Il 23 dicembre 40 milioni cittadini del Congo sono chiamati a votare per rinnovare la Presidenza, dopo due anni di rinvii, un voto che sulla carta dovrebbe rappresentare una transizione verso la democrazia. Ora è possibile che si vada ad un ennesimo rinvio. La motivazione è che, nella notte tra il 12 e il 13 dicembre, quasi 8.000 macchinari per il voto elettronico sono andati distrutti in un incendio scoppiato a Kinshasa. Lo hanno riferito ai media locali i funzionari della Commissione elettorale (CENI). Il Ministro dell’Interno, Henri Mova Sakanyi, ha riferito ai giornalisti della ‘Dpa’ presenti sul luogo, che le fiamme sono state appiccate di proposito dai ‘nemici della democrazia’, sebbene non abbia fornito ulteriori dettagli.
«L’incendio mette certamente in discussione le assicurazioni del Governo sul fatto che le votazioni andranno avanti come previsto» , ha detto Indigo Ellis, analista dell’Africa per Verisk Maplecroft, aggiungendo che potrebbe essere visto come un tentativo di screditare l’opposizione o semplicemente ritardare nuovamente il voto.
Le nuove macchine, prodotte nella Corea del Sud, sono state oggetto di controversia con l’opposizione, perché potrebbero consentire al partito al Governo di manipolare il voto.
Così come le macchine, il fuoco ha incenerito diverse cabine elettorali e veicoli di trasporto, ha detto il corpo in una nota ufficiale.
Elezioni complicate quelle che dovrebbero mettere fine ai 17 anni di presidenza di Joseph Kabila, ma non fine al dominio di Kabila, visto che il candidato del partito del Presidente è di fatto un suo delfino, Emmanuel Ramazani Shadary, dopo la rinuncia del rais a sfidare la comunità internazionale candidandosi per un terzo mandato, e dopo due anni di rinvio del voto.
Dopo il voto, avvisava nel monitoraggio di novembre Crisis Group, le violenze potrebbero degenerare, dopo una campagna elettorale già caratterizzata da una violenza diffusa. Le Nazioni Unite, all’inizio di questa settimana, avevano espresso ‘seria preoccupazione’ per le notizie di soldati che disperdono violentemente i raduni e i comizi elettorali dell’opposizione e che secondo alcuni attivisti per i diritti umani hanno provocato almeno due morti. E sempre all’inizio di questa settimana, l’Unione europea aveva prorogato, fino al 12 dicembre 2019, le sanzioni in vigore contro 14 alti funzionari del Governo, tra cui proprio Ramazani.
Le sanzioni, che prevedono il congelamento dei beni e il divieto di viaggiare nell’Ue, sono state adottate tra il 2016 e il 2017 “in risposta all’ostruzione del processo elettorale e alle relative violazioni dei diritti umani”. Il Consiglio europeo ha ribadito “l’importanza di tenere elezioni credibili e aperte a tutti, nel rispetto dell’aspirazione del popolo congolese ad eleggere i propri rappresentanti” e ha annunciato che “riesaminerà le misure restrittive tenuto conto delle elezioni, pronto ad adattarle di conseguenza”.
Dunque, se il voto si terrà, il Congo probabilmente avrà un Presidente sotto sanzioni da parte dell’Europa, con il quale il Congo ha rapporti oramai sempre più problematici. Il tutto in un Paese dilaniato da una parte dagli scontri che rischiano di sfociare in una guerra regionale, dall’altra da Ebola.
L’ultimo report dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) segnala 37 nuovi casi in 10 province dal 5 all’11 dicembre, con 4 nuove infezioni fra gli operatori sanitari, che fanno salire a 51 il totale di quelli colpiti. I casi di Ebola, invece, all’11 dicembre risultano in tutto 505, di cui 457 confermati e 48 probabili, con 296 morti. L’Oms segnala «sostanziali progressi su diversi fronti per gestire la situazione», con passi avanti nell’implementazione di misure sanitarie. Non bisogna comunque abbassare la guardia, anche nel 2019, sottolineano dall’Oms, “fiduciosi comunque che si possa mettere fine all’epidemia”.
Ma la situazione più grave deriva dai conflitti che divampano da tempo. L’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), nell’ultimo report diffuso in queste ore, esprime grave preoccupazione per l’ingente numero di persone rimaste senza alloggio a causa dei combattimenti. Le violenze in corso impediscono alle agenzie umanitarie l’accesso necessario a garantire la fornitura di assistenza di base in diversi settori. Secondo le stime dell’UNHCR, le abitazioni di circa 1,5 milioni di persone sono state danneggiate o distrutte. Le valutazioni si basano sulle conclusioni del Gruppo di lavoro sull’alloggio guidato dall’UNHCR, che tra maggio e novembre di quest’anno ha condotto una ricerca in sette delle 26 province della Repubblica Democratica del Congo. Negli scontri mortali che coinvolgono gruppi armati e forze governative, così come nel corso di attacchi mirati, molte case sono state completamente bruciate e molti materiali da costruzione e tegole sono stati saccheggiati e smontati. Alcune delle persone costrette a fuggire hanno riferito che interi villaggi sono stati ridotti in cenere. Nelle province orientali dell’Ituri e del Nord Kivu, circa 88.000 case sono state distrutte o danneggiate a causa della violenza. A molte persone non è rimasta altra scelta che cercare riparo altrove, dipendendo dall’accoglienza delle famiglie ospitanti. Questa situazione sta gravando sulle già limitate risorse, costringendo alcune persone ad inserirsi nel mercato del lavoro sessuale o minorile. Negli insediamenti spontanei, le persone si trovano in disperate condizioni di indigenza e dormono in capanne fatte di rami e sacchetti di plastica, esposte a malattie ed epidemie. I pochi beni che le persone sono riuscite a conservare spesso finiscono con l’essere rubati. Le donne e le ragazze sono ad altissimo rischio di violenza sessuale. Nell’area colpita dall’ebola vicino a Beni, nel Nord Kivu, negli ultimi tre mesi si sono registrati oltre 1.300 casi di violazioni dei diritti umani contro civili, inclusi attacchi fisici, uccisioni indiscriminate, saccheggi e rapimenti. In Ituri, nelle ultime settimane vi sono stati nuovi attacchi a postazioni militari e a civili da parte di assalitori spesso non identificati. A seguito della nuova ondata di violenze, da settembre nel territorio di Djugu, in Ituri, l’UNHCR ha ricevuto segnalazioni di circa 100.000 nuovi sfollati nella provincia. Si stima che nel 2018 oltre un milione di congolesi siano diventati sfollati interni.
A sfidare Ramazani, saranno due candidati dell’opposizione, Felix Tshisekedi e Martin Fayulu, con pochissime possibilità di uscire vincitori, per quanto Fayulu sia riuscito acquisire un buon consenso. Kabila, intanto, in settimana, in una rara intervista ai media occidentali rilasciata a ‘Reuters’, ha ufficializzato quanto gli osservatori locali da mesi davano per scontato: nel 2023 il rais tornerà candidarsi, Ramazani è il delfino destinato a governare in attesa del ritorno del ‘capo’, e sotto stretta sorveglianza del medesimo, visto che Kabila dice che ha intenzione di continuare a giocare un ruolo sulla scena politica del Paese, anche fornendo ‘consigli’ al futuro capo dello Stato.
Prima dell’incendio, secondo dichiarazioni dei vertici della Commissione Elettorale, tra il 93 e il 94 per cento del territorio nazionale era già rifornito delle macchine per il voto e delle altre apparecchiature elettorali, secondo una nota di ‘Jeune Afrique’. Fonti vicine a Kabila avrebbero ammesso che «A prescindere dalle ragioni, un nuovo rinvio del voto potrebbe portare ad una crisi di troppo dall’incerto esito». CENI assicura che sta lavorando perché il voto si possa tenere regolarmente, ricorrendo al ‘magazzino’, ciò alle macchine di riserva, che sarebbero circa 8mila, un nuovo ordinativo infatti richiederebbe mesi.
I collaboratori di Ramazani accusano dell’incendio Martin Fayulu, che ha sempre rifiutato il passaggio al voto elettronico.«È una provocazione», dicono dall’enturage di Fayulu, e accusano il regime di aver inscenato l’incendio per «paura della crescita della popolarità di Martin Fayulu», «Il regime di Kabila non vuole tenere elezioni».
«L’organizzazione delle elezioni non è stata trasparente o credibile e il popolo non è libero» di scegliere, così il premio Nobel per la pace Denis Mukwege, in una dichiarazione all’agenzia ‘AFP’, dicendo che sul Paese incombono incertezze che potrebbero portare a disordini o violenze politiche durature. I risultati elettorali porteranno facilmente a proteste «e questo non è positivo per la democrazia», ha detto il chirurgo, che ha curato migliaia di donne stuprate da combattenti armati.
Oro, uranio, rame, cobalto, diamanti la fortuna e la disgrazia del Paese, saranno al centro anche di questa transizione, come lo sono stati per gli ultimi decenni. Kabila vigilerà sui suoi interessi proprio su questi beni e questo significherà una transizione fasulla.
La Repubblica Democratica del Congo -precedentemente nota come Zaire- non ha mai conosciuto una transizione pacifica del potere da quando ha ottenuto l’indipendenza nel 1960 dal Belgio.
Negli ultimi 22 anni, due guerre hanno scosso il Paese, ora sconvolto – nel centro e nell’est- da un conflitto a bassa intensità, o meglio a ‘bassa visibilità’ in Occidente, che rischia di innescare un nuovo conflitto regionale.
Ventuno persone stanno gareggiando per succedere al Presidente Joseph Kabila, per quanto solo Tshisekedi e Fayulu siano effettivi credibili candidati, emersi da un fronte di opposizione spaccato e indebolito dalla decisione della Commissione elettorale nazionale di escludere i due pesi massimi, l’ex signore della guerra Jean-Pierre Bemba e il ‘barone’ regionale Moise Katumbi, che hanno il potente sostegno rispettivamente nell’ovest e nel sud-est del Paese.
Le conclusioni del rapporto della Fondazione Carter sono raggelanti. Secondo la fondazione, il 23 dicembre «più di sette milioni di voti potrebbero essere potenzialmente fraudolenti». «Se le elezioni si svolgeranno in queste condizioni, potrebbero portare il Paese ad affrontare anni di proteste, indebolendo ulteriormente la legittimità delle elezioni, aggravando i conflitti nell’est e nel Kasai». La regione centrale del Kasai, ricca di diamanti, ha subito una spirale violenta nel 2016, dopo che un potente capo locale è stato ucciso dalle forze di sicurezza. Circa 3000 sono morti e 1,4 milioni in più sfollati a causa di combattimenti.
Anche la Conferenza Episcopale congolese –da sempre molto attiva sullo scenario politico locale– ha avvisato: in assenza di elezioni credibili, inclusive e pacifiche, la Repubblica Democratica del Congo rischia di sprofondare nella violenza o addirittura nel caos che può dar fuoco a tutta la subregione dei Grandi Laghi.
Entro i primi giorni della prossima settimana dovrebbe essere finalmente chiaro se le elezioni si terranno, se così sarà, poi inizierà il nuovo travaglio del Congo.