente ‘vera’. D’altronde, cosa serviva organizzarlo in una saletta del Ministero o in un’ambasciata? Vogliamo essere uno stimolo.

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