Alla vigilia dei suoi 90 anni, Raúl Castro va finalmente in pensione. Lascia l’ultimo incarico ufficiale che ricopriva, quello di Primo Segretario del Partito Comunista Cubano (PCC), in favore del suo delfino ed erede designato, Miguel Díaz-Canel, attuale Presidente della Repubblica. Dopo 60 anni dalla Rivoluzione, Cuba non sarà più governata da un membro della famiglia Castro!
L’uscita dalla scena politica dei Castro avrà indubbiamente un forte impatto psicologico sulla popolazione, abituata da tre generazioni ad adorare i due mitici dioscuri cubani: prima Fidel, poi Raúl Castro. Cambieranno le cose? Arriverà la svolta democratica tanto attesa?
Non credo. Almeno nel breve termine. Raul in effetti ha preparato la propria successione con cura e metodicità. Ha creato e formato Díaz-Canel a sua immagine e somiglianza. Canel è un tipico, puro prodotto del partito, un perfetto apparatchik, proiettato da Raúl alla Presidenza della Repubblica e ora alla Segreteria del PCC. Si inserisce quindi perfettamente nel solco della pura continuità castrista. Il fatto che riunirà nelle sue mani (contrariamente allo spirito della nuova costituzione cubana) le due più importanti cariche dello Stato ne è un ulteriore prova. Avanti quindi con le limitate riforme promosse dal fratello minore di Fidel, ma sempre a condizione che non intacchino la natura marxista, collettivista e repressiva del regime cubano.
Díaz-Canel tuttavia non possiede né il magico carisma di Fidel né il solido pragmatismo di Raúl. Dalla sua ha solo gli apparati repressivi. Ce la farà a conciliare la voglia di libertà, democrazia e sviluppo economico che si manifesta nel paese in maniera sempre più evidente, con gli obblighi derivanti dalla necessità di salvare ‘l’eredità della Rivoluzione’, cioè il regime? Non sappiamo.
Ma di fronte alla drammatica crisi economica che sta strangolando il Paese, Díaz-Canel dovrà prima o poi scegliere se farsi promotore di una grande, anche se graduale, svolta democratica, che sarebbe appoggiata con entusiasmo dagli USA (e dai suoi capitali), ovvero intensificare le misure repressive, suscettibili di causare una rivolta sociale. Vedremo.
E’ tempo in ogni caso che la Rivoluzione dei barbudos entri e rimanga nei libri di Storia, uscendo dall’attualità politica. Ha oramai fatto il suo tempo. I cubani oggi aspirano ad altro. Lo capirà Díaz-Canel?