New Delhi – La Francia è in guerra. Così ha detto il Presidente francese François Hollande in seguito a uno dei più drammatici attacchi terroristici a Parigi. Ha ragione. Quasi tutte le maggiori potenze del mondo sono con la Francia in questo momento tragico. E molte di loro, comprese gli Stati Uniti e la Russia, stanno combattendo a fianco dello Stato francese contro l’Isis in Siria. Se tutto va bene questa guerra finirà, e con lei finiranno una volta per tutte le dispute tra ‘buoni terroristi’ e ‘cattivi terroristi’ e i differenti standard operativi che alcuni Paesi hanno adottato nei confronti di certi altri, colpevoli di dare supporto al terrorismo in varie forme.
Comunque sia, il fondamentalismo dell’Isis non si sconfigge sul campo di battaglia. La vittoria deve necessariamente comprendere delle riforme nella seconda religione più praticata al mondo, l’Islam. Secondo il Pew Research Center, i seguaci del Profeta saranno numerosi quanto i cristiani entro il 2050, per poi superarli intorno al 2070. I miei ‘amici non religiosi’ mi etichetteranno certamente, ma io credo che la violenza sia qualcosa di intrinseco all’Islam così come viene praticato. Non so dire se di fronte ai terroristi islamici questi ‘non religiosi’ soffrano della sindrome di Stoccolma, ma so riassumere la loro simpatia-empatia in tre punti:
Primo. Va fatta una distinzione tra i terroristi come individui e la loro religione, l’Islam, che è una grande religione di pace.
Secondo, i terroristi stanno solo reagendo alle gravi ingiustizie perpetrate dai Paesi occidentali a danno dei musulmani in Palestina, Siria, Iraq, Iran, Afghanistan e Kashmir.
Terzo, i terroristi stessi sono vittime dei cosiddetti ‘Paesi democratici e capitalisti a maggioranza non musulmana’, dove crescono in contesti degradati e poveri, facili prede della corruzione morale. Il risultato è che il fondamentalismo li affascina, facendo loro adottare linguaggi e testi a sfondo religioso che promettono una ricompensa nell’Aldilà per i sacrifici affrontati sulla Terra, compresa la promessa di un eterno Paradiso e la celebre offerta di ‘settantadue vergini paradisiache’.
Questi sono gli argomenti simpatici-empatici che emergono ogni qualvolta si verifica un attacco terrorista in Occidente, ed in particolare in Europa. Il punto cruciale è la distinzione tra l’Islam come religione e gli aggressori di fede islamica: molti di loro provengono da ex colonie (alcuni di essi si sono convertiti all’Islam da altre religioni, in particolare il Cristianesimo) e vivono tra disoccupazione, droga, criminalità, razzismo e cicli endemici di povertà e privazione dei diritti.
Personalmente, ho un problema nei confronti di questa scuola di pensiero. A prescindere dalle preghiere, credo che qualsiasi religione sia o sia stata associata ad una qualche forma di violenza. Di conseguenza, bisognerebbe valutare l’impegno delle religioni per la pace nella misura in cui sono riuscite a gestire la propria violenza interna e a coesistere con altri culti nel corso della storia. Da questo punto di vista, l’Islam detiene un triste primato. Lasciamo perdere i poveri giovani musulmani. L’apostasia e la blasfemia, e la conseguente condanna a morte nei modi più brutali, sono i punti cardine di diversi Paesi in nord Africa, Asia e Pakistan. E sono tutti Paesi islamici. Di conseguenza, sostenere che l’Islam non abbia problemi di violenza e che i suoi precetti non autorizzino né incoraggino la violenza equivale a negare la realtà. Al giorno d’oggi nessuna religione, eccetto l’Islam, usa la spada per uccidere e convertire i propri nemici.