domenica, 26 Marzo
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Congo: espulso l’Ambasciatore dell’Unione Europea

Il Ministro congolese degli Affari Esteri, Leonard She Okitundu, ha chiesto all’Unione Europea di richiamare il suo Ambasciatore entro 48 ore come misura di ritorsione del rinnovo delle sanzioni ad personam deciso dalla UE il 10 dicembre  -provvedimento che colpisce anche Emmanuel Ramazani Shadary, ex Ministro degli Interni e delfino del Presidente uscente Joseph Kabila, accusato di crimini contro l’umanità durante la repressione delle proteste popolari del 2016 2017, nate dal rinvio delle elezioni.

L’ambasciatore Bart Ouvry è stato costretto a fare le valige in tutta fretta. Il regime giustifica questo grave atto di guerra diplomatica appellandosi al principio di reciprocità e riferendosi al rinnovo della sanzioni. “Ho provveduto a informare il Consiglio dell’Unione Europea da tre settimane che occorreva ritornare sulla decisione del rinnovo delle sanzioni ma non ho ricevuto solo la risposta che la decisione verrà riesaminata senza specificare i tempi. Per noi questa risposta non è sufficiente. Abbiamo avuto fin troppa pazienza con l’Unione Europea e ora abbiamo deciso di agire”, spiega il Ministro Okitundu al mensile ‘Jeune Afrique’.

Il regime di Kabila accusa la UE di pesanti e intollerabili ingerenze nella vita politica interna del Paese. Accusa, inoltre, Bruxelles, di essere al fianco dell’opposizione, della società civile e in particolare della Chiesa Cattolica attuando manovre eversive per destabilizzare la democrazia in Congo. Questa è la tesi sostenuta da Barnabe Kikaya bin Karubi, Consigliere diplomatico del Presidente Kabila. Il regime di Kinshasa ha avvertito che l’espulsione dell’Ambasciatore è sola la prima delle misure di ritorsione che verranno attuate contro l’Unione Europea.

L’atteggiamento ambiguo dell’Unione Africana sembra aver incoraggiato la sconsiderata scelta del regime Kabila di espellere l’Ambasciatore europeo. In un comunicato ufficiale del 19 novembre il Consiglio di Pace e Sicurezza della UA aveva chiesto a Bruxelles di cancellare le sanzioni.

Le elezioni che si dovevano svolgere domenica 23 dicembre sono state rinviate al 30 dicembre 2018. Un rinvio dell’ultimo minuto che potrebbe nascondere la volontà del rais di cancellare le elezioni dopo aver constatato che solo un pugno di fedelissimi voterà per il suo Delfino Ramazani.  Non è un caso che negli ultimi giorni la sicurezza è peggiorata nell’est del Paese soprattutto nella Provincia del Nord Kivu. Esecuzioni sommarie, torture, stupri, lavoro forzato, pulizia etnica. Questa escalation di violenze potrebbe essere stata creata ad hoc per giustificare un rinvio dell’appuntamento elettorale al 2020.

Un rinvio parziale (fino al marzo 2019, giustificato dall’epidemia di Ebola e dai conflitti etnici) è stato già deciso dalla CENI, la Commissione Elettorale,  per le città del Nordi Kivu di Beni, Bunia e Butembo. Il provvedimento ha toccato anche la città di Mai-Ndombe, provincia di Bandundu.

Ieri 27 dicembre centinaia di migliaia di manifestanti sono scesi in piazza a Beni, Bunia, Butembo e Goma per protestare contro il rinvio delle elezioni a marzo 2019. «Le elezioni non potranno essere trasparenti se oltre 3,5 milioni di elettori non potrà votare il 30 dicembre ma tre mesi dopo. A che servirà il voto? Il rinvio è stato deciso in modo di prolungare il periodo dei risultati finali che sono già sfavorevoli a Ramazani prima ancora di votare. Il regime necessita di tempo per trovare strategie adeguate per rimanere al potere contro la volontà popolare»,  ci spiega, protetto dall’anonimato, un professore universitario di Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu.
È proprio a Goma che si è assistito a scene di guerriglia urbana e scontri con la Polizia che ha arrestato oltre 100 manifestanti. L’etina Nande si sente particolarmente colpita dal rinvio elettorale, dopo che dal 2012 sta subendo violenze inaudite attuate dai terroristi ruandesi FDLR e da gruppi armati congolesi Mai Mai loro alleati. Violenze orchestrate dal regime di Kinshasa e per le quali accusa le ADF, guerriglia mussulmana ugandese praticamente distrutta nel 2014, ma che serve da capro espiatorio per le nefandezze e in crimini contro l’umanità di Kabila.

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