Dalle elezioni 2021 appaiono piuttosto evidenti, nei termini in cui la politica italiana può essere comprensibile, un paio di cose.
La prima, quella apparentemente più evidente, è la sconfitta generalizzata dei 5Stelle. Questa volta non li ho chiamati ‘stellini’ come faccio di solito, non per rispetto verso le loro inesistenti idee, né per rispetto verso il comico che li ha generati, né, infine, per rispetto verso il loro attuale capintesta che è, e resta, quello che era, un avvocato dell’establishment, molto pieno di sé e poco di idee. Non li prendo in giro oggi perché la loro sconfitta, ne sono certo, duole sinceramente a quelli (pochi, sia chiaro, pochi) che hanno creduto e si sono spesi per il Movimento, non avendo capito che senza cultura e senza preparazione, ma specialmente senza idee, non si va lontano. E, va detto chiaramente: idee e cultura da quella parte non ne sono venute.
Non credo che il partito, come sempre in questo Paese, scomparirà. Credo che inizieranno al suo interno le consuete lotte a colpi di scimitarra e di lupara, che inizieranno (ma forse già hanno iniziato) a cercare il colpevole, e tutto il resto che accade sempre in ogni partito. Non credo che Giggino e i suoi saranno spostati dal Governo ad altre funzioni, se non altro perché dispongono ancora di molti voti in Parlamento, e quindi si trasformeranno, temo, in un’altra fazione tipo quella di Matteo Renzi, che vivrà per un paio di anni di piccoli e grandi ricatti, per poi, si spera, restare quello che vale: una percentuale forse al di sotto delle due cifre. Non diversamente, del resto, da altre forze politiche, di successo un tempo, e decadute oggi a pochi voti e molta gente che fu importante: i ‘notabili’. Resteranno a galla alcune ‘figure‘ che hanno saputo con qualche abilità abbarbicarsi a qualche poltrona, mentre il ‘capo’ riceve un bel calcione negli stinchi con l’indagine sui suoi collaboratori.
Però, lo confesso sinceramente: mi dispiace davvero per i molti o pochi che davvero si sono entusiasmati a pensare di poter cambiare il mondo senza una idea guida chiara, ma solo le banalità sulla ‘democrazia diretta’ e la protezione a caso dell’ambiente, eccetera, ma credendo con sincerità quasi fideistica di poter fare molto e specialmente che i loro capi, il comico e ‘l’avvocato del popolo’ avessero cose da proporre e capacità di realizzarle, per non parlare di Giggino dell’Arco. La mancanza di strutture organizzative (oltre che di organizzazione della cultura), volutamente tali per favorire il mantenimento del comando in pochissimi, è stata il colpo di grazia.
L’altro punto che, secondo la gran parte della stampa, sarebbe chiaro, è che la Lega si spaccherà. Francamente non ci credo. È una struttura troppo compatta e monodirezionale per farlo, senza dividersi in rivoli irrilevanti, come Toti a Genova o Renzi in Arabia Saudita. Ma certo sarà tentata dal ritorno alle origini. Lo ricordate? lo sciopero fiscale, eccetera. E infatti, tanto per cominciare, non partecipano al Consiglio dei Ministri dove si discute la riforma fiscale. Punture di spillo, anche sciocche, perché si dimostra che si può fare a meno di loro. Quando Mario Draghi alla domanda chiave circa l’atteggiamento della Lega dice che il Governo va avanti comunque, per me vuole anche dire che si può pure fare a meno della Lega, i cui voti non sono indispensabili. Le parole di Draghi sono iniziate precisamente con un secco: «ce le spiegherà l’onorevole Salvini oggi o domani», come dire che non c’è fretta, e aggiunge «Noi avevamo dato informazione sufficiente a valutare questa legge delega, che è una scatola che si ispira a certi principi che ritengo condivisi anche dalla Lega» (come dire: ‘sono balle che non lo sapevate prima’), per poi ribattere il chiodo dicendo: «l’azione di governo non è stata interrotta, è andata avanti. Certamente è un gesto serio, su quali siano le sue implicazioni bisognerà aspettare di capire cosa dirà la Lega stessa». In altre parole: ‘che volete fare? Accomodatevi’. E ieri ha ancor più puntualizzato: «Il governo va avanti, non segue il calendario elettorale». Matteo Salvini, mi sbaglierò, urla molto ma poi offre la trattativa e fa discorsi propagandistici.
Quanto alla destra di Giorgia Meloni, credo che sia condannata, oramai, a languire in una potenzialità mai verificata perché non verificabile, date le loro ‘idee’. Idee dalle quali non riescono a distaccarsi, non tanto per l’inerzia naturale, diciamo così, delle cose, quanto per la totale assenza di altre.
Il progetto che viene immaginato da molti osservatori essere in corso, non mi convince molto. Alludo alla creazione di un ‘grande centro‘, come vorrebbe Matteo Renzi: un centro ‘fatto‘ con pezzi della Lega, pezzi di Berlusconi, scartine varie di centro sinistra, un po’ di PD rubacchiato qua e là e qualche nostalgico democristiano. L’idea sarebbe di ‘creare‘ una sorta di partito liberale. Idea che non tiene conto del fatto che un partito liberale è un partito della borghesia intelligente e colta. Ma in Italia una classe borghese non si è mai creata. Ci sono e ci sono stati dei borghesi, anche grandi, come Carlo Azeglio Ciampi e oggi Draghi, ma una vera borghesia in Italia non la vedo.
Quello che c’è in Italia, ed è fortissimo, è l’establishment, in senso stretto e vero. Voglio dire che ci sono molti ricchi o arricchiti che hanno interesse a mantenere le proprie ricchezze e le proprie capacità di influire senza, però, assumere la responsabilità diretta di farlo. Quel ceto, ad esempio, che si oppone strenuamente ad una tassa seria sulla casa, e ad una vera riforma fiscale, accompagnata da veri controlli. Un ceto, in parte anche produttivo (è quello che ha determinato la crescita inattesa!) ma restio ad impegnarsi direttamente, a metterci la faccia, ma specialmente a metterci i soldi. Non per caso, in Italia si assembla più che inventare e costruire. Questa categoria di gente benestante e silenziosa, preferisce mandare avanti altri a difenderne gli interessi.
Abbiamo visto, infatti, proprio in queste elezioni, materializzarsi una serie di esperienze, spesso ridicolizzate come il o i partiti della ZTL. Ma chi ha preso in mano questa idea di rappresentare la ZTL non si è reso conto che essa, quel ceto, aveva già trovato e si accingeva a trovare sbocchi più sicuri e ‘protetti’ altrove. Anche Calenda, per dire, che pure ha avuto parecchi voti, certo non ha drenato i voti della ZTL, molto più numerosi. Se guardiamo al modo in cui si sono svolte queste elezioni, non possiamo non vedere che, specialmente per i candidati eletti al primo turno, la loro elezione è dovuta sostanzialmente ai voti delle liste civiche. Addirittura, sia Beppe Sala che Enrico Letta, si sono candidati senza il simbolo del proprio partito, altri, come Gaetano Manfredi, si sono fatti accompagnare da miriadi di liste, che io non per caso ho definito, e lo confermo, anche con un certo disgusto, clientelari. Si potrebbe forse dire che sono le liste attraverso le quali l’establishment, i gruppi di pressione e quant’altro ‘si presentano‘ alle elezioni, per … interposta lista. Ripeto, non può non colpire che da Sala a Manfredi è il festival delle liste civiche, che ovviamente non possono essere ‘quelle che rappresentano i ricchi o gli industriali’, ma attraverso le quali quella non-borghesia che abbiamo in Italia, mantiene o ottiene il potere. In questo, Napoli è l’emblema.
Solo che, rispetto al passato in cui agivano più direttamente attraverso la DC (anche se molti lo negavano, vergognandosi quasi di dire che erano della DC), oggi si ‘mascherano‘ attraverso le mille sigle, per poi ottenere al posto di comando oggi il sindaco, domani chi sa, magari il Presidente del Consiglio, in una persona a loro legata, e che ne segua o organizzi l’azione una volta eletto. Non c’è più la DC, il partito socialista nemmeno, Berlusconi è fossilizzato, che resta di altro se non il PD? spossato dopo la ‘cura’ Renzi, Zingaretti e Letta. Che poi ciò possa avere come conseguenza di dover ritenere che oggi come oggi il PD non è altro che una nuova DC, nemmeno tanto meno sfrontato, può essere doloroso, ma certo non lontano dalla realtà, anche se in contrasto diretto con una base solo in parte distrutta da Renzi. Del resto basta guardare ai ‘capi’ oggi del PD: Letta era democristiano, come Dario Franceschini, Lorenzo Guerini, e finché ci è stato lo stesso Renzi. Certo è duro immaginare un PD che in realtà è solo una DC mascherata, ma è il meno: se ci si dovesse rendere anche conto che oggi i loro sindaci domani i loro Ministri sono espressione di un establishment da borghesia compradora! Ma forse si potrebbe dire lo stesso a proposito di quei ceti medio-alti che dal grande capitale internazionale, direttamente o indirettamente, sono controllati e indirizzati.