Come scrivevo ieri, la decisione USA di rifornire l’Australia di sommergibili a propulsione nucleare, l’accordo AUKUS, è da interpretare necessariamente come un atto ostile. Anzi, anche di più, perché implica l’idea che alla potenza economica cinese ci si prepari ad opporsi con la violenza militare. La Cina, del resto, non ha manifestati intenti aggressivi in termini militari verso altri Stati. Certo, vuole cercare di riprendersi Taiwan, che del resto, pare, si accinge a collegare alla terraferma con il più lungo tunnel sottomarino del mondo. Taiwan, non bisogna dimenticarlo, fu il rifugio del governo nazionalista cinese all’esito della ‘Lunga Marcia‘ e alla presa del potere da parte di Mao Tse-tung. Ma faceva parte integrante della Cina, e quindi non vi è nulla di illegittimo nel pretendere di riacquisirla, fin tanto che non lo faccia con l’uso della forza e contro la volontà della popolazione.
E dunque la decisione statunitense è, a dir poco, un atto ostile, e forse una vera minaccia di aggressione, ma anche azione di una significativa valenza per noi europei.
Come è noto l’Australia aveva già un accordo con la Francia per la fornitura di 12 sommergibili per un valore di 56 miliardi di euro. Orbene, l’azione USA, interferisce con quell’accordo, che viene letteralmente stracciato da Canberra, il che provoca le ire di Emmanuel Macron, che richiama gli ambasciatori sia Canberra che a Washington, per mostrare la propria forte rabbia. Ma, io rilevo, è molto importante che la Francia non abbia avuto esitazioni a prendersela anche con gli USA, che le hanno rubato un bel contratto. Non che la Francia possa iscriversi al club delle verginelle internazionali: a parte il fatto che ancora oggi dispone di colonie, tra cui quelle del Pacifico, non si è certo fatta remore, ad esempio, quando ha bellamente strappato ai cantieri navali italiani quelli francesi che gli italiani avevano comprato e regolarmente pagato … forse proprio perché pensava di costruire quei sommergibili.
Sta in fatto, comunque, che ora la Francia ha un motivo di irritazione con gli USA, tanto più che Joe Biden, da quando siede alla Casa Bianca, non ha mancato occasione per sottolineare il suo scorso interesse per lo ‘scacchiere europeo’, e perfino un certo sprezzo.
Questa vicenda, dunque, potrebbe favorire una decisione europea seria sulla messa in comune delle forze armate dei Paesi europei.
Questo avvenimento, gestito in maniera becera dagli USA, potrebbe essere l’occasione d’oro per mettere in pratica con decisione le proposte avanzate da Mario Draghi e da Ursula von der Leyen, qualche giorno fa: una politica europea coesa e comune, appoggiata da una difesa comune e vera.
È un dato di fatto che da quando c’è Biden alla Casa Bianca, la rozzezza e l’atteggiamento sprezzante degli Usa non ha mai mancato di farsi vedere, e quindi anche su questo si potrebbe e dovrebbe ragionare: Joe Biden, come Donald Trump, non considera più l’Europa un luogo interessante e di riferimento per la politica statunitense. Biden ha scelto, anche più brutalmente di Trump, di farci capire che dal suo punto di vista l’Europa non conta nulla, la vera politica (aggressiva) si fa nell’area del Pacifico. Tanto che, innanzitutto si potrebbe cogliere l’occasione per dire chiaro e tondo che la NATO ha finito il suo compito, perché gli USA sono interessati al Pacifico, e noi cerchiamo di fare da soli. Certo, amici degli USA, ma non più dipendenti.
Ma specialmente, dato che certo non possiamo, se non altro per la lontananza fisica, intervenire in qualche modo nel ‘confronto’ aperto da Biden con la Cina, possiamo cominciare a svolgere un ruolo costruttivo non di mediazione, ma di offerta di una alternativa seria e pacifica al mondo intero.
Insomma, questo è un momento topico come pochi lo sono mai stati per l’Europa: si tratta di decidere se vogliamo continuare ad essere una somma mal fatta di paeselli ricchi di alterigia, ma privi di soldi, di tecnologie, di uomini, insomma di idee, o vogliamo diventare protagonisti e quindi padroni di noi stessi.
Ma si può fare una cosa del genere solo a due condizioni: creare strutture europee di controllo e guida dell’intera politica europea e puntare decisamente ad una ripresa solida e rapida con i mezzi che abbiamo, disporre di una forza armata, magari piccola e da ‘costruire’ ogni volta che serve, ma che aiuti l’Europa allo svolgimento del suo compito di elemento equilibratore del sistema. Poi si tratterà di superare la vecchia e rituale obiezione americana alle nostre pretese espressa nella nota frase: ‘se devo parlare con l’Europa, non ho un numero di telefono da usare’.
L’Europa ha tutto l’interesse a cercare con tutti, e quindi anche con la Cina, punti di incontro e di cooperazione economica, non subordinata né alla Cina né agli USA. Per non parlare della sconfinata prospettiva di una ripresa di rapporti non conflittuali con la Russia.
Gli ultimi avvenimenti si prestano ad una seria e consapevole presa di coscienza che il nostro futuro dipende strettamente dalla nostra capacità di esserci, e di esserci come soggetto autonomo e forte: in questo gigantesco conflitto, la piccola politica dei singoli Stati europei non può nulla.
È ora di unirsi e coordinarsi, e fare un abbonamento telefonico.