venerdì, 31 Marzo
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Bangladesh: elezioni, la Premier Hasina vince. Ma è solo una farsa?

Il dato pressoché definitivo relativo alle elezioni tenutesi in Bangladesh, reso noto nella serata di Domenica 30 dicembre, è stato accompagnato da notizie sconfortanti su vere e proprie battaglie urbane tra opposte fazioni, soprattutto a causa di scontri derivanti dall’azione di manifestanti delle opposizioni. La Premier del Bangladesh Sheikh Hasina presentatasi nel Distretto di Gopalganj ha vinto con un margine di 2.2 milioni di voti di differenza ed ora guida l’Awami League, il suo partito, alla vittoria, il che le consentirebbe, fatta la somma con gli alleati, di conquistare 200 seggi nel Parlamento nazionale. Ariz Aftab, membro della Commissione Elettorale parte dei tre membri indiani che componevano quella delegazione, ha affermato che la situazione è stata pacifica quanto basta per considerare valide le elezioni nazionali ma fonti non ufficiali hanno a lungo vociferato di almeno 17 morti compresi molti agenti dell’Awami League.

Al di là del dato elettorale, la virulenza delle manifestazioni guidate dalle opposizioni che congiuntamente sono scese in strada per esternare il proprio dissenso, è legata al fatto che esse ritengono si sia trattato di una colossale farsa e che le elezioni vadano invalidate. Proprio su questo convincimento, hanno stabilito di definire nella giornata di Lunedì 31 dicembre il da farsi nelle ore successive e nei seguenti giorni per opporsi strenuamente al risultato elettorale ufficializzato. Kamal Hossain, uno dei leader del fronte delle opposizioni si è detto pronto a ridiscutere la materia con i vertici del BPN in modo da pianificare più in dettaglio le azioni da intraprendere sia nella direzione della manifestazione del proprio dissenso avverso il dato elettorale ufficiale sia per impedire in ogni modo l’insediamento del nuovo Governo.  Lo stesso Hossain, un po’ come tutti i vertici delle formazioni politiche confluite nel fronte delle opposizioni, chiede a viva voce di affossare tutto e ripetere le elezioni con maggiori e migliori criteri di controllo sulla legalità delle operazioni sia di voto sia di spoglio elettorale.

Per Sheikh Hasina si profila così il quarto mandato con una larga maggioranza che peraltro risulta persino in crescita. Le accuse relative a brogli elettorali, veicolate anche da vari media internazionali e non solo locali o di area, sono state la miccia degli scontri fuori da alcuni seggi con il corollario di morti e feriti. La Commissione Elettorale del Bangladesh, avendo ricevuto notizie degli scontri, ha laconicamente affermato che condurrà delle indagini in tal proposito. Sheikh Hasina guida il Paese dal 2009 ma i vertici delle opposizioni non hanno mai smesso di parlare di dati truccati o di elezioni artefatte, persino usando urne elettorali variamente truccate. Un portavoce del Bangladesh Nationalist Party (BNP) ha segnalato di avere prove di brogli in almeno 221 dei 300 seggi sui quali oggi si avanzano contestazioni. Subito dopo l’apertura delle urne si sono scatenati gli scontri, un video-report della BBC mostra scontri fisici violenti soprattutto a Chittagong, dai seggi elettorali locali non si è voluta rilasciare alcuna dichiarazione in merito. E’ pure vero che vi erano presenti solo agenti del principale partito di governo, l’Awami League in loco. Si segnala pure il fatto che 28 candidati delle principali rappresentanze politiche delle opposizioni sono stati trascinati a forza fuori dai seggi elettorali prima che le urne fossero chiuse, persino con aggressioni, spintoni e minacce. Attivisti, osservatori ed i partiti di opposizione hanno segnalato la possibilità di voto condizionato e scorretto ma il partito di governo ha risposto che si tratta solo di vacue congetture. La stessa Hasina, contattata da media internazionali, ha affermato: «Da una parte presentano denunce, dall’altra attaccano i nostri operatori che lavorano per il Partito, i nostri leader. E’ questa la tragedia in questo Paese».

Le elezioni questa volta hanno assunto una particolare rilevanza. Rispetto al quadro politico dei mandati precedenti ricoperti dalla Premier Hasina, in questo frangente storico le elezioni sono cadute in un contesto particolarmente complesso. Il Bangladesh è una Nazione in netta prevalenza di estrazione musulmana con più di 160 milioni di persone ed oggi sfida in prima linea gli effetti dei cambiamenti climatici. Vi sono poi da annoverare altre questioni altrettanto grandi come l’insorgenza estremista islamica, la povertà endemica in vaste zone del Paese e la corruzione. Recentemente la Nazione è finita nelle luci dei riflettori di tutto il Mondo a causa del fatto che centinaia di migliaia di Rohingya, etnia musulmana minoritaria del vicino Myanmar sono giunte disperate nel proprio territorio per sfuggire alla persecuzione del governo e dell’esercito birmano ed alla catastrofe umanitaria. Durante gli ultimi dieci anni le leve del potere politico nazionale si son fatte sempre più chiuse e retrive, si sono concentrare sulla monetizzazione del proprio ruolo di componente rilevante del processo produttivo globale a tutto discapito, però, della qualità della vita di larghe fette della popolazione nazionale e soprattutto con un vertice politico sempre più arroccato e sempre più autoritaristico.

La rivale di lunga data di Sheikh Hasina, Khaleda Zia, è stata messa in prigione con l’accusa di corruzione agli inizi dell’anno scorso e le è stato impedito di competere nel voto in un caso legale che lei stessa non ha esitato a definire una chiara montatura politica per escluderla dal voto. In assenza di Khaleda Zia, Kamal Hossain – che in precedenza era stato sia ministro in quota Awami League sia alleato di Hasina – ha guidato e guida tutt’ora l’opposizione che raggruppa il Jativa Oikya Front che comprende anche il Bangladesh National Party BNP di Khaleda Zia. In ogni caso, l’81enne esponente politico che ha compartecipato alla revisione della Carta Costituzionale del Paese non ha partecipato alle elezioni. Il BNP ha boicottato l’ultimo voto del 2014, rendendo il voto di Domenica scorsa il primo a coinvolgere i maggiori partiti del Paese in 10 anni.

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