Il Dipartimento di Giustizia statunitense ha formalmente aperto un’inchiesta nei riguardi delle società operanti nel settore dell’alta tecnologia, al fine di acclarare che le loro pratiche non configurino alcuna violazione delle norme a tutela della concorrenza. Il sospetto, già serpeggiante da diversi anni, è che i giganti dell’hi-tech approfittino sistematicamente del ‘peso specifico‘ acquisito attraverso le innumerevoli acquisizioni effettuate nei confronti di aziende minori per consolidare ulteriormente la loro posizione dominante, con conseguente distorsione dei rapporti di forza tra domanda e offerta e compromissione del corretto funzionamento del mercato. La mossa nasce dall’esigenza, avvertita già da tempo dalle autorità di Washington nei confronti delle quali vanno intensificandosi le pressioni sia interne che internazionale, di incrementare la trasparenza e, soprattutto, di provvedere a una maggiore regolamentazione del settore, specialmente per quanto concerne il segmento dei social network e dei motori di ricerca connessi alle piattaforme di e-commerce.
In un primo momento, le autorità statunitensi avevano acceso i riflettori su Facebook. Il social network fondato da Mark Zuckerberg ha infatti concordato con la Free Trade Commission il pagamento di un’ammenda da 5 miliardi di dollari per pregresse violazioni della privacy venute alla luce con lo scandalo di Cambridge Analytica, ed ha assunto l’impegno formale ad adottare una serie di misure atte a garantire la protezione degli utenti e ad incrementare la trasparenza. Facebook è stata inoltre sottoposta all’attenzione dall’antitrust per sua inarrestabile avanzata nel settore dell’informazione e pubblicità, effettuata di concerto con Amazon e Google. Ma anche Apple è finita sotto la lente di ingrandimento del Dipartimento della Giustizia, in forza del suo ruolo assolutamente dominante conquistato nel comparto dei degli smartphone e delle app.
Più in generale, il governo di Washington e il Congresso sembrano intenzionati a muoversi nella direzione indicata da un numero crescente di esperti del settore, i quali hanno evidenziato con forza la tendenza delle grandi aziende legate connesse al settore dell’alta tecnologia a far leva sul gigantesco bacino d’utenza di cui godono per consolidare le proprie posizioni monopolistiche e sbarrare le porte del mercato a qualsiasi potenziale concorrente, nonché a colludere tra loro per mantenere elevata la pressione al ribasso sui salari e invariata la mobilità dei suoi dipendenti.
Il punto nodale verte tuttavia sul prezzo dei servizi digitali, che a detta dei più accreditati addetti ai lavori andrebbe fissato secondo parametri ben differenti da quelli, alquanto retrogradi, vigenti al giorno d’oggi. Sostanzialmente, sostengono i più ferventi critici del comportamento tenuto dalle società gravitanti attorno alla Silicon Valley, i monopoli conquistati da Big-tech si fondano su un’intesa implicita con i consumatori, in base alla quale questi ultimi ottengono dalle società operanti nel settore dell’alta tecnologia servizi solo apparentemente gratuiti, perché in realtà pagati sotto forma di fornitura dei dati personali che vengono poi rivenduti a operatori esterni – come Cambridge Analytica, nel caso di Facebook – in cambio di ricche retribuzioni. L’idea che tende attualmente a farsi strada è che la strutturazione di un mercato realmente funzionante ed efficiente sia fortemente collegata alla fornitura, da parte di Big-tech, di compensazioni di gran lunga più sostanziose rispetto a quelle corrisposte attualmente agli utenti, sia in maniera pecuniaria che tramite una maggiore protezione della loro privacy.
Nel caso in cui i vertici del potere pubblico statunitense dovessero realmente decidersi a incamminarsi lungo questo sentiero, i contraccolpi per Big-tech potrebbero rivelarsi pesantissimi. Gli esperti di D. A. Davidson, dal canto loro, hanno sottolineato in proposito il gigantesco «potenziale dell’introduzione di regolamentazioni a seguito di indagini antitrust a livello globale», destinato a compromettere o quantomeno ridimensionare drasticamente i piani di espansione messi in cantiere dai grandi gruppi. Un numero crescente di Paesi, rileva ancora D. A. Davidson, «stanno prendendo atto del pericolo derivante dal permettere a pochi giganti hi-tech, da Amazon a Apple, da Facebook a Google, di esercitare una simile influenza sulle vite quotidiane dei consumatori», e stanno pertanto cominciando a predisporre adeguate contromisure.
Naturalmente, l’apertura dell’inchiesta da parte del Dipartimento di Giustizia e l’eco mediatica ottenuta dai rilievi mossi dagli analisti di D. A. Davidson ha inciso fortemente sull’andamento azionario dei colossi dell’alta tecnologia. Nell’immediato, Facebook ha perso il 7,5%, mentre Google è scivolata del 6,1%. Amazon e Apple, invece, hanno bruciato rispettivamente il 4,6% e l’1%.