A settembre. Se va bene, si comincerà a discutere a settembre il progetto di legge Benedetto Della Vedova–Roberto Giachetti con il quale si vuole legalizzare l’uso e la detenzione di derivati della canapa indiana. Come avevano annunciato, i ‘centristi’ del movimento di Angelino Alfano si sono messi di traverso; lo stesso Alfano (ministro dell’Interno) e della Salute Beatrice Lorenzin hanno alzato le barricate, ‘Libertà di spinello mai’, hanno detto in coro; il governo di Matteo Renzi è già oberato da una quantità di problemi, figuriamoci se intende complicarsi la già surriscaldata estate con la questione ‘canna’ sì, ‘canna’ no. Insomma: tutto in alto mare.
«Andremo comunque avanti, siamo tipi ostinati», promette Della Vedova. «C’è troppa gente in carcere che non dovrebbe esserci, a causa delle attuali leggi». Sia lui che Giachetti, prima di approdare il primo nel centro-destra, l’altro nel Partito Democratico, hanno alle spalle una lunga militanza radicale; e dal loro ‘maestro’ politico, Marco Pannella, hanno assimilato la caparbietà, la consapevolezza che la durata forma le cose.
Del resto quella per la legalizzazione delle ‘droghe leggere’ è iniziativa che Pannella comincia nel 1975, più di quarant’anni fa. E’ il 2 luglio. C’è grande animazione nel salone della sede del Partito Radicale al terzo piano di un decaduto palazzo umbertino al centro di Roma; tanta gente, come nelle grandi occasioni. Pannella avverte tutte le autorità possibili, che intende infrangere pubblicamente la legge sulle sostanze stupefacenti. Qualche giorno prima la polizia, ‘obbedendo’ alla normativa dell’epoca, ha arrestato una decina di studenti che fumavano delle ‘canne’, passandosele l’uno all’altro. ‘Fumare’ non sarà bello, ma ancora meno finire in carcere per questo…
Pannella accende il suo ‘spinello’. Guarda interrogativo alla sua sinistra, dove una persona che gli sta accanto lo osserva perplesso; Pannella gli porge i polsi come a dirgli: «Mi arresta o no?». Si chiama Ennio Di Francesco, quella persona; è un commissario di polizia, responsabile dell’antidroga a Roma. Il giorno prima c’è stata una riunione dei grandi capi, al ministero dell’Interno: nessuno vuole sbucciare la patata bollente dell’arresto di Pannella. Così la affidano a lui: è pur sempre il capo dell’antidroga, problema suo. Pannella insiste: «Mi arresta o no?». Di Francesco scrolla il capo: «Che ne so, cosa ha fumato? Sequestro la sigaretta, la facciamo analizzare, e vediamo. Lei onorevole Pannella, mi segua in questura». Niente arresto, obiettivo comunque raggiunto. Effettivamente la ‘droga’ c’è.
Pannella finisce in carcere per una settimana, in attesa del processo per direttissima (dopo la prima udienza, immediata liberazione; non se ne farà più nulla, fino alla prescrizione). Il commissario nel pomeriggio manda a Pannella un telegramma: «Come poliziotto la dovevo arrestare, come uomo sono solidale con lei». I giornali sparano: ‘Il commissario che arresta Pannella, solidale con lui’. Il giorno dopo il commissario ovviamente viene rimosso.