lunedì, 20 Marzo
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E se il cambiamento climatico ci impedisse di bere caffè?

La produzione di caffè è sempre più a rischio e da qui al 2050 potremmo trovare difficoltà a berne la stessa quantità di oggi. Di chi la responsabilità? Del riscaldamento globale e della diminuzione delle api impollinatrici. Lo scrive un gruppo di ricercatori dell’International Center for Tropical Agriculture (CIAT) di Hanoi, del Moore Center for Science ad Arlington (Virginia), e del Tropical Agricultural Research and Higher Education Center a Turrialba (in Costa Rica). La ricerca è stata effettuata con tecniche di modellazione avanzata, analisi spaziale e dati sul campo. Il calo di cui si parla riguarderebbe l’88 per cento dell’intera produzione dellAmerica Latina, un numero impressionante.

Al centro dell’analisi il fatto che nella crisi produttiva, un ruolo principale lo hanno anche le api impollinatrici; queste potrebbero mitigare gli effetti dell’emergenza climatica grazie alla loro attività e, quindi, costituire una soluzione al problema, o al contrario, accentuare l’emergenza. E’ stato dimostrato che l’impollinazione ha effetti positivi sui campi di caffè, sulla frutta in generale e sul quantitativo della produzione. Un aumento significativo di alcuni tipi di frutta, infatti, si verifica in corrispondenza dell’aumento di determinate specie di api, quelle ‘native’; queste api sono più efficaci nellimpollinazione delle piante di caffè rispetto a quelle che provengono da luoghi lontani.

 

Da questo i ricercatori hanno compreso che massimizzare la biodiversità e farne tesoro, permetterebbe una impollinazione continua nel tempo e, perciò, risolverebbe la crisi del chicco più famoso del mondo. Il numero delle deposizioni di polline sono più alte lì dove le piantagioni di caffè sono vicine alla foresta; questo accade perché il cibo e i luoghi di nidificazione in prossimità riescono a sostenere le popolazioni di api impollinatrici per tutto l’anno. Parallelamente, lo studio ha evidenziato che leggermente più lontano dalla foresta, l’attività si riduce di molto. Ecco che l’ambiente in cui vivono ed operano le api diventa lago della bilancia. E se il cambiamento climatico è tale che riesce ad avere un effetto sulla distribuzione geografica degli insetti impollinatori, ecco che viene a galla il filo di connessione ed il principale nodo su cui operare.

I ricercatori sono stati i primi ad individuare questa correlazione a livello continentale. La produzione di caffè, quindi, verrà influenzata probabilmente in due modi: o direttamente attraverso gli effetti del cambiamento di temperatura, delle piogge e dei diversi eventi atmosferici o indirettamente, cioè, per mezzo dei cambiamenti legati all’impollinazione. Comunque, non è ancora chiaro se ed in che misura gli effetti dell’emergenza climatica accentueranno o meno le perdite future delle aree di produzione del caffè.

E’ necessario esaminare, quindi, il collegamento tra i fattori che influenzano positivamente le coltivazioni per comprendere quale sia la migliore strategia per salvare la produzione e conseguentemente le tantissime comunità per le quali rappresenta l’unica fonte di guadagno. Un impegno effettivo deve essere connesso alla consapevolezza degli effetti che il cambiamento climatico ha, sia sulla disponibilità di caffè che sulla biodiversità delle api. Tutto è concatenato: il riscaldamento climatico intacca la produzione di caffè, e questa diminuzione prevedibilmente sempre più accentuata andrà ad influire anche sul mercato stesso del prodotto; i prezzi sono infatti giù aumentati da qualche anno e alla luce di tutto questo, forse non si tratta solamente di un rincaro speculativo.

E’ proprio la International Coffee Organization (ICO) a porvi l’accento: l’offerta sta calando in ogni parte del mondo, passando da 153.869 sacchi da 60 kg prodotti per il 2016 in rapporto ai 155.061 richiesti dal consumo. Il calo di produzione sia in America latina che in Asia è dell’8%. Tutto questo è in contraddizione rispetto ad una domanda che cresce prepotentemente più del 2% ogni anno; anche le esportazioni rimangono alte, infatti, ni nei primi dieci mesi dell’anno di produzione 2016/17 hanno superato infatti i 100 milioni di sacche, ovvero 5.7 milioni in più dell’anno precedente dove la cifra totale non superava i 96 milioni.

Gli indicatori dell’ICO ad Agosto di quest’anno mostrano che il giorno 8 il prezzo del caffè era di circa 135 centesimi per libbra, il prezzo più alto degli ultimi quattro mesi. Poi si è registrato un significativo fino a toccare i 123.45 centesimi. Le esportazioni rimangono alte a livello globale, ma il Brasile va in controtendenza, registrando un calo dell’11% ad un totale di 1.75 milioni di sacchi. Non è un caso che proprio il Paese carioca, storicamente ai vertici delle esportazioni di caffè, sia stato uno dei più colpiti dai disastrosi eventi climatici dell’ultimo periodo, dove nonostante qualche miglioramento, le piogge faticano a scendere. Il calo riguarda nello specifico le coltivazioni di robusta, la qualità meno cara di caffè, nota per essere usata nelle preparazioni solubili. La scarsità ha destato talmente tanta preoccupazione che nei primi mesi dell’anno si è parlato di necessità di ha acquistare semi di robusta per favorirne le importazioni e sostenere la proficua industria del solubile che però non farà altro che continuare a danneggiare sui coltivatori già troppo provati.

L’America latina è il maggior produttore di caffè al mondo; l’80% di tutta l’arabica sul mercato proviene da qui e più dell’80% di quella produzione deriva da piccole aziende agricole.  I ricercatori hanno individuato dapprima diverse aree lungo il continente (sia tropicali che subtropicali) che rappresentassero un ottimo esempio per la connessione dei due fattori, ovvero l’attività delle api e la produzione di caffè; poi hanno analizzato altre aree dove, invece, vi è una dissociazione in tal senso e i due fattori non vanno nella stessa direzione. I possibili scenari futuri sono scaturiti da questo studio incrociato. Le conseguenze negative del cambiamento climatico sulla produzione di caffè sono molto più nere rispetto alle precedenti analisi effettuate; sono innegabili, infatti, le ripercussioni gravissime previste sui mercati mondiali per non parlare dell’impatto disastroso sul tenore di vita e sulla stessa sussistenza di popolazioni già molto deboli.

Stando alla ricerca, le aree sudamericane prevedibilmente più danneggiate saranno il Nicaragua, l’Honduras ed il Venezuela; una possibile mitigazione delle conseguenze potrebbe, invece, avvenire nelle piantagioni delle regioni montuose di Messico, GuatemalaColombia e Costa Rica. Ma a fare la differenza in queste ultime Nazioni, saranno molto probabilmente anche le popolazioni di api, qui molto più ‘forti‘. La quasi totalità delle zone più appropriate per la produzione di caffè è ai confini delle rigogliose aree verdi; quindi, è proprio da qui che bisogna ripartire.

Insomma, la chiavi per garantire una florida produzione di caffè è sotto i nostri occhi: proteggere l’ambiente forestale per garantire la sopravvivenza e l’efficacia delle api ‘native’ e degli insetti impollinatori, creare coltivazioni specifiche e ambienti in cui le api riescano ad operare nel migliore dei modi.

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