Uno dei driver dei comportamenti dell’uomo dell’antropocene (epoca geologica attuale, in cui l’ambiente terrestre, nell’insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, viene fortemente condizionato dagli effetti dell’azione umana, con particolare riferimento all’aumento di CO2 e CH4 nell’atmosfera) è che quanto si può più consumare tanto più si è liberi.
Quindi, paradossalmente, uno degli ostacoli che si frappone fra la libertà e la scelta è quella della capacità di poter scegliere ‘ad libitum’ e senza limiti.
La persuasione è che la libertà coincida con la capacità di consumo ed essa è anche collegata alla schiavitù dell’accessorio e del superfluo ed è tale per cui anche elementi che non sono la sostanza di un bene, quindi sono elementi accessori, voluttuari e, in alcuni casi, addirittura, anche dannosi, sono gli elementi che ci fanno consumare di più. E’ il desiderio del superfluo.
Senza scomodare gli eccessi del vizio (droga, cibo, alcool, sesso ecc.), è sufficiente citare gli eccessi di consumo dell’ambiente, delle risorse naturali, delle relazioni sociali, delle opportunità di comunicazione.
Siamo oggetto di iper connessioni digitali, di iper sollecitazioni visive e auditive. Siamo affascinati dall’’oltre’ e dall’’iper’.
Il desiderio ha delle conseguenze: le innovazioni tecnologiche lo hanno posto come mozione degli affetti e come formazione del carattere e non vi è dubbio che la rete ha favorito il mettersi insieme e il collegarsi. Infatti, proprio alcune azioni di consumo tratte dal desiderio possono diventare patologie del desiderio e del consumo.
Andare sull’accessorio ci rende anche più protagonisti. Ma come è possibile, da questo punto di vista, sottrarsi a questa iperstimolazione del sociale accessorio?
Non certo evitandola, ma gestendola e ponendosi delle domande sul fatto ed in che modo tutto questo abbia un impatto positivo e sociale cioè trovare la misura e l’equilibrio.
Ora, per entrare nel vivo della nostra relazione fra quello che è il desiderio e l’impatto sociale, essa va misurata e valutata ed è necessario che noi ci applichiamo con dei modelli e con dei metodi per poter misurare e valutare ciò che sta in un range di misura (Aristotele), evitando ciò che straborda verso l’alto o verso il basso.
Tutto questo comporta il banale concetto di equilibrio e la misurazione e la valutazione di impatto ci permetterà di avere un proxy opportuno, imprescindibile e di orientamento per attivare un insieme di azioni che stanno all’interno di questo range. Tradotto in approccio aziendale ed imprenditoriale, questa impostazione crea vantaggio per l’ impresa e per il sistema economico e sociale in cui sì vive e si agisce.
Se riprendiamo la legge aurea della gestione dell’impresa composta da efficienza, efficacia, economici
Anzi, si avranno situazioni ondivaghe tali per cui da situazioni di massimo assoluto si potrà cadere, in modo verticale, in situazioni di minimo assoluto.
Allora il consumismo, come ogni ‘ismo’, è un elemento negativo che deve diventare consumo.
Quindi, i consumi intesi come capacità di avere prodotti e servizi che tengono il loro equilibrio fra il minimo ed il massimo della libertà non sono una blocco ed un modo di conculcare la libertà, ma un modo per sviluppare una vera libertà ed il vero sociale.
Il sociale emancipa la società, la rivoluzione scientifica offre opportunità di progresso e l’innovazione tecnologica sviluppa azioni con performance elevata: tutto questo offre una certa libertà all’uomo al quale è permesso di guadagnare non solo e sempre più libertà, ma anche una accelerazione forte rispetto a quello che potrebbe sembrare in termine assoluti solo progresso.
Tutto questo è utile per l’uomo per liberarsi da condizionamenti e da catene secolari. Alcuni di questi concetti sono il filo narrativo del libro di Salvatore Natoli, ‘Il posto dell’uomo nel mondo per i tipi della universale’ (Economica Feltrinelli-2022).
Per Natoli ,per esempio,se noi riprendiamo il concetto spinoziano della ’titillatio’ questa, se in eccesso, diventa deviante e persino impoverente.
Infatti, Baruch Spinoza dice che la potenza di questo effetto può essere così grande che supera le alterazioni del corpo e, in sintesi, si dimentica la sostanza per focalizzarsi sugli accessori e sugli elementi non di massima importanza.
Anche la comunicazione entra in questa dimensione della ‘titillatio’ e quindi cerca di fare in modo che di tutti si sappia tutto, ma non le cose importanti.
Come dice Spinoza noi viviamo in una continua variazione, ‘in continua vivimus variatione’, e siamo mossi da spinte contraddittorie.
Ora è importante che si adotti e si mantenga un equilibrio ed una stabilità in condizioni di variazione perturbate; cioè entriamo nella dimensione del come stai in equilibrio anche fra due carenze:un conto è ‘essere affamati’ ed un conto è ‘aver fame’.
Andare sull’accessorio ci rende anche più protagonista, ma come è possibile a questo punto sottrarsi a questa iperstimolazione del sociale ?
Misurando e valutando l’impatto delle azioni non con l’approccio di chi pensa di avere una visione assoluta , compiuta ed esaustiva dell’effetto prodotto,ma con l’approccio di essere orientati verso un risultato che comunque ha delle valenze di dinamismo positivo. C’è quindi una esigenza di virtù anche aziendale.
Natoli sottolinea il processo logico di Aristotele secondo cui dobbiamo tendere alla mesòtes che consiste nel individuare il giusto mezzo in condizioni di variabilità. Per avere il giusto mezzo, è necessario avere una misurazione che secondo lui è un proxy che ci offre un termine di valutazione e ci permette di fare attività che mantengono questa zone nell’ambito di un range del minimo e del massimo.
In un’impresa, il concetto di ‘mesòtes’ è quello che non ci possono essere degli stipendi del management con un moltiplicatore eccessivo rispetto agli stipendi di base dei dipendenti perché il rischio è che chi è motivato da uno stipendio eccessivo e molto elevato tende a risultati di egoismo utilitaristico che non tiene conto delle attività e dell’ interesse della impresa come insieme di risorse, persone, materiali.
Infatti, ritornando al mantra per impresa di successo, essa deve essere orientata alle condizioni di funzionamento che, evitando quelle che possono considerarsi delle patologie inerenti l’eccessivo o la diminuzione eccessiva della produttività, oppure l’ eccessiva efficacia di risultato della diminuzione dei risultati. Ed in effetti il vizio aziendale è quello che trasmoda l’equilibrio aziendale.