Non c’è bisogno di essere Nostradamus e neppure frate Indovino. Anche la più dilettante delle zingare, da questa mano elettorale avrebbe letto quel ‘futuro’ che da lunedì pomeriggio è diventato presente, e tra qualche giorno sarà già passato.
I fatti erano scritti, e facile da leggere solo si segua un ABC non tanto della politica quanto del buon senso e del ragionare. Per dire: ‘Il trionfo dell’astensionismo‘, dicono tanti, con aria stupita. Vero. Ma non è una novità . E’ da oltre dieci anni che una buona metà di elettorato diserta le urne e manda un chiaro, inequivocabile messaggio: a voi della politica vi riteniamo tutti uguali e ugualmente meritevoli di andare a quel paese.
Questa volta ci si è fermati al 54 per cento dei votanti. Ci si potrebbe e dovrebbe preoccupare di riuscire a parlare con quel 46 per cento che dice NO a tutto; ma non da ora, si dovrebbe cercare di farlo. Qualche politologo e qualche politico ne parlerà per qualche ora, poi i buoni propositi lasceranno posto a ben più concreti e contingenti ‘interessi’.
Altra ‘notizia‘ prevedibile: la batosta del centro-destra. Si assiste ora al mea culpa di un Matteo Salvini col capo cosparso di cenere. Candidati sbagliati, e tardivamente scelti, balbetta. Perché, le liste depositate a Roma e a Torino, a Milano e a Bologna, a Napoli e un po’ dovunque, non le ha viste? Le ha lasciate compilare al fido Luca Morisi tra un suo festino e l’altro? Ma davvero Salvini e Giorgia Meloni si sorprendono che il centrosinistra fa filotto a Bologna, Milano, Napoli; e vada al ballottaggio a Roma e Torino?
Quanto alla Calabria, dove vince un candidato moderato di Forza Italia, piuttosto ha perso il centro-sinistra: che si presenta confuso e iper-diviso. Per quanto anziano e malandato di salute, Meloni e Salvini bene farebbero a dar credito e ascolto a Silvio Berlusconi: che dei tre è di gran lunga il più saggio e dotato di vista acuta. Soprattutto dovrebbero capire che non si può fare i saltimbanchi della politica a vita, e impunemente: le strizzatine d’occhio agli Orban e alle Le Pen, e in Italia alle case Pound e ai no-vax, ai Borghi, ai Bagnai, ai Pillon, alla fine si scontano e pagano.
Si prenda atto che queste elezioni costituiscono la vittoria dell’apparente opaco e privo di carisma Enrico Letta, la cui strategia e tattica di marca democristiana risulta vincente: conquista un seggio nel non facile collegio di Siena, getta le premesse per essere il dominus per le elezioni del prossimo Presidente della Repubblica, della legge elettorale, e soprattutto sarà lui con i ‘suoi‘ a comporre le liste per le elezioni politiche che prima o poi si dovranno pur fare. Spazzerà via i residui ‘renziani’, e valorizzerà nelle posizioni chiave i suoi sodali.
Dall’altra parte si assiste alla mortificazione dei populisti di qualsivoglia tendenza e colore, si chiamino Salvini, Meloni, Beppe Grillo, Giuseppe Conte.
Già : perché Conte ha mancato l’obiettivo: quello di rianimare le scorate e confuse truppe grilline. Perse Roma e Torino, per l’arroganza e l’insipienza di leaderini grillini incapaci di vedere al di là del loro ombelico, sono destinati a una irrilevanza politica e a una mera sopravvivenza dei più abili. I Luigi Di Maio si produrranno in trasformistiche esibizioni. I Casaleggio e i Di Battista tenteranno patetici colpi di coda, velleitari e inconcludenti. Presto saranno archiviati e dimenticati.
Si vedrà il ‘fenomeno‘ Carlo Calenda; a Roma, nonostante sia stato escluso dal ballottaggio, il suo è un risultato ragguardevole. Merito della ‘sua’ politica, o risultato della non politica altrui? Ha saccheggiato consensi a destra e sinistra, elettori scontenti; saprà appagare le loro istanze, e tradurre lodevoli proposte in concreta politica? Il personaggio ha buona volontà ; ma in politica le buone intenzioni non sono materiale sufficiente per costruire qualcosa.
A questo punto sarà interessante cercare di capire quali saranno le prossime mosse di Enrico Letta. Il disegno strategico, comunque, appare chiaro: costruire un nuovo bipolarismo, un centro-sinistra e una destra costretta all’angolo dell’estremismo; e l’eliminazione (o almeno l’assorbimento) di posizioni intermedie. Lo stesso Letta non perde occasione per confermare questa sua ‘visione’. Significa, ad onta della sua origine democristiana, posizionarsi a sinistra, e accreditarsi come bastione della destra sovranista, una destra su cui schiacciare Meloni e Salvini. Un ‘piano’ che prevede la leadership del campo progressista, con buona pace del Movimento 5 Stelle o di Liberi e Uguali; e il radicale, drastico taglio dell’erba sotto i piedi dell’Italia Viva di Matteo Renzi e dell’Azione di Calenda. ‘Il fronte largo’ immaginato da Letta prevede un solo gallo, e tante chiocce. L’ostinazione sul disegno di legge Zan, lo Ius soli, la ‘dote’ ai diciottenni, sono finalizzati a questo scopo.