martedì, 21 Marzo
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Arturo Toscanini: primo divo della direzione d’orchestra

A 150 anni dalla nascita, ricordiamo una delle figure più importanti nella storia della direzione d'orchestra

Il 25 marzo del 1867, a Parma, nacque Arturo Toscanini. Sono passati cento-cinquant’anni da allora e molto è stato scritto su questo personaggio straordinario. Nato in un’Italia appena unita, era figlio di Claudio Toscanini, volontario decorato che combatté al fianco di Giuseppe Garibaldi nel 1859, nella Spedizione dei Mille, in quella di Aspromonte e, in fine, nella campagna del Trentino del 1866. È forse anche a causa dell’impronta paterna che il giovane Arturo Toscanini sviluppò un carattere forte che lo portò ad essere, non solo uno dei maggiori interpreti della direzione d’orchestra della sua epoca, ma anche un personaggio pubblico e politico di rilevanza internazionale.

Dallo stretto rapporto con Giuseppe Verdi, che venerava e che rappresentò la punta di diamante del suo repertorio, al rapporto con grandi compositori suoi contemporanei (Giacomo Puccini, Claude Debussy, Richard Strauss), dalle prese di posizione contro i regimi fascista e nazista all’emigrazione negli Stati Uniti, dal celebre concerto di riapertura del Teatro alla Scala nel 1946 (dopo la ristrutturazione seguita ai bombardamenti subiti durante la guerra) al ritiro e alla morte avvenuta nella sua residenza di Riverdale (presso New York) il 16 gennaio del 1957, la vita di Toscanini è stata un susseguirsi di episodi pittoreschi molto celebri che, a tratti, rischiano di oscurare il valore effettivo del suo contributo allo sviluppo della direzione d’orchestra.
Non bisogna dimenticare che, alla nascita di Toscanini, la direzione d’orchestra era una prassi molto giovaneLa comparsa del direttore d’orchestra come lo intendiamo oggi si ebbe solo agli inizi del XIX secolo. In precedenza il compito di staccare i tempi all’inizio dei brani e di coordinare le esecuzioni era ricoperto, a seconda dei casi, dal ‘continuista’ (colui che, al clavicembalo, all’organo o al liuto eseguiva il ‘basso continuo’, ovvero la realizzazione armonica del brano), dal primo violino o dal solista. Con l’allargamento delle formazioni orchestrali e dell’utilizzo sempre più frequente di cambi di tempo graduali (“accelerando”, “rallentando”, “stringendo”, “ritenuto”), una prassi del genere divenne poco efficace e si affermò (prima in area tedesca, poi in francese ed italiana) la figura del direttore d’orchestra che, in piedi di fronte ai musicisti, ne gestisce i tempi, le dinamiche e le interpretazioni.
Quando, nel 1886, Toscanini debuttò a Rio de Janeiro, sostituendo a soli diciannove anni il direttore incaricato di dirigere l’Aida di Verdi, la direzione d’orchestra era una prassi che si era affermata da meno di un secolo. Normalmente era il compositore stesso a dirigere i propri brani e la figura del direttore d’orchestra professionista era solo agli esordi. Se si fa eccezione per Hans von Bülow (1830-1894), che fu il primo musicista dedito principalmente alla direzione d’orchestra, le altre figure dell’epoca erano piuttosto di secondo piano.
Semplificando molto, si può dire che dopo Bülow, primo direttore celebre in quanto tale, il testimone passò ad Arturo Toscanini e Gustav Malher. La prematura scomparsa del compositore boemo nel 1911, però, rese Toscanini il più grande direttore d’orchestra della sua generazione. E forse, al di là dell’indiscutibile grandezza delle sue interpretazioni, l’importanza storica di Toscanini fu proprio legata al suo ruolo nella storia della direzione d’orchestra: Toscanini, che iniziò a dirigere proprio nel momento in cui si diffondevano i sistemi di riproduzione tecnologica della musica, fu il primo divo della direzione d’orchestra, rappresentò, nella sua epoca, l’archetipo del direttore d’orchestra (basti pensare che, durante la sua vita, apparve per ben tre volte sulla copertina della rivista statunitense ‘TIME‘, cosa che, prima di allora, non era mai accaduta ad un direttore d’orchestra).
Dopo di lui, molti altri direttori avranno grande fama fino a divenire dei personaggi pubblici: da Wilhelm Furtwängler (nato nell’anno del debutto di Toscanini) a Leopold Stokowski o Herbert von Karajan, fino ad arrivare ai più recenti maestri come Claudio Abbado o Riccardo Muti.

Il sociologo Franco Ferrarotti, appassionato di musica classica ed autore del testo ‘Il caso Puccini – musica e società, è un grande estimatore di Toscanini. Nel corso degli anni ha avuto modo di collezionare molte informazioni sul maestro di Parma, avendo conosciuto persone a lui molto vicine come il suo allievo prediletto, Guido Cantelli, e una delle cantanti con cui collaborò più strettamente, Margherita Tirindelli. Soprattutto grazie all’amicizia con la Tirindelli, Ferrarotti ha collezionato una serie di aneddoti e particolari sulla personalità e sul carattere di Toscanini: “io sono soprattutto colpito ed ammirato dal suo coerente antifascismo, cosa non facile all’epoca. Nel caso di Arturo Toscanini l’antifascismo non era, come nel caso di alcuni antifascisti di un certo livello sociale, una questione di gusto aristocratico (perché in fondo i fascisti erano dei facinorosi): Toscanini, pur non essendo mai stato un militante politico, aveva la consapevolezza che il fascismo, anche se aveva un fondamento vagamente populistico, era in realtà tutto in difesa degli interessi consolidati. Mi è accaduto di sapere, attraverso Cantelli ed altri, come Toscanini si rendesse perfettamente conto che il primo atto del Governo Mussolini nel ’22 fu l’abolizione della nominatività dei titoli azionari”.
Questa consapevolezza ci dimostra come l’antifascismo di Toscanini non fosse solo legato al suo carattere e alle vicende personali: si trattava bensì di una consapevolezza ben più matura che lo portò a fare delle scelte non facili dal punto di vista della carriera. Dopo la celebre aggressione subita a Bologna nel 1931, quando si rifiutò di aprire un concerto con l’inno fascista ‘Giovinezza‘, giurò di non dirigere mai più in Italia fino che il regime non fosse caduto; nel 1933 rifiutò l’invito di Adolf Hitler al Festival Wagneriano di Bayreuth (dopo essere stato, anni addietro, il primo direttore non tedesco a parteciparvi) e, nel 1938, con l’invasione dell’Austria da parte dei nazisti, rinunciò anche al Festival di Salisburgo. Il suo lungo soggiorno americano si deve a queste scelte di carattere politico che, al contrario di quanto si può immaginare, furono le scelte di un uomo consapevole.
Ferrarotti ci parla anche del Toscanini musicista: “pur non potendo dare, da un punto di vista strettamente professionale, dare un giudizio fondato, devo dire che per me Arturo Toscanini ha significato, la prosecuzione dell’opera lirica italiana in senso alto: grazie alla direzione di Toscanini che tornava ai ‘testi’, alle partiture effettive degli autori, tagliando i vezzi delle prime donne, si è avuto un momento straordinario di fioritura di questa grande tradizione italiana”.
Continua Ferrarotti: “in un certo senso, Arturo Toscanini indica la soluzione di una contraddizione apparentemente insanabile: quella fra un atteggiamento altamente aristocratico di interpretazione approfondita delle partiture musicali e, nello stesso tempo, attraverso questa interpretazione perfezionistica, conciliarsi con il gusto musicale di grandi maggioranze. Penso che da questo punto di vista Arturo Toscanini resti una figura esemplare”.

Il Maestro Dominique Rouits, direttore dell’orchestra dell’Opéra de Massy e insegnante di direzione d’orchestra all’École Normale de Musique de Paris – Alfred Cortot, nel definire l’approccio alla partitura di Toscanini, dice: “Perfetto! Conosceva le partiture fin nei minimi dettagli e il fatto che dirigesse a memoria era perfettamente giustificato. Non barava mai e non tollerava che i musicisti barassero”.
Sono in effetti molto celebri le sue sfuriate contro i musicisti durante le prove: se si trovava di fronte a degli errori, se notava una certa stanchezza o, peggio ancora, mollezza nei membri dell’orchestra, non esitava ad insultarli pesantemente. Oltre alle numerose testimonianze dirette, esistono diverse prove audio. Toscanini fu il primo direttore a dedicarsi abbondantemente all’attività discografica (soprattutto dopo essersi trasferito negli USA, dove fu appositamente creata per lui un’orchestra, la NBC Symphony Orchestra, che diresse stabilmente dal 1937 al 1954) e, durante le sessioni di registrazione, lasciò molte tracce dei suoi eccessi d’ira. Queste registrazioni sono divenute famose quasi quanto quelle delle esecuzioni e hanno contribuito a creare, nell’immaginario collettivo, l’immagine del direttore duro, autoritario, impositivo (si pensi all’immagine che ne dà Federico Fellini in ‘Prove d’Orchestra‘).
Secondo il M° Rouits, “è uno stereotipo: oggi, essendo cambiata la società ed essendo il livello dei musicisti molto alto, un direttore come Toscanini non sarebbe più tollerato da delle orchestre che hanno sempre più bisogno di un unificatore e di un pacificatore, più che di qualcuno che li giudichi severamente. Attualmente ci sono ben altri mezzi per ottenere la qualità tecnica e di suono”.

Su questo tema aggiunge il Maestro Luciano Acocella, direttore d’orchestra e titolare della cattedra di direzione al Conservatorio Giovan Battista Martini di Bologna: “erano tempi diversi, nei quali, le asperità caratteriali erano tollerate, soprattutto in virtù di enormi capacità, sensibilità e competenze musicali. Oggi tutto ciò non è più permesso. In un certo senso il futuro di un direttore oggi è largamente rappresentato dal gradimento delle formazioni orchestrali, anche a dispetto di un certo talento dimostrato. Tuttavia, nonostante i dissidi, è sempre rimasto un uomo generoso e attento alle problematiche degli individui”.
Inoltre, continua il M° Acocella, “Personalmente ritengo che il direttore vada ascoltato più che visto. Accade il contrario durante l’esecuzione pubblica. Non è spettacolare né autoreferenziale, un po’ il contrario di ciò che avviene oggi. Toscanini è un direttore da ascoltare e noi lo conosciamo da quando aveva i capelli bianchi, quindi in possesso di carisma, esperienze di vita e musicali. Questo è ciò che il pubblico dovrebbe aspettarsi. Le sue esecuzioni ancora oggi lasciano sbalorditi, serrate e unitarie. Il fraseggio chiaro, poco spazio agli effetti o ai languori. Incredibile perfezione esecutiva, ricerca dell’esattezza nella realizzazione e interpretazione del segno musicale. Personalmente ritengo Toscanini un interprete sempre moderno, mai tramontato”.
Nei confronti del lavoro di Toscanini, secondo Acocella, si prova “Ammirazione innanzi tutto”.  Da lui si dovrebbe imparare a “lasciare la musica e quindi il compositore in primo piano. È lui il creatore, l’esecutore è al suo servizio, è a lui che primariamente va l’applauso del pubblico, poiché senza il compositore non esisterebbe l’esecutore/ interprete e probabilmente neanche il pubblico!”

Toscanini è stato fondamentale nella formazione dell’immagine che il pubblico ha del direttore d’orchestra: il M° Rouits ci dice che “come Karajan, Furtwängler ed altri direttori di quel periodo, il carattere impositivo di Toscanini ha impresso nel pubblico l’immagine, tuttora diffusa, del direttore come un carattere dominante”.
Nonostante ciò, nonostante la sua importanza e la sua grandezza, resta un personaggio molto legato al suo tempo. In che cosa, dunque, Toscanini è moderno e in che cosa non lo è? Certamente, l’approccio aggressivo ai musicisti, come sostenuto da Rouits, oggi sarebbe molto meno tollerato e, altrettanto certamente, il suono a cui oggi è abituato il pubblico non è lo stesso a cui era abituato nella prima metà del XX secolo: l’evoluzione del gusto del pubblico è influenzato da nuovi stili musicali, dalle particolari scelte stilistiche degli interpreti attualmente più in voga, dalle tecnologie con cui la musica viene riprodotta o con cui si costruiscono strumenti e luoghi d’ascolto. Continua Rouits: “il pubblico di oggi ha ascoltato e visto delle orchestre molto differenti e la direzione d’orchestra deve, e sa, adattarsi al nuovo pubblico”.
D’altro canto, non bisogna dimenticare che, seppur mantenendo una buona dose di istintività nell’approccio alla partitura, Toscanini è stato tra i primi direttori d’orchestra a mettere al centro la partitura, ridimensionando i capricci dei solisti e del pubblico (celebre è il suo rifiuto della pratica del “bis”) e, in campo operistico, ricercando una coerente unità tra tutte le parti dello spettacolo. Lontano dagli approcci filologici affermatisi in seguito (che tentano di applicare le prassi esecutive dell’epoca di composizione e, a volte, anche strumenti costruiti secondo le tecniche originali), ha però messo in primo piano l’interpretazione della partitura, dando al direttore d’orchestra una visibilità pubblica che prima non aveva. La lezione di Toscanini, secondo Dominique Rouits, “è l’esigenza verso sé stessi, indispensabile se si vuole pretendere il massimo dai musicisti”.

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