sabato, 1 Aprile
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Curdi al centro della ‘Seconda’ Guerra di Siria

Nonostante il Daesh sia stato sconfitto in Siria, il Paese sembra essere ancora lontano dalla stabilità. Lo Stato Islamico non solo ha lasciato dietro di sé un Paese distrutto, ma sembra aver annientato anche qualsiasi possibilità per una sua ricostruzione pacifica. Lo scenario politico, etnico, sociale ed economico in Siria si presenta, ad oggi, ancor più deteriorato rispetto a quello trovato dall’ISIS nel 2011, dopo l’auto-proclamazione del Califfo Al-Baghdadi. Infatti, anche se il Daesh sembra sia stato definitivamente sconfitto, la situazione a Damasco è tutt’altro che pacifica, gli scontri tra il Governo di Bashar Al-Assad – sostenuto dalla Russia – e le forze d’opposizione sono sempre più frequenti, basta pensare alla terribile situazione di crisi umanitaria nel quartiere di Ghouta -in mano ai ribelli..

Si aggiungono, poi, ulteriori fattori che ostacolano la ricostruzione del Paese, come ad esempio l’effettiva distruzione delle infrastrutture e dei più piccoli sobborghi. A peggiorare, poi, la situazione siriana è la sempre più esplicita ingerenza di potenze estere. Oltre ciò, la Siria era un Paese in cui una minoranza religiosa– i drusi – governava su di una maggioranza – i sunniti. Si tratta di una Nazione multietnica, dove la convivenza tra diverse culture ed etnie sembra essere sempre più difficile, e l’inclusione politica ad oggi è solo un’utopia. La minoranza etnica per eccellenza che nel gioco-forza internazionale di oggi in Siria crea più disagio sono proprio i curdi.

Sabato scorso la Turchia ha intrapreso un’offensiva contro i curdi di Afrin, nel nord della Siria, dimostrando così che parlare di pace in Siria è ancora prematuro. Infatti, con l’operazione ‘Ramo d’Ulivo’ – la seconda operazione turca contro la minoranza curda in Siria (la prima era ‘Scudo d’Eufrate’, lanciata nel 2016) – Tayyeb Erdogan starebbe riaprendo la sua guerra ‘personale’ contro il Partito dei Lavoratori nel Kurdistan – Partîya Karkerén Kurdîstan, PKK, un’organizzazione riconosciuta come terrorista da Istanbul. Le autorità turche avrebbero preannunciato da giorni la loro intenzione di intraprendere l’offensiva contro i curdi siriani. Secondo quanto riportato dall’agenzia turca ‘Andalou‘ , prima di rendere effettiva l’operazione ‘Ramo d’Ulivo’, il Capo di Stato Maggiore turco, Hulusi Akar avrebbe avvertito il suo omologo statunitense, Joseph Dunford, e il russo Valery Gerasimov, riguardo l’offensiva in Siria. Inoltre, il Ministero degli esteri turco avrebbe convocato i dirigenti delle ambasciate degli Stati Uniti, della Russia e dell’Iran per informarli sull’operazione. Il segretario di Stato americano, Rex Tillerson, avrebbe poi chiamato per telefono il Ministro degli esteri turco, Mevlüt Çavusoglu, per discutere l’operazione.

Si tratta di un’offensiva militare aerea e terrestre mediante raid, bombartdamenti e attacchi di artiglieria, attraverso la quale Erdogan starebbe cercando di prendere il controllo di Arfin, ‘spodestando’ l’Unità curda di Protezione Popolare – Yekîneyên Parastina Gel, YPG -. L’YPG è un alleato chiave degli Stati Uniti in Siria, e ha preso il controllo di Arfin da quasi due anni, ma è ritenuto dalla Turchia un’organizzazione alleata del PKK, e quindi anch’essa terrorista.

Nonostante il Governo turco abbia garantito l’intenzione di risparmiare i civili, secondo alcune fonti locali, nei raid del 20 gennaio sarebbero rimasti uccisi sei civili e tre combattenti curdi, mentre fonti istituzionali avrebbero dichiarato la morte di 108 militari dell’YPG.

A fianco dei turchi starebbero combattendo 25mila membri dell’Esercito di Liberazione Siriano – Free Syrian Army, Fsa – la forza armata antigovernativa, e numerosi giovani siriani. Così facendo, Erdogan starebbe sfruttando la divisione interna siriana, e le antiche ‘faide’ etnico-religiose per portare avanti la sua partita contro i curdi, perseguendo così i suoi obiettivi, tra cui quello di creare una zona di sicurezza lungo il confine turco-siriano volta a impedire la cooperazione tra PKK e YPG, stroncando così le aspirazioni indipendentiste curde in Turchia e altrove.

Sembra, però, che ad aver spinto Istanbul ad intraprendere questa nuova operazione militare sia stata la dichiarazione del 13 gennaio del Pentagono, secondo la quale gli Stati Uniti avrebbero creato una forza di sicurezza di frontiera siriana – Border Security Force , BSF– composta da 30.000 membri, gran parte dei quali sarebbero curdi del YPG.

Secondo quanto riportato da ‘Al-Monitor‘ lo scorso 17 gennaio, l’incapacità della Turchia di convince Washington a porre fine al proprio sostegno ai curdi, e il rifiuto di Mosca di accettare la richiesta di Ankara di impedire agli stessi curdi di partecipare agli sforzi per un accordo siriano, avrebbero lasciato Ankara profondamente frustrata. E, sentendosi ‘abbandonata’ sia da Washington che da Mosca, la Turchia avrebbe iniziato la sua lotta alla minoranza curda da sola.

Ma quali sono state le reazioni internazionali al ‘Ramo d’Ulivo‘?

Secondo molteplici fonti internazionali, sia Francia che Egitto avrebbero condannato l’attacco turco di Arfin. Gli attori ad aver rilasciato dichiarazioni più esplicite sarebbero poi Iran, Russia e Stati Uniti.

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