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È Mosca il vero dilemma

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Era già chiaro da tempo: dietro alla questione ucraina, il vero nodo da risolvere è il rapporto di Bruxelles e Washington con Mosca. Nella giornata in cui l’Unione Europea ha comunicato sulla Gazzetta Ufficiale di aver congelato i beni dell’ex Presidente ucraino Viktor Janukovyč e di altre 17 personalità legate al suo sistema di potere, le dichiarazioni del Vertice straordinario sull’Ucraina dei Capi di Stato e di Governo europei riguardano quasi esclusivamente le possibili sanzioni contro la Russia. I toni, al momento, sono concilianti: «la Russia non è nostra nemica, dobbiamo avere scambi con la Russia», è il monito del Primo Ministro francese Jean-Marc Ayrault, riecheggiato dalle parole della Ministra degli Esteri italiana Federica Mogherini, per cui sarebbe saggio «non prendere in considerazione oggi gli strumenti che al momento non sono necessari». Anche i la presenza economica russa a Londra frena l’adozione di sanzioni, come avrà probabilmente comunicato il premier britannico David Cameron  a Matteo Renzi, al suo primo vertice internazionale come Primo Ministro. Confrontatosi successivamente anche con la Cancelliera tedesca Angela Merkel, col Presidente francese François Hollande e col Primo Ministro polacco Donald Tusk, Renzi dovrà fronteggiare anche altre posizioni, come quella del Ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, per cui l’eventuale annessione della Crimea alla Russia minerebbe la pace internazionale.

Ed è appunto il voto del Parlamento di quella Repubblica Autonoma, che ha deciso all’unanimità l’adesione alla Russia, ad inasprire ulteriormente le relazioni tra Kiev ed il Cremlino. Il voto del Parlamento della Crimea ha infatti convocato un referendum per il 16 marzo, in cui l’alternativa sarà tra il ritorno alla Costituzione del 1992 e, appunto, il passaggio sotto l’egida di Mosca. Un’alternativa che non si pone per il Ministro ucraino per l’Economia, Pavlo Sheremeta, secondo il quale il referendum è direttamente «incostituzionale». Tuttavia, l’esito del voto parlamentare è già stato preso in considerazione in Russia, dove il Consiglio Nazionale di Sicurezza, alla presenza del Presidente Vladimir Putin e del Primo Ministro Dmitrij Medvedev, ha tenuto una riunione per valutare la situazione dell’Ucraina. E proprio ai vertici russi il Primo Ministro ucraino, Arsenij Jacenjuk, ha chiesto se sono pronti «a preservare la pace e la stabilità in Europa» o se vogliono «istigare tensioni nelle nostre relazioni bilaterali e multilaterali».

Non solo Kiev e Bruxelles: anche la Nato pretende chiarezza da Mosca. Per questo, ha sollecitato quest’ultima a riportare nelle caserme le proprie forze militari dispiegate in Crimea, mentre il Segretario Generale Anders Fogh Rasmussen ribadiva che l’organizzazione atlantica sosterrà l’integrità e la sovranità dell’Ucraina. Nel frattempo, continuano i contatti fra il Dipartimento di Stato statunitense ed il Ministro degli Esteri russo, ma, ad ogni annuncio di accordo, segue puntuale una smentita. Dagli Stati Uniti, però, giunge intanto notizia che verranno applicate restrizioni sui visti a chi è «responsabile o complice delle minacce alla sovranità e integrità territoriale» ucraina: tra le persone coinvolte, anche funzionari russi. Inoltre, sono arrivati in Polonia per esercitazioni 12 caccia F16 statunitensi.

Tensioni diplomatiche anche in America Latina, dove il Presidente del Venezuela Nicolás Maduro ha annunciato la rottura dei rapporti con Panama come risposta al presunto tentativo di cospirazione effettuato dal Presidente panamense Ricardo Martinelli. Una «cospirazione palese», secondo Maduro, che sarebbe consistita nella proposta di portare il difficile caso delle proteste nel Paese di fronte all’Organizzazione degli Stati Americani e che rientrerebbe, probabilmente, nella ‘strategia di destabilizzazione’ denunciata recentemente a ‘L’Indro’ dall’Ambasciatore venezuelano in Italia Julián Isaías Rodríguez Díaz.

Batteva proprio la bandiera di Panama il cargo intercettato da Israele nelle acque del Mar Rosso. La nave Klos-C avrebbe a bordo missili M-302 di produzione siriana, destinati alla guerriglia della Striscia Gaza e provenienti dall’Iran. La nave giungerà sabato in Israele, ma, come fa notare ‘Reuters’, la notizia del suo intercettamento è giunta proprio durante la visita del Primo Ministro Benjamin Netanyahu negli Stati Uniti per richiedere l’inasprimento delle azioni contro Teheran. Secondo le autorità israeliane, i missili M302 «possono colpire a più di 100 miglia e, se avessero raggiunto Gaza, avrebbero definitivamente posto milioni di israeliani in pericolo». Damasco non si è ancora pronunciata a riguardo, ma sia funzionari iraniani che rappresentanti di Hamas hanno respinto le accuse israeliane.

L’Iran è stato impegnato oggi anche in uno scambio di accuse col Bahrein, seguito allo scoppio di una bomba nella città di Daih, che ha ucciso tre poliziotti durante un corteo funebre per un carcerato sciita. Proprio il maggior scisma islamico sarebbe alla base di quello che il Ministro degli Esteri del Bahrein Khalid Bin Ahmed al-Khalifa ha definito «terrorismo. Premeditato. Puro e semplice». Cornice dello scontro, il Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU, dove lo sciita Iran ha accusato il sunnita Bahrein di torturare ed imprigionare i suoi critici, venendo a sua volta accusato di fomentare la violenza nel regno.

Ma sulle coste del Golfo Persico è la spaccatura all’interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo a destare clamore. Nella giornata di ieri, Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita hanno infatti ritirato i propri Ambasciatori dal Qatar, accusando Doha di non aver rispettato il mutuo impegno di non interferire negli affari interni degli altri Paesi. Nello specifico, la misura riguarda l’appoggio di Doha alla Fratellanza Musulmana in Egitto ed ai ribelli islamisti in Siria, ma il Governo del Qatar ha già dichiarato che non cambierà per questo la propria politica estera, pur manifestando «dispiacere e sorpresa».

In Siria, intanto, continua a salire il numero dei morti: è di oggi la notizia di un bombardamento da parte dell’esercito sulla città di Aleppo. Continua, però, anche la collaborazione del regime di Baššar al-Asad sulla consegna delle armi chimiche: secondo stime dell’OPAC, il cargo danese che dovrà portare queste ultime a Gioia Tauro potrebbe aver concluso il proprio carico, e perciò partire dalle coste siriane, alla fine di aprile.

Miglior situazione per la Tunisia, che, dopo l’approvazione della nuova Costituzione, pone oggi termine allo stato di emergenza dichiarato nel 2011 e di recente prorogato fino a fine giugno. Probabile fattore decisivo, l’impatto della misura sul turismo, su cui invece il Paese maghrebino confida di poter contare per rilanciare la propria economia.

E un’altra onda lunga della Primavera Araba che termina riguarda la confinante Libia: il Niger ha deciso oggi di consegnare alle autorità di Tripoli Saadi Gheddafi, figlio 41enne di Mu’ammar. Fino a ieri agli arresti domiciliari nella capitale Niamey, da oggi Gheddafi è ospite delle carceri libiche, come dichiarato dal Primo Ministro Ali Zeidan, che ha ringraziato il Governo del Niger per il suo aiuto. Ora il fragile Governo libico avrà un’opportunità per dimostrare la propria autorevolezza, sottoponendo il celebre detenuto ad un processo secondo le garanzie dettate dal diritto internazionale, come annunciato dallo stesso Zeidan.

Questioni famigliari al centro anche della politica afghana. Il fratello del Presidente Hamid Karzai, Qayum, si è ritirato dalla corsa per le prossime elezioni presidenziali, esprimendo il proprio appoggio per un altro uomo di fiducia dell’attuale titolare, l’ex Ministro degli Esteri Zalmai Rassoul. L’attuale Presidente è esposto intanto alla pressione di Nato e Stati Uniti per il rinnovo delle rispettive presenze nel Paese dal 2015. Oggi, però, proprio un bombardamento condotto dall’Isaf nella zona a sud della capitale Kabul ha causato la morte di cinque soldati dell’esercito afghano e il ferimento di altri otto. «Uno sfortunato incidente», l’ammissione del comando Isaf.

 

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