In quel diluvio di chiacchiere e show televisivi di esperti, epidemiologi, virologi, tuttologi , igienisti che sta sommergendo il paese, raramente ci è dato è ascoltare la voce, la testimonianza di chi ogni giorno affronta sul campo la battaglia, per usare la consunta metafora della guerra, contro il coronavirus e tante altre patologie: il riferimento è al medico di base, alle prese con migliaia di pazienti di cui conosce caratteristiche, abitudini, comportamenti, reazioni, umori. Eppure coloro che si definiscono ‘generici per scelta’ in Italia sono 46 mila. Come vivono questa tragica esperienza, quale il loro rapporto col sistema sanitario e mediatico e con il Paese in genere? Nei giorni scorsi il Presidente della SIMG, la Società Italiana di Medicina Generale dottor Claudio Cricelli, aveva lanciato grido d’allarme forte, pieno di spunti e preoccupazioni, “mettendo in luce come già allora l’1 per cento dei medici italiani fosse contagiato “e chiedendosi :“quanti saranno alla fine della pandemia?” Ma subito aggiungeva: “abbiamo paura ma non timore, non temiamo di prestare la nostra opera per le nostre comunità. Tutti i medici in questi giorni lo stanno dimostrando. Abbiamo paura della disorganizzazione dell’approssimazione.” Il riferimento era in special modo alle zone critiche, alle scarse misure di protezione, al rischio del contagio per sé stessi e i pazienti. Parole che lasciano il segno. Una ragione di più per conoscere direttamente da luile ragioni di questa ‘disorganizzazione e approssimazione’.
Dottor Cricelli, da cosa derivano quelle che potremmo definire ‘disfunzioni del sistema’?
Da un’incultura diffusa, dal tentativo di fronteggiare un problema nuovo, gigantesco ma non imprevedibile, con metodi vecchi, e soprattutto una mentalità vecchia, inadeguata, sulla base di un ‘modello’ antiquato. Al di là del ritardo con cui si è compreso cosa stava avvenendo in Cina – e già Bellocchio ci diceva mezzo secolo fa quanto fosse” vicina”- il paese si è trovato ad affrontare questo tsunami privo di strumenti tecnici e amministrativi adeguati e un sistema che usava gli stessi metodi della burocrazia. Noi medici di base, che da sempre operiamo sul territorio a contatto con la gente, non abbiamo atteso le decisioni di Governo e Regioni per organizzare la prime linee difensive: ci siamo immediatamente autorganizzati procurandoci 500 mila mascherine e respiratori con le collette. Stiamo organizzand0o la sanificazione a nostre spese. Stiamo cercando tute protettive, guanti occhiali, cappelli e molto altro. Ci servirebbero 100 mila pulsossimetri con cui seguire la saturazione di ossigeno dei nostri pazienti critici a distanza. Sono introvabili e in una settimana molti sono rincarati del 100%.
In questa incultura diffusa, o vecchia mentalità c’è anche quella che regola territorio e sistema ospedaliero?
E’ una mentalità che condiziona molti comportamenti. C’è chi ci considera liberi professionisti e in quanto tali estranei al SSN. Solitamente parlano quelli che non sono mai stati sul campo di battaglia, che non hanno mai visto un paziente in vita loro. Peccato che in 30 giorni, salvo rara eccezione, anche l’Autorità Sanitaria non si sia preoccupata di sentire la Medicina Generale. Ma ora, qualcosa si è mosso e ci coordiniamo anche se in maniera sommaria. Purtroppo, col tempo, il territorio, che è il primo presidio sanitario, è stato sguarnito e il vuoto della pubblica amministrazione è stato riempito dalle organizzazioni di volontariato, divenute ormai organismi di sussidiarietà. Il ‘118’ non esisterebbe senza il sostegno del volontariato. La struttura ospedaliera, di cui non si nega l’importanza, è diventata per la pubblica amministrazione l’unica priorità. E in quel territorio sono rimaste le farmacie, e i medici generici, come poveri fantaccini abbandonati a sé stessi. Autonomamente coordinati ed organizzati in tempo reale anche di fronte all’emergenza coronavirus. Il famoso Triage telefonico ce lo siamo inventato noi della Medicina Generale.
Qualcosa però sta cambiando…
Erano trent’anni che chiedevamo il superamento del sistema di prenotazione, prescrizione, ritiro dei farmaci, un sistema macchinoso, che richiedeva tempo, energie, spostamenti, gas inquinamento, intasamento degli ambulatori medici. Solo di fronte all’emergenza virus tutto ciò si è disattivato dimostrando che i nostri anziani sono in grado di usare lo smartphone e che potrebbero essere seguiti per le cure nelle loro case. Dar loro lo smartphone non è né un’utopia ne’ un lusso. Ma una necessità. Mia madre che ha 90 anni ne ha uno e lo sa usare.
E’ un passo decisivo verso la sburocratizzazione o solo temporaneo?
No, da qui indietro non si può tornare, anche se alcuni settori stentano ad adeguarsi. Tutto il digitale dovrà essere digitalizzato, tutto il dematerializzabile sarà dematerializzato, tutto il misurabile a distanza sarà misurato, tutto il prenotabile sarà prenotato, tra poco ogni cartella clinica avrà la videoconferenza integrata. E anche noi potremo assistere in maniera diversa e meglio tutti i pazienti ma soprattutto gli anziani, i fragili, i cronici, i poveri. Avremo un solo passaggio: prescrizione/invio/consegna.
Fra i tanti ostacoli che vi trovate a fronteggiare sussiste ancora la la minaccia delle fake news, contro cui vi siete mobilitati.
Stiamo da sempre lottando contro idee astruse che mettono a rischio determinate persone, come gli ipertesi, che sono in Italia 6 milioni, con una mortalità tripla del Covid. Ogni bufala o mezza verità diffusa dai media su Fans, antiipertensivi, vitamine, gruppi sanguigni integratori o che racconta di cure miracolose, provoca telefonate allarmate dei pazienti e riduce il tempo dedicato alle cure. L’appello è a misurare le parole, a spiegare bene o meglio sarebbe tacere.
Dott.Cricelli, in questi terribili giorni, qualche antico tabù è caduto, altri vacillano, altri ancora resistono, ne usciremo cambiati?
Personalmente non sono né ottimista né pessimista, cerco di rendermi conto della situazione delle forze e delle risorse che abbiamo sul campo, e di agire di conseguenza con buon senso ed equilibrio e soprattutto la consapevolezza che la risposta richiede una nuova visione delle cose nel loro insieme, nuovi modelli, nuovi comportamenti. Non si può ripercorrere le stesse strade che ci hanno condotto dentro questo cataclisma. Le cose si vanno modificando. E’ quanto cerco di spiegare, con calma, e senso di responsabilità nel programma radio Rai di Emanuela Falcetti quando descrivo le difficoltà e le novità nel rapporto medico/paziente e per la formazione professionale, pensando alle prospettive che possono, devono potersi aprire davanti a noi. Con il nostro contributo.
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