Istanbul – Dallo scorso venerdì, nella Provincia siriana più settentrionale, Latakya, sono in corso scontri feroci. La risalita verso nord dell’Esercito lealista di Bashar al-Assad, prosegue il suo movimento logico, nel tentativo di assestare basi solide lungo i confini internazionali, tagliare i punti di rifornimento esterni e spingere le forze ribelli verso il centro del Paese. La provincia di Latakya, è situata nel breve tratto di territorio che sfocia sul Mar Mediterraneo, e si trova in posizione equidistante fra le due barriere: quella con il Libano a Sud, lungo la provincia di Beino, e quella con la Turchia a Nord, sulla Provincia di Yayladagi.
Le due realtà, però, non potrebbero essere più distanti: gli scontri di questo week end, arrivano a seguito della presa di Yabroud, avvenuta la scorsa settimana , che ha permesso all’Esercito regolare di Assad di creare un cordone di sicurezza lungo i confini centrali libanesi, compito arduo ma sostenibile grazie alla forte alleanza con Hezbollah, attivo nei combattimenti, che può garantire un controllo pressochè capillare anche lungo la zona interna dei confini libanesi.
La situazione con la barriera Nord, invece, si presenta totalmente opposta: dallo scoppio dell’escalation in Siria, infatti, la posizione turca è stata apertamente contraria al Governo in carica, e favorevole alla causa ribelle. Le conseguenze sono statisticamente visibili: le forze di Assad, infatti, hanno sempre trovato terreno fortemente ostile nelle aree prossime ai territori turchi e, nella provincia mediterranea, a parte la città di Latakya ed alcuni villaggi a maggioranza alawita nella zona in cui Bashar al-Assad è nato, fin’ora il controllo è stato quasi esclusivamente ribelle.
La città di Latakya è di primaria importanza: il suo porto, oltre ad essere il principale scalo del Paese sul Mediterraneo, è anche quello da cui passano i carichi di armi chimiche diretti allo stoccaggio nelle aziende inglesi e tedesche selezionate per lo smaltimento. Il regime ha già collezionato diversi ritardi sulla tabella di marcia a riguardo, che non sono passati inosservati, destando lo sdegno dell’Ambasciatrice americana Samanta Power, che non ha tollerato il fatto, denunciandolo duramente sul social twitter e nelle assemblee competenti.
Secondo quanto riportato dal ‘Daily Star’, il Direttore dell’Osservatorio siriano per i Diritti Umani Rami Abdel Rahman avrebbe documentato l’operazione dei gruppi ribelli di fazione islamica Al-Nusra, Sham al-Islam ed Ansar al-Sham, che in maniera coordinata, avrebbero assalito il valico di Kasab, sulla frontiera turca, nell’ambito di un attacco denominato ‘Anfal’. La battaglia per distrarre il valico dal controllo lealista, sarebbe costata, al conteggio di ieri, almeno ottanta morti su entrambi i lati e l’esodo in massa di gran parte dei non-sunniti, spaventati dalla presenza dei fondamentalisti. La presa dell’Osservatorio 45, cioè la collina strategicamente migliore per la gestione tattica della zona, proseguirebbe ancora in queste ore. Hilad Asad, cugino di Bashar, sarebbe uno delle ottanta vittime e le forze lealiste hanno già inviato numerose truppe di sostegno nella zona che avrebbero, fra le altre cose, incendiato i territori boschivi nel tentativo di individuare i nascondigli ribelli.
La difficoltà riscontrata nel mantenere le posizioni, da parte dell’Esercito regolare siriano, ha fatto convincere al-Asad dell’esistenza di un forte sostegno ai ribelli attraverso le frontiere turche, finalizzato a coadiuvare la riuscita dell’operazione. Pare che, questa convinzione, si sia concretizzata in un esposto indirizzato al Segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, notizia tuttavia non confermata. I sospetti e le tensione accumulate a riguardo, non hanno tardato a manifestarsi. Nella giornata di domenica, infatti, due Mig-23s dell’aviazione siriana sono decollati per dare sostegno alle truppe regolari impegnate nei combattimenti a Kasab. I raid effettuati contro le postazioni ribelli sono sempre estremamente efficaci, a causa della mancanza di equipaggiamenti anti-aerei nelle dotazioni in possesso dell’opposizione. Alle ore 13, secondo quanto riportato dal quotidiano turco ‘Hurryet’, dopo quattro differenti avvisi emanati dall’autorità militare di Ankara che li monitorava, entrambi i jet avrebbero sconfinato per almeno 1.5 chilometri in territorio turco ed una pattuglia di F-16, in ricognizione nella zona, avrebbe aperto il fuoco. Uno dei Mig siriani, colpito, sarebbe andato a schiantarsi poco più di un chilometro a sud della barriera ed il pilota avrebbe fatto in tempo ad espellersi dalla fusoliera salvandosi, l’altro velivolo sarebbe rientrato alla base sano e salvo.
La reazione siriana all’accaduto è stata immediata, in un comunicato stampa, fonti militari hanno descritto l’accaduto come «un atto flagrante di aggressione che è la prova del sostegno di Erdogan ai gruppi terroristici, le difese anti-aeree turche hanno abbattuto un aereo militare siriano impegnato a inseguire i gruppi terroristici all’interno del territorio siriano a Kasab». La risposta turca è arrivata pochi minuti dopo per voce diretta del Primo Ministro Racep Tayyip Erdogan, che oltre ad aver ricordato l’inasprimento delle regole di ingaggio a seguito dell’abbattimento di un caccia turco da parte siriana nel 2012, si è congratulato con le forze dell’aviazione turca per la pronta reazione ed ha aggiunto: «Le forze siriane hanno violato i nostri spazi aerei, la nostra sarà risposta forte se ciò accadrà nuovamente». Anche Abdullah Gul, il moderato Presidente della Repubblica turco si è congratulato con lo Stato Maggiore della difesa, aggiungendo che «la Turchia ha mostrato la sua determinazione nel proteggere i propri confini». Nelle ultime ore il Governo turco ha dichiarato che, anche se mai riportato pubblicamente, i jet turchi in ricognizione lungo le aree di frontiera rilevano spesso l’inquadramento nel raggio della contraerea siriana e questa volta, la presenza di aerei da combattimento entro confine sommata all’inquadramento nelle difese a terra, rappresentava una soglia di ingaggio missilistico più che giustificata.
Se sul lato siriano del confine la situazione risulta essere piuttosto tesa, l’atmosfera in Turchia, ad una settimana dalle elezioni non è da meno. Nel corso di questo mese, infatti, le scelte del Primo Ministro sono state decisamente controverse in ogni aspetto politico riguardo il Paese, sia per quanto riguarda la politica interna, sia per quanto concerne la politica estera. La minaccia lanciata nel corso del comizio tenuto nella cittadina di Bursa alcune settimane or sono, di oscurare i social networks, ha trovato conferma. Tramite l’ampliamento dei poteri del Communication Technology Institutution, una commissione politica, e non tramite ordinanza del Tribunale Nazionale come riferito in precedenza, è stato legalmente possibile l’oscuramento del gigante della Silicon Valley.
Parlando in occasione di una manifestazione gremita tenuta in piazza ad Istanbul la scorsa domenica, Erdogan lo aveva annunciato e, a suo modo, ne ha spiegato le ragioni. L’oscuramento del sito sarebbe avvenuto per il rifiuto della direzione di Twitter, di rispettare le normative in materia di privacy previste dal codice turco. Nel suo discorso, il Primo Ministro, lamenta un trattamento da ‘democrazia minore’ da parte del social, che adeguerebbe i suoi standard alle richieste di Usa, Cina, Russia, Germania ed Inghilterra senza particolari problemi, ma quando si tratta di Egitto, Turchia ed Ucraina non farebbe scrupoli a lasciar circolare post non verificati riguardo intercettazioni confidenziali della presidenza del Consiglio dei Ministri.
Questa sarebbe, quindi, la motivazione alla base dello shutdown del sito: l’aumento esponenziale di conversazioni e link riguardo le intercettazioni del premier turco ed almeno tre ex ministri che, se confermate, metterebbero in luce un sistema torbido di gestione estremamente clientelare del potere. Alle forti dichiarazioni di Erdogan, le centinaia di migliaia di manifestanti, sostenitori del partito di governo Giustizia e Sviluppo, hanno applaudito convinti. L’ immagine ultaconservatrice che il Primo Ministro turco in carica vuole dare all’elettorato, quindi, è, allo stesso tempo, piuttosto chiara in Medio Oriente ed incomprensibile in Europa.
Perché, se in un qualunque Stato europeo, la rincorsa contro il web segnerebbe un suicidio politico, nel vicino oriente lascia spazio a diverse interpretazioni: il social di micro-blogging Twitter, ad esempio, in territorio turco fa registrare ben 12 milioni di contatti e risulta stabilmente fra i produttori di discussioni che creano trend mondiali, ma nonostante ciò, le aree in cui quei contatti son registrati, sono i maggiori del Paese, dove la reputazione di Erdogan ha già subito duri colpi a seguito degli scontri al Gezi Park di Istanbul e degli scandali politici di Ankara.
Quanto sembrerebbe accadere, è la difesa da parte del Presidente del Consiglio di un’immagine più rude, dei valori, cioè, della grande provincia turca, quei milioni di elettori che non hanno mai utilizzato il web, ed anzi, credono facilmente che possa esso essere responsabile di quel crollo di valori che, a seguito della crisi economica e politica, affligge la Turchia. Una strategia già utilizzata e rivelatasi, almeno nella sua parte iniziale, vincente in Egitto, da parte del candidato dei Fratelli Musulmani, il cui risultato, unito ai toni forti e nazionalistici, si riscontrerà durante la tornata elettorale della settimana prossima. La reazione, da parte del Presidente della Repubblica, a questo fatto specifico è arrivata puntuale: «Ho visitato Silicon Valley nel 2012. Ho tenuto incontri con aziende come Facebook, Twitter e Google. Lì, ho incontrato il proprietario di Twitter, Dick Costello… Quando questo problema è emerso, ho incaricato i miei consiglieri di intavolare un dialogo. Questa è la tecnologia di oggi. Noi tutti dobbiamo essere consapevoli. Ci possono essere problemi con tali piattaforme di comunicazione giganti. Vi è la necessità di avere canali di dialogo e di comunicazione in buona salute anche prima della comparsa di questi problemi».
Intanto la direzione del social ha annunciato di aver assunto un legale in Turchia per far luce sul blocco, che, stando ai dati odierni, non è riuscito a chiudere completamente l’accesso ai Twitters turchi ed i messaggi, rigorosamente in 140 caratteri, provenienti dalla Turchia, hanno subìto un’impennata nelle ultime ore.