«La presente comunicazione fornisce al Procuratore le prove che imputano i funzionari e gli agenti dell’Unione Europea e degli Stati membri di crimini contro l’umanità, commessi come parte di una politica premeditata per arginare i flussi migratori dall’Africa attraverso la rotta del Mediterraneo centrale, dal 2014 ad oggi».
Si apre con queste dure e crude parole la comunicazione inviata al Procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI) dell’Aja da Juan Branco, avvocato e giornalista franco-spagnolo, e dal giurista israeliano, Omer Shatz, intitolata ‘EU Migration Policies in the Central Mediterranean and Libya (2014-2019)’. Un j’accuse lungo 244 pagine che inquadra in pieno il fallimento della gestione delle politiche migratorie dell’Unione Europea e inchioda gli attori che, negli ultimi anni, si sono resi protagonisti di decisioni che hanno cambiato il volto del Mediterraneo e dell’Europa.
Ci sono tutti. Da Angelino Alfano a Paolo Gentiloni, da Marco Minniti ai due Matteo, Renzi e Salvini, fino all’élite europea rappresentata da Emmanuel Macron, Angela Merkel e Jean-Claude Juncker, per citare i più famosi. Nessuno escluso.
Le prove presentate da Branco e Shatz stabiliscono la responsabilità per le morti per annegamento di migliaia di persone, il respingimento di decine di migliaia di migranti che tentano di fuggire dalla Libia e la complicità nei successivi crimini di deportazione, omicidio, detenzione, stupro e altri atti disumani che quotidianamente e arbitrariamente vengono perpetrati nei campi di detenzione e nelle case di tortura libiche.
La comunicazione è stata ricevuta dalla CPI ed è ora in attesa di essere accolta o, eventualmente, respinta.
Per capire di cosa l’UE, l’Italia e gli altri Paesi membri vengono accusati e la possibilità che quanto riportato venga preso in considerazione dalla Corte, abbiamo contattato uno dei due autori della richiesta, Juan Branco, il quale ci ha concesso questa intervista esclusiva.
Ci può spiegare quali sono le responsabilità in capo all’Italia?
L’Italia, per ragioni puramente geografiche, è il primo attore implicato in questa crisi. Noi spieghiamo che c’è stata una politica che, volontariamente, ha lasciato morire persone per ottenere un obiettivo politico. Questa politica è stata organizzata, implementata ed eseguita da molti attori i cui nomi sono presenti nella richiesta. Quello che non sappiamo e che non possiamo sapere senza un’indagine criminale formale, che dovrebbe essere aperta dalla Corte Penale Internazionale, è chi erano le reali persone che impostavano tale politica. Sappiamo che, per esempio, il ministro Angelino Alfano è stato colui che ha deciso di abbandonare Mare Nostrum e che ha negoziato con il Commissario Cecilia Malmström la transizione per Triton, che ha provocato la morte di migliaia di persona. Allora Alfano è di sicuro responsabile, così come Marco Minniti, ma non sappiamo ancora la dimensione di tale responsabilità. Per esempio, sopra questa questione potrebbero esserci nuove scoperte da parte Procuratore della CPI quando andrà a Bruxelles, a Parigi e a Berlino a vedere gli archivi del Consiglio dei Ministri, francese, tedesco o del Consiglio Europeo, ed è possibile che scopra, invece, che Alfano ha fatto tutto il possibile per far sì che Mare Nostrum continuasse. Non c’è oggi la possibilità di essere completamente sicuri che Alfano non era semplicemente l’esecutore della volontà di Berlino e Parigi, della Merkel e di Hollande. Quello che è certo, è che è Alfano il responsabile di aver preso politicamente questa decisione, così come lo ha fatto Malmström. Quando una persona come Matteo Salvini fa un decreto in cui criminalizza il recupero di una persona in difficoltà in mare e propone di sanzionare i partecipanti alla SAR con una multa fino a 5.500 euro per ogni migrante salvato, sta partecipando ad una politica che si sta qualificando come criminale e, in questi ultimi anni, come crimine contro l’umanità: allora lui si può considerare come complice, invece che come autore. Ma ci sono molti altri attori per cui la posizione è più ambigua, e questo è particolarmente evidente in Italia, che è il Paese più esposto a questa situazione, ma ciò non vuol dire che era la potenza che decideva, perché tutti gli altri per colpa di Schengen avevano diritto di parola sopra questa tematica. Noi dimostriamo che sono stati commessi crimini contro l’umanità e che sono stati commessi in una situazione nella quale c’era una politica cosciente, organizzata a livello europeo, per commettere tali atrocità. In questo momento, l’obiettivo dell’indagine è scoprire quali sono le reali responsabilità ed è per questo che non abbiamo fatto una lista di persone che devono essere incolpate. Ci sono molti nomi nel nostro documento, ma ci sono persone che sono sospettate di aver partecipato a tutto ciò, ma non sono per noi definitivamente i responsabili. Non si può sapere nella situazione attuale.
Quali, invece, le responsabilità dell’Unione Europea?
La responsabilità dell’UE è totale. Tutta la politica migratoria libica è qualificata come criminale e inaccettabile dall’UE, ma noi dimostriamo che questa politica migratoria non poteva esistere senza l’Unione Europea. L’UE con i suoi finanziamenti, con le sue domande al Governo Nazionale Libico, con la sua formazione alla Guardia Costiera libica: questo intervento permanente è ciò che fa e dà la possibilità agli attori libici di commettere crimini. Noi prendiamo anche in considerazione una prospettiva storica più lunga: le politiche migratorie della Libia di venti anni fa sono state create per l’Unione Eruopea, perché questa voleva semplicemente esternalizzare le sue politiche migratorie e voleva che altri attori le attuassero per non confrontarsi con le conseguenze giuridiche di questi atti. L’UE, dunque, invece di utilizzare il suo nome proprio, ha manovrato attori esterni per far tutto quello che aveva intenzione di fare. Allora, evidentemente, qualcuno ha creato un sistema di impunità che, di conseguenza, lascia spazio a questi crimini. Abbiamo tutti i responsabili dell’UE, dell’Italia ecc…, che parlano di tragedia, ma non è una tragedia, è il frutto delle sue decisioni.
Per attori esterni lei intende la Guardia Costiera libica?
Sì, esattamente. Principalmente la Guardia Costiera libica.
Nel suo discorso è preso in considerazione anche il Sudan? Si sa che anche l’Esercito di Bashir ha ricevuto formazione in merito alle politiche migratorie da parte dell’UE.
No, noi dimostriamo le implicazioni nel sistema della Libia, che è già molto complicato, ma è evidente che questo si iscrive in una situazione molto più generalizzata, nella quale l’Unione Europea è implicato. Quello che mostriamo è che quello libico sia un sistema particolarmente criminale semplicemente perché nel 2011 in Libia c’è stata la guerra e, precedentemente, non erano note tutte le violazioni del diritto internazionale perché c’era un sistema autoritario. Nel momento in cui Gheddafi muore il sistema di tramuta in una cosa anarchica che provoca violenze che, progressivamente, si trasformeranno in crimini e crimini contro l’umanità.
Su quali documenti si basa il vostro atto di accusa?
Ci sono un’infinità di report riguardo la situazione in Libia nel Mediterraneo che fanno un lavoro fattuale di descrizione degli avvenimenti passati negli ultimi 5-6 anni. Quello che abbiamo fatto noi è stato utilizzare report dell’ONU, dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, dell’UE, dell’Italia, per fare prima una descrizione fattuale di quello che è accaduto negli ultimi 5 anni. Per prima cosa abbiamo sistematicamente utilizzato le analisi più conservative, le più minimali. Per esempio, consideriamo che ci sono stati 14.000 morti nel Mediterraneo in questi anni, ma è molto probabile, in realtà, che siano state 50.000. Ma noi, dato che stiamo istituendo un procedimento criminale, abbiamo bisogno di prendere in considerazione la stima più conservativa. Allora, sopra questo lavoro, abbiamo aggiunto documenti ufficiali dell’Interno e di Wikileaks che non erano stati utilizzati precedentemente. Dopo, abbiamo fatto un’analisi di 15 momenti particolari che non erano stati analizzati, in cui ci sono attori dell’UE, della Guardia Costiera, di ONG, per mostrare il modello che è stato perseguito sistematicamente. Dopo ancora abbiamo fatto un’analisi giuridica, che si basa sulla mia esperienza nella CPI, dove ho lavorato prima del dottorato, e sull’esperienza nei territori dei rifugiati di Omer Shatz, che è il co-autore. Con l’aiuto di altri studenti di Science Po abbiamo svolto questa indagine, raccogliendo le testimonianze di alcune vittime. Infine, abbiamo svolto delle interviste ad esperti della situazione migratoria in Libia per sentire le loro opinioni e confrontarle con la nostra descrizione.
Cosa vi ha spinti a realizzare questo atto di accusa e quanto tempo c’è voluto per realizzarlo?
È stato molto complicato per noi fare questa accusa e, contemporaneamente, è molto difficile pensare che all’interno dell’UE, che è teoricamente è il sistema liberale più avanzato del mondo, sia possibile commettere certi crimini. Quando lei vede i responsabili, quando ascolta quello che dicono – e non parlo di Salvini o di politici che hanno deciso di adottare una linea repressiva e che sono perfettamente coscienti di quello che fanno – quando sente persone che fanno discorsi molto progressisti, è molto difficile pensare che è un discorso con due facce. È stato molto complicato anche per noi ammettere che quelli erano crimini contro l’umanità ed è per questo che siamo stati tanto precisi e abbiamo impiegato tanto tempo, 2 anni: è un lavoro immenso. Perché lo abbiamo fatto? Omer Shatz viene da una famiglia in cui i nonni sono stati tutti deportati durante la seconda guerra mondiale, allora ha una sensibilità sopra queste tematiche. Ci sono molte ragioni. Lui, poi, ha passato tutta la vita a difendere i rifugiati in Israele e lottare contro i crimini di guerra di Tel Aviv nel suo Paese. Noi ci siamo conosciuti alla Yale University, allora, dato che siamo diventati buoni amici, abbiamo deciso di fare un progetto insieme. Così è nata la cosa.
Credete che la Corte Penale, molto spesso sotto accusa, abbia il coraggio morale e politico per mettere sotto accusa la UE, l’Italia, la Francia, la Germania? Non credete che le pressioni politiche saranno tanto forti da impedire qualsiasi azione della Corte?
Ci saranno delle pressioni, questo è sicuro. Il coraggio morale è non prendere in considerazione tutta la solidarietà che si ha per persone che sembrano come noi e decidere che il sentimento di giustizia è più importante. Il male può essere visto anche in un dirigente dell’UE, che ha un grande salario, ha le stesse abitudini sociologiche ed economiche di noi tutti, non solo nei miliziani stanno nel fondo della foresta congolese. Bisogna fare questo sforzo, che è una cosa difficile, prima di tutto dal punto di vista sociologico, perché in termini puramente politici e istituzionali è l’indagine più semplice da svolgere per la CPI dato che c’è una cooperazione molto forte tra l’UE e la stessa Corte. Se il Procuratore lo facesse, non vedo come l’UE potrebbe opporsi, perché opponendosi mostrerebbe una forma di ipocrisia molto forte. Il Procuratore ha tutte le carte in mano per svolgere questa indagine. Noi abbiamo fatto un grosso sacrificio per realizzare questa domanda e immagino che gli attacchi saranno molto duri, così come sarà attaccata la credibilità del nostro lavoro, ma lo abbiamo fatto. Non vedo perché una persona che è pagata 20.000 euro al mese non debba farlo.
Lei ha già ricevuto minacce o pressioni in questi ultimi giorni?
Non minacce, ma ho pressioni molto forti e indirette. Il problema per queste persone è che è troppo tardi.
Da parte di politici del Parlamento Europeo o da Bruxelles?
Dal Parlamento no, ma da persone delle Istituzioni di Bruxelles e Parigi. Io sono stato nel cuore di questo sistema, ho lavorato anche nel Ministero degli Affari Esteri francese, allora ho una conoscenza precisa di questi apparati di potere, per cui non piace che una persona come loro faccia queste cose. È troppo tardi, lo sanno. Il nostro lavoro è fatto, perciò la pressione andrà all’aria.
Quando si saprà se la denuncia sarà accolta?
Mi hanno confermato che l’hanno ricevuta, ma in termini giuridici sono necessari alcuni mesi per fare un’analisi. Se tra tre/quattro mesi non avremo riposta, vorrà dire che ci sono delle ragioni politiche perché c’è un cambio di Procuratore l’anno prossimo ed è molto possibile che il Procuratore attuale non voglia accoglierla. Ci sono alcune possibilità. O capisce che è l’ultimo anno che ha a disposizione, allora può farlo senza pressioni perché sa che comunque la sua esperienza è finita, oppure, al contrario, non prendere nessun rischio e non provocare una crisi. Dipenderà da questioni che sono molto personali.
E in termini percentuali che possibilità ci sono che venga accolta?
Dal punto di vista giuridico, 90-95%. Siamo sicurissimi del lavoro che abbiamo svolto. Dal punto di vista politico, invece, 10%. Facendo una media [ride, ndr] è più del 50%.