Due i passaggi chiave dell’intervista che il Segretario del Partito Democratico Enrico Letta rilascia a ‘Skytg-24‘: la scadenza è quella ‘naturale’, guida Mario Draghi; e a conforto di questa affermazione, «quello che bisogna soprattutto evitare che dopo Draghi arrivi il governo Salvini-Meloni».
Tradotto dal politichese: è bene che Draghi non traslochi da palazzo Chigi al Quirinale perché in questo caso, a stretto giro, si indirebbero elezioni politiche. Elezioni anticipate per il PD, e le forze del centro-sinistra, sarebbero disastrose; l’azione di Governo, ammesso che li dia, non ha ancora dato i frutti sperati; il famoso ed evocato ‘cacciavite‘ di Letta ancora non riesce a ‘mordere‘ il legno; gli ammiccamenti al voto giovanile (voto ai sedicenni, ‘dote’ ai diciottenni da ricavare con una tassa sulle successioni dei grandi patrimoni), non sono una brillante trovata e restano poco più di una bandierina; l’auspicata intesa con il Movimento 5 Stelle (che peraltro vive uno stato catatonico prossimo al coma), non decolla; i sondaggi sono impietosi: Lega primo partito; Fratelli d’Italia, secondo partito; la componente ‘moderata’ del centro-destra, Forza Italia, al collasso e all’implosione).
Arrivati ormai al semestre bianco (e dunque con la garanzia che prima della elezione del presidente della Repubblica il Parlamento non verrà sciolto), con l’estate alle porte, la partita si gioca ormai sulle elezioni amministrative d’autunno; la cui posta va al di là di sindaci e giunte, per quanto siano importanti le città in gioco: Roma, Milano, Torino, Bologna, Napoli, Trieste. Saranno a tutti gli effetti elezioni politiche: confronto e duello tra centro-sinistra e centro-destra; e all’interno delle coalizioni.
Quasi sicuramente a ore i leader del centro-destra decideranno i nomi dei candidati a Roma e Milano. Forza Italia, quello che ne resta, sarà costretta ad accettare che al tavolo sieda anche l’ultima costola, quel Coraggio Italia, fondata dal Sindaco di Venezia Luigi Brugnaro e dal Presidente della Liguria, Giovanni Toti; il nuovo movimento si è dotato di un gruppo parlamentare in buona parte formato da transfughi dal partito dello stanco e logorato Silvio Berlusconi. «Buona fortuna e buon lavoro», ha augurato loro con aplomb il coordinatore azzurro Antonio Tajani. Che tuttavia non può non masticare amaro: la fotografia l’ha scatta Letta: «Alle europee nel 2019 Meloni e Salvini insieme hanno preso il 40 per cento, il 33 per cento la Lega e il Fdi; oggi nei sondaggi sono ancora al 40 per cento, la Lega al 22 per cento e Fdi al 21.9 per cento. Anche senza Berlusconi vincono le elezioni». In soldoni: il partito di Berlusconi rischia seriamente di essere irrilevante, ai fini del successo della coalizione del centro-destra. Quando la barca fa acqua, scatta il ‘si salvi chi può’.
Sulla base di questo ragionamento, gli unici a essere interessati a un Draghi al Quirinale sono Salvini e Giorgia Meloni. Tutti gli altri hanno interesse che Draghi resti dov’è. Oltretutto il consenso all’Esecutivo è in crescita: vuoi perché si percepisce una fine dall’incubo pandemia, vuoi perché le previsioni economiche in questo momento sono tutte in rialzo; vuoi perché sono tanti che sognano di sostituire Sergio Mattarella.
Inoltre, Letta ha bisogno di tempo per costruire un rapporto meno aleatorio con quello che resta del Movimento 5 Stelle. Una sorta di intesa si è raggiunta solo per il comune di Napoli. In tutte le altre realtà, ognuno per sé. Inoltre è il corso un braccio di ferro tra Giuseppe Conte, indicato da Beppe Grillo prima del suo ‘suicidio mediatico-politico’ come leader e dominus; e Luigi Di Maio. Movimento per altro, indebolito dal proposito di alcuni espulsi di formare un nuovo movimento, appoggiandosi a Davide Casaleggio e la sua Rousseau.
C’è poi il cosiddetto strappo di Di Maio in tema di giustizia. Le pubbliche scuse del Ministro degli Esteri all’ex Sindaco di Lodi Simone Uggetti, a suo tempo messo alla gogna dai grillini, sono un ‘ripensamento‘ con un retroscena molto ‘politico‘. Di Maio si vuole presentare come affidabile a palazzo Chigi per quel che riguarda le riforme del processo penale e del Consiglio Superiore della Magistratura su cui lavora alacremente il Ministro della Giustizia Marta Cartabia; e tutto questo, in aperta, se pur non dichiarata, alternativa con Conte. «Di Maio ormai è un democristiano vero, non fa mai nulla per caso. Si sente più spesso con Gianni Letta che con Grillo, per non parlare poi degli incontri con Draghi ben prima che diventasse Presidente del Consiglio», è la battuta che circola tra i 5 Stelle.
Di Maio insomma intende riprendersi la leadership del movimento. Sa bene che non sarà Ministro in eterno.
Grande è la confusione sotto il cielo; che vada bene, come amava dire Mao, è tutto da vedere.