Prima un drone USA ammazza al-Zawahiri, poi Nancy Pelosi va a Taiwan in … visita.
Nella notte tra il 30 e il 31 Luglio, un drone guidato dalla CIA, cioè dagli USA, ha bombardato una casa, in Afghanistan, nella quale si trovava Ayman al-Zawahiri, il capo attuale, si dice, di al-Qaeda, una ‘associazione terroristica’ (come si usa dire) che ha sempre avuto sede privilegiata in Afghanistan, prima e, a quanto pare, dopo l’occupazione ventennale statunitense. Sorvolo sulla definizione ‘associazione terroristica’, perché occuperei molto spazio, ma non è certo solo quello! Al-Zawahiri è accusato, o semplicemente sospettato, di avere programmato, o di essere a conoscenza della programmazione di vari attentati terroristici, specialmente nel mondo occidentale, e di essere il capo attuale di al-Qaeda.
L’operazione, che fonti statunitensi dicono non ha comportato danni a civili, è stata commentata dal Presidente Joe Biden con la seguente frase, riportata dalla stampa: «Giustizia è stata fatta».
La solita posizione statunitense: sparare per primi, e poi dire mani in alto. Giustiziare senza processo. Questo è il punto saliente.
Già il termine ‘giustiziare‘ è fuori di luogo, perché allude alla ‘giustizia’. Ma in un Paese civile, la giustizia è una procedura trasparente, che porta a conseguenze prevedibili, gestite da una autorità riconosciuta come capace e dotata del potere e quindi del diritto di giudicare e sanzionare; ma prima sempre e invariabilmente, giudicare.
E giudicare significa ‘garantire‘, cioè fare in modo che sia l’imputato che l’accusatore rispettino regole predeterminate, che saranno rispettate anche nei loro confronti. La vendetta è sconosciuta come strumento legittimo nei Paesi civili.
Ora, mi pare già di sentire i critici dire “ma quel tale era responsabile dell’attentato del 11 Settembre a New York e di altri successivi”, e così via. Ma non è esatto; era sospettato, ma non era mai stato sottoposto ad un processo, non gli era stato sia permesso di difendersi, che di sentire le accuse contro di lui. Insomma, a lui non è stata data nessuna delle ‘garanzie’ su cui tanto si sbracciano i ‘garantisti’ nostrani. È stato ammazzato, con grande tecnologia (che meraviglia?) senza curarsi nemmeno di cercare di accusarlo formalmente di qualcosa.
Queste cose, a mia conoscenza, le fanno, e quasi regolarmente, solo due Stati al mondo: gli USA e Israele.
Entrambi uccidono avversari politici (definiti terroristi, senza prove), bombardano luoghi o persone che decidono essere per loro pericolosi.
Potrei aggiungere che ‘esportano‘ la ‘democrazia‘ a modo loro e con i mezzi che piacciono a loro. Invero in questo gli USA sono molto attivi, Israele molto meno. Ma ciò che importa è che la ‘democrazia‘ imposta dagli USA, ad esempio, per lo più si rivela fallace. In pochi mesi ne vediamo gli effetti devastanti: in Afghanistan dove, non solo la democrazia imposta per vent’anni non c’è, ma dove (e ci si dovrebbe vergognare di ciò) coloro che hanno creduto a quella democrazia oggi sono repressi, maltrattati, uccisi: si pensi solo alle donne. In Iraq, dopo avere direttamente assunto il controllo del territorio con un Governo ‘di occupazione’ (non certo accettabile dal punto di vista del diritto internazionale), hanno costituito un sistema democratico fittizio, che oggi (sarebbe sulle prime pagine dei giornali se avessimo dei giornali!) esplodono, anche con scontri fisici, morti, eccetera.
Ciò accade in forza della ‘dottrina statunitense‘ (si chiama proprio così e viene ufficialmente riproposta ogni anno dai Presidenti, Biden ancora non ha fatto in tempo e ne ha promossa una … provvisoria), dove, ad esempio, si dichiara senza mezzi termini: «This moment is an inflection point. We are in the midst of a fundamental debate about the future direction of our world. To prevail, we must demonstrate that democracies can still deliver for our people. It will not happen by accident… No nation is better positioned to navigate this future than America», e poche pagine più indietro (pag. 10) Biden afferma: «Our democratic alliances enable us to present a common front, produce a unified vision, and pool our strength to promote high standards, establish effective international rules, and hold countries like China to account. That is why we will reaffirm, invest in, and modernize the North Atlantic Treaty Organization (NATO) and our alliances with Australia, Japan, and the Republic of Korea – which, along with our other global alliances and partnerships, are America’s greatest strategic asset».
Non occorrono commenti, ma può essere interessante una valutazione del modo in cui gli USA, senza chiedere nulla a nessuno, cioè di propria iniziativa, pretendono di ‘imporre’ o ‘difendere’ la democrazia: quella che piace agli USA, ad esempio a differenza di quella cinese.
E, detto fatto!
Nella serata del 2 agosto, ufficialmente senza il consenso della Casa Bianca, la Presidente della Camera Nancy Pelosi va a Taiwan in … visita. È l’apertura ufficiale del ‘confronto‘ USA-Cina, su uno dei punti più delicati di divergenza, anzi, non di divergenza: di pretesa USA di imporre le proprie regole.
La Cina popolare, fin dalla sua nascita ha rivendicato la sovranità sull’isola di Taiwan, anche se non ha mai fatto gran che per affermarla di fatto.
Ora, seguendo il filo dei ragionamenti statunitensi: quel territorio è suo, non diversamente da come è suo il territorio del Donbass per l’Ucraina.
A meno di ritenere che il diritto, e il diritto internazionale in particolare, sia il regno del caso, o meglio del caos, così come l’Ucraina avrebbe diritto (secondo gli USA e gli alleati che li appoggiano, noi inclusi) al Donbass, la Cina avrebbe diritto a Taiwan.
Da un punto di vista di fatto, così come, per usare la terminologia giornalistica, le repubbliche del Donbass sono ‘autoproclamate‘ -che nel linguaggio di certi giornalisti significa che non esistono legittimamente- esattamente così come autoproclamata è la repubblica di Taiwan, non per nulla riconosciuta da pochissimi Stati. Neanche dall’Italia. E, notate bene, nemmeno dagli USA. Anzi, con una faccia davvero di bronzo, gli USA, nel difendere la ‘democrazia‘ taiwanese, (in questi giorni con mezza flotta statunitense), confermano che non hanno alcuna intenzione di riconoscerla. Quindi, dal loro punto di vista, difendono una situazione da loro stessi dichiarata illecita!
E allora?
Purtroppo bisogna abituarsi all’idea che da parte USA il diritto internazionale viene utilizzato a seconda dei suoi comodi, ma anche che con questi comportamenti si aumenta la tensione internazionale e si moltiplicano i rischi di incidenti. In altre parole: la scelta USA per affrontare la concorrenza con il gigante cinese, è la scelta dell’uso della forza.
Sarebbe ora che anche in Italia ci se ne rendesse conto, perché lo scontro con la Cina potrebbe essere dieci volte più pericoloso e grave di quello con la Russia, con l’aggravante che, probabilmente, gli USA potrebbero avere meno remore ad usare la forza, anche nucleare. Ma specialmente perché, per usare una terminologia più ‘geopolitica’, non è interesse dell’Europa, assecondare gli interessi imperiali russi e statunitensi. Specie se, alla fine, li paghiamo noi come per l’Ucraina.
Tanto per non dimenticare: mai come oggi letteralmente il mondo intero è in subbuglio, e sempre ci sono coinvolti gli USA.
Sotto casa, per così dire, abbiamo la Libia in piena ebollizione; la tensione sempre più dura tra Algeria e Marocco (e non solo) per il Sahara; la situazione poco chiara lasciata dalla Francia in Mali e dintorni; la situazione esplosiva del Kossovo voluto dagli USA e dall’Europa (un bluff che paghiamo e pagheremo ancora a lungo, in dispregio del principio di autodeterminazione) e in via di fare scoppiare un conflitto con la Serbia, i cui nazionali sono ‘maltrattati’ in Kossovo, con i nostri occhi chiusi; la tensione estrema nel Baltico, anche qui situazione creata ad arte, con la Lituania che impedisce il passaggio dei rifornimenti russi a Kaliningrad e con la Finlandia e Svezia nella NATO in funzione aggressiva; e, come se non bastassero i guai che abbiamo, l’assassinio di al-Zawahiri, provocherà attentati un po’ dovunque.