L’obiettivo per il Presidente Joseph Kabila è di conservare il potere a tutti i costi sul Congo. Un intento che ha fatto scatenare estese proteste popolari su tutto il territorio nazionale (dove la Chiesa Cattolica gioca un inedito ruolo di leadership) e il biasimo della Comunità Internazionale. L’astuto dittatore – alla guida della Repubblica Democratica del Congo dal 2001 – lo scorso febbraio ha annunciato a sorpresa di rinunciare a candidarsi alle elezioni presidenziali, rinviate dal dicembre 2016, data in cui il secondo mandato di Kabila era scaduto.
Questo annuncio segue la dichiarazione fatta dalla Direttrice della Commissione Elettorale Nazionale Indipendente (CENI), Corneille Nangaa, fatta il 27 gennaio, dove si poneva l’accento sulla impossibilità di indire le elezioni presidenziali e amministrative prima del 2023. In una abile partita a scacchi, mercoledì 8 marzo il Primo Ministro Bruno Tshibala aveva annunciato che le elezioni presidenziali e amministrative si terranno il 23 dicembre 2018, contraddicendo la CENI. Questa serie di ripensamenti e colpi di scena politici sono considerati necessari dal pool di consiglieri del Presidente congolese per far fronte alle sempre maggiori difficoltà interne ed estere dinnanzi al piano del rais di mantenere in eterno al potere nel Congo. Piano motivato e collegato al controllo sulle immense risorse naturali che generano milioni di dollari al mese ad esclusivo vantaggio della Famiglia Kabila, una ristretta cerchia di fedelissimi tra politici e militari, gruppi armati e terroristici, multinazionali occidentali e asiatiche e Paesi confinanti tra i quali Uganda e Ruanda.
Dopo messo sotto controllo la protesta popolare della Chiesa Cattolica tramite un eccessivo uso della violenza ed eliminato il pericoloso avversario Moïse Katumbi, sostenendo una sua cittadinanza italiana, il rais ora è intento a scegliere il suo candidato presidenziale. Una scelta difficile in quanto deve essere un personaggio politico controllabile che svolga il compito di gestire la P,residenza per un solo mandato, seguendo le indicazioni della Famiglia Kabila e facendosi tranquillamente da parte per permettere a Joseph Kabila di ripresentarsi tra cinque anni.
Anche se verrà individuato e sfruttando la debolezza della opposizione politica, il candidato del rais dovrà far fronte alla ferma volontà della maggioranza della popolazione di farla finita con questa dittatura tramite il democratico esercizio del voto. In una competizione trasparente avrebbe poche probabilità di vincere, quindi occorre ricorrere ai brogli elettorali. Pratica diffusa in Congo che ha permesso a Kabila di vincere le elezioni del 2006 (con l’avvallo degli osservatori ONU, africani e internazionali) e nel 2011. La maggior attenzione dell’elettorato e una accresciuta coscienza politica tra le masse, non permetterà più al regime di ottenere la vittoria elettorale tramite grossolani brogli, come è successo nel 2011, quando le schede a favore dell’opposizione vennero fatte marcire sotto la pioggia nei cortili della CENI o consegnate alle ‘Mammà’ del mercato per incartare il pesce affumicato.
Per attuare le frodi necessarie a garantire la vittoria al candidato fantoccio, il regime Kabila ha fatto ricorso alla tecnologia: il voto elettronico tramite il TVS (Touchscreen Voting System), fornito dalla ditta Sud Coreana Miru System Co. Ltd. Questa nuova tecnologia, già in uso negli Stati Uniti grazie alla legge del 2002 Help America Vote Act (HAVA), permette all’elettore di votare toccando sullo schermo la foto del candidato preferito. La scelta effettuata viene immediatamente trasmessa a una banca dati centrale che aggiorna in tempo reale i risultati, sostituendo lo spoglio manuale. La CENI presenta la TVS come la soluzione ideale per ridurre se non sopprimere eventuali frodi elettorali oltre ai costi e le difficoltà logistiche per fornire alle migliaia di seggi elettorali sparsi sul territorio nazionale, privo di strade, centinaia le schede elettorale prestampate. Basta dotare ogni seggio di una macchina TVS, completa di rotoli di carta, secondo le spiegazioni fornite dalla CENI.
L’introduzione del voto elettronico decisa dal regime di Kinshasa ha scatenato vive proteste da parte dell’opposizione e della popolazione in generale che, nella classica tradizione di humour nero congolese, le ha ribattezzate le ‘macchine truffaldine’. La Chiesa Cattolica si è apertamente schierata contro l’introduzione delle TVS, in quanto la tecnologia sarebbe sospetta e facile da manipolare. L’Ambasciatore americano presso le Nazioni Unite, Nikki Haley, ha dichiarato lo scorso 13 febbraio che l’introduzione delle TVS nelle prossime elezioni in Congo può minare la credibilità dei risultati elettorali, affermando che per il Paese africano il metodo più sicuro è quello di utilizzare le tradizionali schede prestampate, soggette ad attento monitoraggio degli osservatori elettorali nazionali e internazionali. A queste proteste e denunce il Governo congolese ha reagito affermando che le argomentazioni portate sono di parte e non tecnologicamente fondate. In ogni Paese dove le TVS sono state utilizzate le possibilità di frodi sarebbero diminuite del 99% secondo quanto affermano gli ‘esperti’ di Kinshasa.
Di diverso parere Brian Barrett, famoso giornalista americano indipendente che collabora con ‘Wired’ e ‘CBSNews’. Barrett, in articolo del 2016 elenca in dettaglio una serie di problemi tecnici legati alla compatibilità del software TVS e il sistema operativo Microsoft (normalmente in uso tra le Commissioni Elettorali) che aumentano in modo esponenziale il rischio di errori nel conteggio delle preferenze di voto. Inoltre, le TVS sarebbero facilmente manipolabili da esperti di Alta Tecnologia che operano in remoto, come fu dimostrato proprio nel 2015 nello Stato della Virginia. «Qualunque esperto informatico può modificare il voto registrato nelle TVS a distanza di migliaia di chilometri senza essere individuato», affermò l’esperto in sicurezza elettorale Eremy Epstein nel 2015.