Difficile sottrarsi alla necessità, al desiderio, di commentare brevemente, molto brevemente, i due discorsi diversissimi, ma importanti di Joe Biden e di Mario Draghi.
Biden ha avuto il coraggio di tracciare una linea netta tra le ‘democrazie‘, che indico tra virgolette perché, a costo di sbagliare, non riesco mai a sottrarmi al dovere di ricordare che democrazia non è per sempre: la democrazia è uno strumento fragilissimo, gestito n genere con mezzi rozzi e approssimativi, spesso solo verbali, anzi, verbosi, anzi, parolai.
Senza entrare in particolare e senza citare i vari ‘casi’, che vanno da Recep Tayyip Erdogan (l’’autocrate’ ha corretto ieri Draghi, sbagliando come ho scritto, perché è un dittatore, pessimo) a Vladimir Putin, ma passano tranquillamente tra Bin Salman e Biden, tra Jair Bolsonaro e Benjamin Netanyahu fino ad arrivare a Boris Johnson, Emmanuel Macron e Draghi, senza entrare in particolari del genere, è sempre bene tenere gli occhi aperti. Quando si parla di democrazia, spesso si parla solo dei propri interessi e della propria parte: basterebbe pensare alla volgarità del dibattito italiano sulla legge elettorale, finalizzata o finalizzabile alla governabilità, che c’entra con la democrazia come il cavolo a colazione. Però è indubbio che in una democrazia non certo solidissima come quella statunitense (non lo abbiamo mica dimenticato Donald Trump e il cornuto attentatore al Parlamento?) e che oscilla tra un Martin Luther King che sogna un mondo civile e i bombardamenti in Siria e in Iraq, per non parlare del Vietnam. Quindi, ripeto, calma, come si dice tra ragazzi, calma e gesso.
Bravo Biden a parlare degli armeni e del loro sterminio. Ma ora, e non solo lui, per favore non solo lui, noi italiani perfino noi abbiamo di che farci perdonare assai, passiamo a parlare degli altri, di tutti gli altri: i curdi, ad esempio, massacrati da sempre, i mussulmani del premio Nobel Aung San Suu Kyi, oggi agli arresti ad opera dei suoi militari, ai neri di Rwanda, del Mali, ai popoli del deserto del Sahara ignorati da tutti, eccetera. Ma anche visto che è stata citata esplicitamente da Draghi la signora Liliana Segre, una parole sui palestinesi, sarebbe prova di generosità e di senso della verità.
Se questo è un primo passo, ma, appunto, solo il primo, ben venga il discorso di Biden. Ma se quello è stato solo il modo per dire ad Erdogan di stare al suo posto di sentinella e baluardo anti-Russia, non va bene, o meglio, è indifferente.
Draghi, a sua volta, ha fatto un discorso, al solito baciato dal dono della brevità e della incisività, ottimo. Ha criticato gli autocrati, ma ha anche avuto il coraggio e l’onestà intellettuale di dire che la nostra Italia è stata a lungo dilaniata da una lotta feroce, solo in minima parte ideale o ideologica, tra fascismo e antifascismo -suvvia, mica vogliamo credere alla storiella che il fascismo ha solo basi ideologiche! Una lotta che ha portato lutti e tragedie, ma specialmente ha scavato un solco tra gli italiani, un solco che una massa di politicanti di basso conio non sa come superare, ma sa solo dire che non c’è, per liberarsi la coscienza, come ci si libera di un cibo mal conservato.
Non c’è, questa chiarezza di idee questa coscienza della realtà, al punto che, giustamente Draghi parla della indifferenza, come tarlo profondo della nostra società. Mi si permetterà di aumentare il peso di quella affermazione, per aggiungere che l’indifferenza, o peggio lo sberleffo per le ‘ideologie‘, sono il mezzo (o possono esserlo) per fare passare inavvertite pretese e realizzazioni oppressive, ma ‘democraticamente‘ decise.
Oggi, forse, non più con la violenza fascista -solo resuscitata e ricordata in continuazione da uomini (si fa per dire) come Matteo Salvini e altri come e con lui- col populismo sfrenato dei sovranisti e dei giustizialisti a corrente alternata tipo Beppe Grillo e Giggino.
Ecco, cerchiamo di misurare bene il nostro comportamento con la realtà, dice Draghi, no all’indifferenza, benissimo dice Draghi no all’odio, bene intende forse dire, no all’idea che il 25 Aprile sia la festa dell’antifascismo invece che la festa della Repubblica, ma no anche a dimenticare le quante volte a quella festa non hanno voluto ostentatamente partecipare tanti che oggi rivestono cariche e hanno prebende e hanno avuto funzioni importanti.
Solo che non basta dirlo, bisogna farlo. E per farlo, che occasione immensa ha Draghi nelle mani, nell’unico modo in cui si può: con la cultura, cioè con la scuola, cioè con la storia, cioè non solo con lo STEM che piace tanto al Ministro della Pubblica Istruzione, ma anche con un rilancio della economia che porti benessere specialmente ai tantissimi, che sono la stragrande maggioranza, che di questa crisi mostruosa hanno pagato e pagheranno il prezzo maggiore, sulla proprio pelle, ogni giorno, tutti i giorni.
Niente populismo o rivendicazionismo o sindacalismo deteriore, d’accordo, ma attenzione a quella gente. Solo, e concludo, se si ha a mente la vita e l’interesse di tutti, ma proprio tutti, a cominciare (sì, proprio così) dai nostri nemici o avversari, si può sperare in qualcosa che non sia il solito dibattito trito e rituale, intorno ad una democrazia che si strappa dalla propria parte, per dominare meglio … democraticamente.