mercoledì, 29 Marzo
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Etiopia: quando droni e proxies fanno la differenza

A più di un anno dall’inizio della guerra civile in Etiopia, che ha visto scontrarsi l’Esercito federale etiope del Primo Ministro Abiy Ahmed, e le forze del Tigray, il Fronte di Liberazione Popolare del Tigray (TPLF), negli ultimi giorni c’è stata una svolta potenzialmente molto importante. Dopo che le forze federali erano state messe alle corde dai tigrini, al punto che il governo aveva dichiarato lo stato di emergenza preparandosi per l’avanzata del TPLF su Addis Abeba, e chiesto ai cittadini di armarsi e difendere la città da un attacco militare, l’Esercito è riuscito in poche settimane a riconquistare molto del terreno perduto, fino al punto che il TPLF ha annunciato l’intenzione di ritirare tutte le truppe da Afar e Amhara, due regioni molto contese. Debretsion Gebremichael, leader della regione del Tigray, domenica 20 dicembre, ha inviato una lettera alle Nazioni Unite in cui affermava:  «Proponiamo una cessazione immediata delle ostilità seguita da negoziati». Gebremichael ha detto di aver«ordinato a quelle unità che si trovano al di fuori dei confini del Tigray di ritirarsi ai confini del Tigray con effetto immediato».
Un ‘ritiro strategico’ per gettare le basi per un cessate il fuoco durante il quale dialogare e trovare una soluzione politica ad un conflitto che sembra impossibile riesca avere una soluzione solamente militare.  Nella lettera,
Gebremichael ha chiesto una no-fly zone sul Tigray, l’embargo sulle armi ai governi etiope ed eritreo, e «il ritiro totale di tutte le forze esterne», riferendosi a quelle dell’Eritrea. «Confidiamo che il nostro audace atto di ritiro sarà un’apertura decisiva per la pace».
Il portavoce del TPLF,
Getachew Reda, ha dichiarato in un tweet di lunedì che ritirandosi: «Crediamo di aver tolto qualsiasi scusa alla comunità internazionale per motivare la sua esitazione quando si tratta di fare pressione su Abiy Ahmed e sui suoi partner regionali per fermare la loro campagna di genocidio nel Tigray».

Gli analisti hanno subito avanzato interrogativi sull’offerta. Si tratta davvero di una una capitolazione da parte del Fronte di Liberazione Popolare del Tigray? Oppure è solo l’ultimaoscillazione del pendoloin un conflitto in cui sembra che nessuna delle due parti possa ottenere una vittoria decisiva? Una aggiustamento territoriale strategico? Cameron Hudson, dell’Atlantic Council, sintetizza così: «Questa è una ritirata tattica per guadagnare tempo, riarmarsi e riorganizzarsi? O è davvero una sorta di reset strategico per il TPLF?». L’offerta di Debretsion, si fa notare, appare come la migliore possibilità per un accordo di pace da quando i combattimenti sono iniziati nel novembre 2020.

Qualche ora di silenzio, poi, ieri, da Addis Abeba è arrivato ilno‘. Il governo etiope, attraverso  il portavoce del Primo Ministro, Billene Seyoum, ha respinto le richieste di cessate il fuoco dei combattenti del Tigray, mettendo in dubbio le motivazioni di questa improvvisa disponibilità al dialogo, pur confermando che la soluzione politica è quella che si sta cercando e che la lettera di sarà esaminata

Abiy Ahmed non vuole rischiare, vuole finire il lavoro, sicuro delle sue forze.
Lesue forzesono in realtà quelle dei suoi potenti alleati, ovvero Turchia, Emirati Arabi Uniti, Iran. E queste forze si chiamano droni. Una guerra ‘etnica’ diventata guerra civile, diventata presto una guerra per procura, e ora anche guerra-laboratorio, funzionale a testare nuove tecnologie militari e relative reazioni della comunità internazionale.

Abiy avrebbe potuto usare l’offerta come un’opportunità per fermare i combattimenti in un momento in cui le sua forze federali sono vittoriose e il TPLF è in ritirata, oltretutto il cessate il fuoco gli avrebbe consentito di risparmiare forze per potersi concentrare sulla ribellione guidata dall’Esercito di Liberazione Oromo che ha minacciato di marciare su Addis Abeba.

Will Davison, analista senior per l’Etiopia di Crisis Group, ha affermato che la lettera del TPLF rappresenta una «significativa opportunità per i colloqui di pace». Ci sono ragioni «per pensare che questa rara opportunità potrebbe portare a un processo di pace e alla cessazione delle ostilità», ha affermato. Un cambiamento significativo nella posizione del Tigray, ha detto, è stato l’abbandono della loro richiesta che le forze ostili si ritirassero dal Tigray occidentale come precondizione per i colloqui di pace, nonché una concessione che ciò potesse avvenire come parte di un processo di pace sostenuto a livello internazionale.

Abiy sembra preferire usare tutte le forze di cui dispone per mettere definitivamente fuori gioco il TPLF, dichiarato, il 3 novembre 2020, dal Parlamento federale, ‘gruppo terroristico’.
Se è vero che quella del TPLF è una ritirata strategica su di un terreno, il Tigray, ‘amico‘ -dopo mesi in cui gli uomini sono stati impegnati in territori completamente diversi da quelli abituali- è anche possibile che in questo modo faccia il gioco di Abiy. Se il conflitto si concentra sul Tigray è possibile per l’Esercito federale usare, velocemente, il suo arsenale, a partire dai droni, per mettere sotto assedio l’area, impedendo qualsiasi tipo di rifornimento, sia militare che umanitario, e assestare il colpo finale al TPLF,per, infine, prendere il controllo della regione. E’ una delle ipotesi sul tappeto. Così come resta la possibilità che lo scontro, tutto concentrato sul Tigray, possa prolungarsi e incancrenirsi senza arrivare a una vera e propria soluzione,trasformando l’Etiopia in un nuovo Yemen.

Quale direzione prenderà il conflitto in Etiopia dipenderà dagli attori esterni che sono impegnati nel Paese e dalle armi che metteranno a disposizione di Abiy. Turchia, Emirati Arabi Uniti e Iran hanno fornito ad Abiy alcuni degli ultimi droni armati. Il loro impatto è stato determinante nei fatti degli ultimi tre giorni.

Il Paese entra così nell’elenco «crescente di conflitti convenzionali, come quelli in Libia e nel Nagorno-Karabakh, dove i droni da combattimento sono diventati un fattore significativo nella lotta, o addirittura dominante» afferma il ‘New York Times‘. «Sempre più i sistemi senza pilota stanno diventando un punto di svolta», ha dichiarato al quotidiano newyorchese, Peter W. Singer, esperto di guerra con droni presso il think tank New America. «Non si tratta solo delle capacità grezze dei droni stessi: è l’effetto moltiplicatore che hanno su quasi tutti gli altri esseri umani e sistemi sul campo di battaglia».

I droni hanno fatto il loro ingresso in scena a novembre, quando le forze tigrine stavano conquistando terreno e sembravano pronte per entrare nella capitale. In quel periodo secondo gli osservatori sul posto, che poi avrebbero anche prodotto documentazione a supporto dei loro racconti, quasi ogni giorno, voli cargo arrivavanoda una base militare negli Emirati Arabi Uniti e,in misura minore, dall’Iran. I droni di fabbricazione cinese era il carico che portavano in Etiopia.
«Gli attacchi dei droni degli Emirati, sotto la direzione del consigliere per la sicurezza nazionale
Tahnoun bin Zayed al-Nahyan, sembrano essere un affronto agli sforzi diplomatici americani per porre fine alla guerra», afferma il ‘New York Times‘ . Gli Emirati in effetti sembrano resistere alle pressioni di Washington perchè vengano interrotti i rifornimenti militari, e negano tali forniture.

I rifornimenti turchi sono ufficiali e deriverebbero da un patto militare stretto in agosto con il Presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, il cui drone Bayraktar TB2 ha svolto un ruolo decisivo in altri conflitti. È prodotto da un’azienda gestita dal genero diErdogan. Venerdì Abiy si è recato a Istanbul per il vertice di partenariato Turchia-Africa, al quale hanno partecipato i leader di 39 Paesi africani, che, secondo gli analisti, è soprattutto un forum per la vendita di armi turche all’Africa. Certamente il forum è stata occasione per Abiy di discutere di nuovi rifornimenti. I droni turchi sono attraenti per molti Paesi africani che cercano hardware testato in battaglia, relativamente economico. «Dopo che i droni Bayraktar sono apparsi di recente in Etiopia, i funzionari turchi hanno insistito sul fatto che la vendita di droni fosse un’attività puramente commerciale: le esportazioni di difesa e aviazione in Etiopia sono aumentate a 95 milioni di dollari quest’anno, rispetto ai 235.000 nel 2020, ha riferito l’Assemblea degli esportatori turchi», afferma il quotidiano americano.

L’interesse dei fornitori di armi è di mantenere Abiy al potere. Le ragioni sono diverse. Quelle della Turchia sono probabilmente le trainanti.
Turchia e Etiopia hanno intrattenuto buoni rapporti sin dagli anni ’90, principalmente grazie alla cooperazione economica e commerciale. Secondo le statistiche del governo etiope, la Turchia è il secondo investitore nel Paese dopo la Cina, con investimenti turchi pari a circa 2,5 miliardi di dollari. Sono inoltre circa 200 le aziende turche che operano in Etiopia, principalmente nel settore tessile. Impiegano circa 30.000 cittadini etiopi, mentre il volume degli scambi tra i due Paesi ha raggiunto i 650 milioni di dollari nel 2020. La firma dell’accordo di cooperazione militare va nella direzione sulla quale sta lavorando da tempo Recep Tayyip Erdogan di una sempre maggiore influenza turca in Africa, e il fronte militare è quello più importante. Erdogan, poi, si è detto disponibile a mediare con il Sudan per risolvere la crisi sui confini di Addis Abeba e Khartoum. Per l’Etiopia, l’accordo di cooperazione militare rende la Turchia un partner regionale alternativo che sfida le forze tradizionali -Stati Uniti, Regno Unito, Germania- ha affermato Abiy Ahmed in una conferenza stampa congiunta con il presidente Erdogan. Per Ankara, l’escalation e l’espansione delle crisi interne dell’Etiopia rappresentano una minaccia diretta per le attività e gli investimenti turchi, soprattutto perché considera l’Etiopia il suo principale partner commerciale in Africa. Il recente accordo di cooperazione etiope-turca, afferma l’Emirates Policy Center (EPC), think tank indipendente di Abu Dhabi, trasforma le relazioni tra i due Paesi da un’alleanza economica ad un’alleanza strategica, che rafforzerà la presenza turca nel Corno d’Africa. Tale accordo, secondo alcune fonti, prevedeva anche la consegna dei droni Bayraktar TB2 e Anka-S di fabbricazione turca all’Etiopia.

L’utilizzo dei droni nella guerra tra l’Esercito federale e il TPLF è tutt’altro che occasionale e funzionale a porre fine allo scontro, piuttosto è diventato, proprio grazie alla Turchia, strutturale. A spiegarlo è EPC.

«Il Maggiore Generale Temesgen Tiruneh, il Direttore Generale del Servizio Nazionale di Intelligence e Sicurezza (NISS) dell’Etiopia, aveva rivelato», prima della firma dell’accordo militare, «che l’Esercito etiope stava costruendo una base militare per droni a circa 10 chilometri dal centro di Addis Abeba. Ha aggiunto che la basesarebbe stata dedicata alla sorveglianza e all’uso tattico presso il centro di addestramento e intelligence dell’agenzia». Il primo ministro Abiy Ahmed è stato uno dei suoi fondatori di NISS, nel 2006.

«Le circostanze confermano i rapporti sugli sforzi dell’Etiopia per sviluppare le sue capacità di droni. Le immagini satellitari scattate ad agosto hanno rivelato i veicoli aerei senza pilota da combattimento Mohajer-6 di fabbricazione iraniana (UAV) all’aeroporto militare di Semara, situato nella regione di Afar, durante una visita del Primo Ministro Abiy Ahmed. La forma e le misurazioni di questi droni e dei detriti missilistici trovati nella regione del Tigray corrispondono alle specifiche dell’UAV da combattimento Mohajer-6 di fabbricazione iraniana. Il sito web di verifica dei fatti Bellingcat ha suggerito che l’Etiopia ha ricevuto questi UAV come parte di un accordo non dichiarato per l’uso nella sua guerra contro le forze del Tigray nel nord del Paese. L’UAV da combattimento Mohajer-6 può essere armato con vari missili e bombe, come un missile aria-terra. Se questi rapporti sono veri, l’Etiopia sarà stata il primo Paese sovrano a ricevere droni di fabbricazione iraniana. Dall’inizio del conflitto, il TPLF ha accusato l’Esercito etiope di utilizzare droni nella regione. Il governo etiope respinge l’accusa, ma mentre il conflitto infuriava, i funzionari militari etiopi hanno riconosciuto l’uso di droni in questo conflitto. “La nostra aeronautica è dotata di droni moderni. Abbiamo i nostri tecnici e controllori e non abbiamo bisogno che altri ci aiutino nella nostra lotta contro gli estremisti”, ha dichiarato il comandante in capo dell’aeronautica etiope, il maggiore generale Yilma Merdas in un’intervista con i media locali nel novembre dello scorso anno.

Anche se l’ufficiale militare etiope non ha specificato l’identità del produttore di droni, le sue dichiarazioni confermano ciò che il direttore etiope del NISS, il maggiore generale Temesgen Tiruneh, ha rivelato la costruzione di una base di comando e controllo dei droni affiliata al NISS».

Se la Turchia, affermano gli analisti di EPC, ha consegnato i droni Bayraktar TB2 e Anka-S al governo etiope, questo cambia l’equilibrio di potere tra l’Esercito Federale Etiope e il TPLF. «Forse potremmo assistere a una ripetizione di ciò che è accaduto nel Caucaso meridionale quando le forze azere hanno invaso le città armene nella regione del Nagorno-Karabakh dopo aver acquisito i droni Bayraktar TB2 di fabbricazione turca. Questi droni sono stati precedentemente utilizzati nell’operazione Spring Shield della Turchia in Siria nel febbraio 2020 e prima ancora in Libia».

«Sebbene la Turchia abbia dichiarato di sostenere una soluzione pacifica del conflitto del Tigray, il nuovo accordo con il governo di Abiy Ahmed sembra essere quello di vendere tecnologia militare turca a nuovi mercati. D’altra parte, l’acquisizione di questi droni da parte di Addis Abeba cambierà completamente le regole del suo conflitto con il TPLF e sopprimerà tutti i fronti interni ribelli».

La ‘differenza droni‘, a questo punto, farebbe ipotizzare che l’Esercito federale possa avere gioco facile in questa partita contro un TPLF in ritirata. Non c’è da fidarsi troppo. La tecnologia non è garanzia di vittoria, ammonisce l’esperto di droni, Peter W. Singer, e la dipendenza dalla risoluzione dei conflitti interni dai mezzi militari è e resta irta di rischi, affermano da EPC, perchè è la volontà umana a determinare l’esito di una guerra. Sarà così anche e a maggior ragione per il Tigray, dove la volontà tenace dei tigrini dovrà vedersela con la volontà di Abiy di restare al potere e degli attori esterni di mantenere la stretta sull’Etiopia, troppo importante sia economicamente sia soprattutto strategicamente.

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