giovedì, 23 Marzo
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Buonanotte ai suonatori

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Mica la frutta è fatta solo di mele Fuji e banane Chiquita, di arance Tarocco e di kiwi della Nuova Zelanda: sappiamo tutti che ci sono altri frutti gustosissimi, magari meno belli, che si possono reperire, ormai, solo da pochi rivenditori specializzati. Prendete la nespola (quelle europea, ovviamente) oppure il corbezzolo o l’azzeruolo: quasi impossibile assaggiarli oggi. Ci sono, poi, frutti che non arrivano più sulle nostre mense, perché non più in produzione o perché si tratta di coltivazioni abbandonate a vantaggio di varietà più commerciali. Pensate alle mele antiche, saporite e belle ma un po’ piccine per i banchi degli odierni mercati (avevano il grande pregio di resistere alle malattie senza l’aiuto degli anticrittogamici e di conservarsi per molti mesi).

Nella Musica, invece, grazie a Dio, le ottime qualità di Bach e Beethoven, Verdi e Puccini, Palestrina o De Victoria, sono rimaste ad allietare le nostre mense musicali, senza essere sostituite da nuovi prodotti, perché di migliori non ne sono stati “selezionati”. I grandi nomi del passato hanno conservato la loro importanza, per quella ovvia “coscienza storica” che può non esserci per le mele, ma che ci deve essere per l’arte. È la coscienza storica, infatti che segna il discrimine tra tutte quelle discipline che, pur rappresentando un artigianato di alto livello, non arrivano ad essere “Arte” nel senso più nobile del termine.

La società odierna, però, sente il peso di tale coscienza storica, soprattutto per l’immensa mole di informazioni che essa comporta, e da questa spesso rifugge per non trovarsi di fronte alla negazione di quel “superomismo di massa”, che ha fondamento sulla sensazione data dalla società ai suoi membri (peraltro solo per certi aspetti) di essere il centro del mondo. Perciò la cronaca, nella quale ciascuno può esistere e divenire attore, è più importante della storia, che è faticosa da vagliare ed aliena alla natura del singolo, al quale finisce per non interessare più. Esso si rifugia, pertanto, nella contemporaneità oppure nel passato conclamato e scontato, rifuggendo dalla zona grigia dove punte di bianco o di nero richiedono uno sforzo maggiore per essere individuate.

Questa, forse, una delle ragioni per cui tanti musicisti di un passato più o meno recente, nonostante qualità riconosciute, hanno oggi perso, completamente o quasi, l’attenzione del grande pubblico. Il loro numero è cospicuo. Trattasi di quegli autori considerati “minori”, che a volte così minori non sono pur senza essere ”maggiori”, che hanno conosciuto una grande notorietà ed un grande successo, discioltisi successivamente.

Tra i tanti nomi di compositori dimenticati che verrebbe da suggerire a titolo di esempio (e troppe saranno le omissioni) il primo che mi viene a mente è quello di Mario Castelnuovo-Tedesco, allievo di Ildebrando Pizzetti per la composizione (anche Pizzetti rientrerebbe nel discorso …), fiorentino, emigrato in America a seguito delle leggi razziali, splendido e prolifico compositore. Autore di numerose colonne sonore cinematografiche, è scomparso dalle sale da concerto e dalla programmazione dei teatri italiani. Di lui è opportuno ricordare, oltre alla cospicua produzione in tutti i generi, che è stato maestro di molti compositori americani soprattutto di musiche da film, e tra questi John Williams, Elmer Bernstein, Henry Mancini (scusate se è poco!). È morto nel 1968.

Nella rarefatta produzione dei teatri italiani non c’è più spazio, ad esempio, per nomi che non siano dei più sofisticati o dei più celebri, e tra questi è facile citarne diversi. Primo fra tutti Alberto Franchetti, figlio di un banchiere ebreo torinese, che fu autore di una decina di opere, alcune della quali di grande successo. Fu compositore stimato da Giuseppe Verdi che citava a memoria pagine del suo Cristoforo Colombo e che alla “prima” del Falstaff chiese, per prima cosa, di conoscere il parere di Franchetti …

La sua opera più celebre è Germania, diretta in prima esecuzione alla Scala nel 1902 da Arturo Toscanini, con Enrico Caruso, Mario Sammarco ed Amelia Pinto nei ruoli principali. Germania entrò pressoché stabilmente nel repertorio, salvo poi uscirne nel secondo dopoguerra (su Youtube è possibile ascoltarne diverse pagine, tra cui la bellissima aria “No, non chiuder gli occhi vaghi” cantata da Caruso, che la registrò, al Grand Hotel de Milan, in quel gruppo di 10 arie della sua prima serie di registrazioni). A titolo di curiosità ricordiamo che Franchetti aveva acquisito i diritti per musicare l’Andrea Chénier, che per prodigalità cedette a Umberto Giordano, e quelli della Tosca che concesse a Giacomo Puccini (che rinunce!).

Di Giuseppe Mulè non si sente più parlare. Delle sue opere se ne faceva, fino a qualche tempo fa, qualche esecuzione a Palermo sua città d’origine. Celebre il suo “Largo” che fu utilizzato come sigla dalle trasmissioni radiofoniche dell’Eiar. Dell’atto unico “La Monacella della fontana” se ne poteva ascoltare qualche esecuzione congiuntamente alla Cavalleria mascagnana. Fu direttore dei conservatori di Palermo e di Roma. Mi raccontava il maestro Anton Guadagno che, quando era allievo del Conservatorio di Santa Cecilia, in qualche occasione fu condotto da Mulè, quale quarto giocatore, all’Hotel Plaza di Roma, dove abitava Pietro Mascagni, per completare un tavolo di Scopone Scientifico, gioco di cui il maestro livornese era appassionato … Giuseppe Mulè è anche l’autore della riforma degli studi nei Conservatori italiani effettuata tra gli anni Venti e Trenta del Novecento (l’attore Francesco Mulè, quello che prestò la voce all’orso Yoghi, e che fu celebre per la pubblicità televisiva della birra Peroni con Solvi Stubing “Chiamami Peroni, sarò la tua birra”, era suo figlio).

Un altro operista dimenticato è Italo Montemezzi nato nell’1875, considerato una specie di Richard Strauss italiano. La sua opera “L’amore dei tre re”, del 1913, dall’omonimo dramma di Sem Benelli, ebbe innumerevoli esecuzioni in tutto il mondo. Si pensi che rimase in repertorio al Metropolitan per più di 25 anni: oggi è pressoché impossibile ascoltarla dal vivo (tra le altre, ce n’è una bella esecuzione, solo audio, in inglese, su Youtube, colonna sonora di un omonimo film americano!).

Di quanti altri dovrei dire: Wolf Ferrari, Refice, Smareglia, Donaudy, Allegra, Perosi …

 

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