L’ex vescovo di Kinshasa, Laurent Monsengwo Pasinya, durante una conferenza sul Congo svoltasi a Bruxelles lunedì 25 febbraio ha rotto gli indugi e le prudenze della CENCO (Conferenze Episcopale Nazionale del Congo), sugli esiti delle elezioni presidenziali del 30 dicembre 2018.
La CENCO, con oltre 40.000 osservatori sparsi nei seggi a livello nazionale, è considerata alla unanimità l’ente più imparziale e sicuramente più credibile della CENI (Commissione Elettorale Nazionale Indipendente), strettamente controllata dal dittatore Joseph Kabila. Dopo l’inaspettata vittoria del candidato d’opposizione Félix Tshisekedi, frutto di un accordo segreto con Kabila, la CENCO si era limitata ad affermare che i dati in suo possesso erano differenti da quelli diffusi dalla CENI, avvertendo di conoscere il vero vincitore delle elezioni, ma rifiutandosi di svelarne il nome.
Un rifiuto motivato a livello politico e orientato verso la prudenza. Dopo un anno di sfide al regime di Kinshasa, la Chiesa Cattolica ha potuto constatare la capacità del regime a contenere le proteste popolari da essa organizzate a favore di una vera transizione democratica, dopo l’inganno pepetrato dal rais sugli accordi di San Silvestro. Il 31 dicembre 2016, dinnanzi alla decisione di Kabila di accedere ad un terzo mandato, al rinvio delle elezioni e alle proteste popolari scoppiate spontaneamente e duramente represse, la Chiesa Cattolica si era fatta promotrice di un accordo teso ad assicurare un passaggio pacifico di potere, evitando di far sprofondare il Paese nel caos della guerra civile. L’accordo prevedeva il rinvio delle elezioni fino al febbraio-marzo 2017, e la possibilità per Kabila di rimanere Presidente dopo la scadenza del suo mandato (20 dicembre 2016) con l’impegno di organizzare le elezioni e concedere un passaggio democratico dei poteri.
L’accordo fu utilizzato dal dittatore per rimanere alla Presidenza senza mai firmalo ufficialmente. Le riunione furono continuamente rinviate per quasi due anni, iniziò una strategia di pulizie etniche all’est del Congo contro la tribù Nande, economicamente molto influente e avversa al regime, un caos militare organizzato da milizie alleate a Kinshasa diretto contro la popolazione e una dura repressione delle manifestazioni organizzate dai cattolici.
Arrivando ai ferri corti con il Santo Padre, nel 2017, Kabila decise di usare il pugno di ferro contro la CENCO, varando una triste stagione di minacce e omicidi del clero e bruciando varie chiese nel Paese. Seppur capace di meglio organizzare e orientare le proteste popolari rispetto alla opposizione politica, la Chiesa Cattolica si trovò dinnanzi ad un scacco matto attuato dal regime, deciso allo scontro diretto e militare contro la popolazione avversa ai piani di Kabila. Non potendo entrare nel terreno del confronto diretto, la CENCO fu costretta a interrompere le organizzazioni delle proteste e a concentrarsi sul monitoraggio delle elezioni che furono finalmente tenute lo scorso dicembre.
L’ex vescovo di Kinshasa Monsengwo durante la conferenza a Bruxelles ha pronunciato parole inaspettate ma chiare. «I vescovi, attraverso i loro osservatori elettorali hanno potuto constatare che Martin Fayulu ha vinto le elezioni. È lui il vero vincitore. Questo è il problema» . Monsignor Monsengwo ha continuato rivelando che i dati sugli spogli delle urne in possesso della CENCO sono stati confrontati con quelli a disposizione del partito di Tshisekedi, UDPS (Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale). Entrambi evidenziavano la vittoria di Martin Fayulu. Una dichiarazione molto grave che getta pesanti ombre sulla legittimità del neo eletto Presidente del Congo, considerato da molti una semplice marionetta utilizzata da Kabila e dal clan dei Mobutisti per continuare a controllare le sorti del Paese e le immense ricchezze naturali.
Monsignor Monsengwo, nato a Mongobele il 7 ottobre 1939 e divenuto sacerdote il 21 dicembre 1963, ha fatto un solida carriera all’interno della Chiesa Cattolica in Congo. Nel 1980 fu nominato da Papa Giovanni Paolo II vescovo ausiliare di Inongo, e nel 1981 vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Kisangani. Dal 1984 al 1992 ha ricoperto la carica di Presidente della CENCO e nel 2007 Papa Benedetto XVI lo nominò arcivescovo di Kinshasa. Nel 2013 Papa Francesco lo nomina membro del Consiglio dei Cardinali, i consiglieri del Santo Padre e studiosi del progetto di revisione della Curia Romana. Incarico mantenuto fino al dicembre 2018.
Monsignor Monsengwo è una figura storica dell’opposizione cattolica fin dai tempi del dittatore Mobutu Sese Seko. Ha sempre nutrito il sogno di un Congo sotto influenza cattolica. Un sogno che ha inaugurato un lungo periodo conflittuale prima contro Mobutu, poi Kabila padre e figlio. Una conflittualità caratterizzata da un alternanza tra dura opposizione al regime e compromessi con il potere. Nel novembre 2018 Papa Francesco lo spinse a rinunciare al Governo pastorale dell’arcidiocesi di Kinshasa per raggiunti limiti d’età, sostituendolo con il più moderato Fridolin Ambongo Besungu. Una scelta motivata dall’aver constatato l’impossibilità di sostenere lo scontro sociale e i sogni di potere di Monsengwo non condivisi dal Vaticano.
Le dichiarazioni fatte da Monsignor Monsengwo sono a titolo personale, ma non ci sono state prese di distanza da parte della Chiesa Cattolica, mettendo così in dubbio la legittimità presidenziale di Tshisekedi e la sua legittimità e un rafforzamento di Martin Fayulu.
Il vincitore defraudato della Presidenza dal 18 febbraio ha iniziato una tourné nel Paese per domandare la verità delle urne, paragonandosi al auto-proclamato presidente Juan Guaido in Venezuela. Una campagna iniziata all’est -Goma, Beni, Butembo- e acclamata da un non trascurabile supporto popolare, che rappresenta un test per la solidità della coalizione dei partiti di opposizione Lamuka, tradita da Félix Tshisekedi e Vital Kamerhe, attuali Presidente e Consigliere Presidenziale. La coalizione inizia a dare segnali di cedimento. Secondo le rivelazioni di Gabriel Kyungu Wa Kumwanza un veterano della politica congolese prossimo a Moise Katumbi, l’ex governatore del Katanga e il suo alleato politico Jean-Pierre Bemba, entrambi esclusi dalla gara elettorale, starebbero per distanziarsi dalla Lamuka da loro considerata non più utile.
Seppur in difficoltà, Fayulu sembra ancora possedere cartucce di grosso calibro. Grazie alla sua amicizia con i petrolieri americani è riuscito a convincere l’Amministrazione Trump ad annunciare venerdì scorso sanzioni e l’interdizione di viaggiare negli Stati Uniti contro il Presidente della CENI Corneille Nangaa il suo Vice Presidente Norbert Basengezi, il Presidente dell’Assemblea Nazionale Aubin Ndjalandjoko e il Presidente della Corte Costituzionale Benoit Lwamba Bindu.
«Questi individui si sono arricchiti personalmente grazie alla corruzione e hanno supervisionato le violenze contro le persone che tentavano di esercitare il loro diritto a manifestare pacificamente e la libertà di espressione. Gli Stati Uniti rinnovano il loro sostegno al popolo della Repubblica Democratica del Congo dopo lo storico trasferimento di poteri nel Paese, sottolineando i dubbi sulla legittimità e la trasparenza del processo elettorale», si legge nel comunicato stampa redatto dal Ministero americano degli Affari Esteri.
Le dichiarazione del Monsignor Monsengwo hanno indirettamente legittimato i vari movimenti di cittadini che stanno reclamando giustizia per tutte le vittime della marce pacifiche organizzate dal 2016 al 2018.
Félix Tshisekedi nel tentativo di consolidare la sua figura Presidenziale e di farsi accettare dalla popolazione, durante una visita di Stato in Namibia ha dichiarato che concederà la libertà a tutti i prigionieri politici e una profonda ristrutturazione dei servizi segreti (ANR) accusati di aver perpetuato violenze contro i manifestanti. Nel suo discorso Thisekedi ha voluto sottolineare che Martin Fayulu non viene censurato e può continuare senza problemi a tenere comizi politici. Queste promesse, abbinate a quella di debellare il gruppo terroristico ruandese FDLR, sono tese a prendere tempo al fine di consolidare una Presidenza ancora messa in dubbio e per dare una immagine di Capo di Stato risoluto e deciso a cambiare nel meglio il Paese.
Eppure le prove della sudditanza verso il regime di Kabila sono più che evidenti. Il Fronte Comune per il Congo, la coalizione politica di Kabila domina il Parlamento, dove detiene la maggioranza dei seggi e condiziona le decisioni di Tshisekedi, destinato a scaldare la poltrona presidenziale fino alle prossime elezioni del 2023 dove Joseph Kabila potrà ricandidarsi.
Giovedì 21 febbraio tutti i leader della coalizione FCC hanno ribadito la loro fedeltà a Kabila, puntando sul cavallo vincente per mantenere intatti i loro privilegi e consolidare la loro partecipazione alla colossale rapina del Paese in atto dal 2001.
«Gli osservatori sono stati sorpresi nel constatare che nonostante non sia più presidente da un mese, Joseph Kabila continua a utilizzare i simboli del potere. Il Congo sarà governato da due presidenti? Kabila si servirà della maggioranza del suo partito al Parlamento per dirigere il Paese dietro le quinte. Félix Tshisekedi Tshilombo è destinato a diventare un esecutore delle volontà di Kabila. Al contrario Tshisekedi dovrebbe affermarsi con arbitro supremo della Nazionale, tendere la mano ai suoi ex compagni di lotta: Fayulu, Katumbi, Bemba. Kabila non ha il diritto di imporre la sua volontà sul Paese ma assumersi le sue responsabilità. Tshisekedi deve agire prima che sia troppo tardi», spiega il giornalista Baudouin Amba Wetshi sul sito congolese di informazione Congo Independant, auspigandosi che Félix Tshisekedi ripercorra i passi del Presidente angolano Joao Lourenco che ha posto fine all’era dei Dos Santos. Un scenario difficile da materializzarsi in Congo secondo molti esperti regionali.