mercoledì, 29 Marzo
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Arabia Saudita: l’inizio della fine del Wahhabismo?

L’Arabia Saudita «torna all’Islam moderato», parola del principe ereditario, Muhammad bin Salman. Torniamo, ha aggiunto il principe, parlando al forum economico di Riad, «a ciò che eravamo prima, una Nazione il cui Islam moderato è aperto a tutte le religioni e al mondo. Non trascorreremo i prossimi 30 anni della nostra vita avendo a che fare con idee di distruzione. Invece, le schiacceremo. Metteremo fine all’estremismo molto presto». Se queste parole corrispondessero ad un reale programma politico e, prima ancora, ad una decisione politica effettiva, sarebbe una svolta per l’Arabia Saudita e per il mondo. Vorrebbe dire che la casa reale saudita abbandonerebbe il Wahhabismo -il riferimento ideologico non solo della casata reale degli Al Saud-, quella interpretazione dell’Islam che sta alla base dell’estremismo islamico, a partire dall’ISIS. Vorrebbe dire che l’Arabia Saudita, dopo aver speso miliardi di dollari (da un minimo di 10 fino a 100, non ci sono dati ufficiali) per sostenere la diffusione del Wahhabismo in tutto il mondo, oggi l’Arabia Saudita ritornerebbe suoi suoi passi.
«Vogliamo una vita normale», ha detto il 32enne principe Mohammed, «una vita in cui la nostra la nostra religione significa tolleranza e le nostre tradizioni gentilezza. Il settanta per cento della popolazione saudita ha meno di 30 anni d’età, e non vuole avere a che fare con l’estremismo, che sarà distrutto una volta per tutte».

Un impegnoforte’ quello del principe: mettere fine all’estremismo, e farlo «molto presto», «schiacciare le idee estremiste», che saranno «distrutte una volta per tutte». Offre una motivazione che potrebbe essere tutt’altro che di facciata: quel 70% di sauditi che hanno «meno di 30 anni d’età», e non vogliono «avere a che fare con l’estremismo». Questa dichiarazione il potente principe ereditario la fa in un contesto economico, un forum nel quale presenta Neom, uno dei progetti di quel grande piano economico al quale da tempo lavora, Vision 2030, e al quale il principe ha dimostrato di voler legare il suo nome e la sua immagine.  Mohammed bin Salman, infatti, ieri ha annunciato un investimento da 500 miliardi di dollari per la costruzione di una città al confine tra Arabia Saudita, Egitto e Giordania. Neom, occuperà 26.500 chilometri quadrati. La città aspira ad essere «la più sicura, la più efficiente, la più orientata al futuro, il miglior posto dove vivere e lavorare» dell’intero regno, spiega una nota che presenta il progetto, la prima zona privata a estendersi in tre Paesi. Città che sarà di fatto un hub globale di attività industriali ed economiche, che per la sua posizione unica può raccogliere il meglio di Europa, Asia e Africa. Vision è il progetto di diversificazione di quell’Arabia Saudita che sta acquistando consapevolezza che il petrolio non potrà essere il suo futuro, di quell’Arabia Saudita che dopo anni di ricchezza che sembrava infinita ha iniziato a misurarsi con i morsi della crisi e con le casse del regno che iniziano segnare rosso. Altro elemento che ha gravato è la crisi di credibilità che, in particolare con l’esplosione sullo scenario mondiale dell’ISIS e della conseguente immagine sempre più compromessa -causa la violenza ISIS- che l’Islam ha acquisito, l’Arabia Saudita e l’Islam estremista stanno vivendo negli ultimissimi anni. Il sostegno al radicalismo di Al Saud, il gioco dei suoi capi per il controllo politico tramite il patrocinio finanziario e l’insistenza del clero per l’istituzionalizzazione del settarismo hanno contribuito solo ad aumentare il dissenso, spingendo milioni di persone a respingere l’impronta prepotente del regno sull’Islam. Una crisi di credibilità morale alla quale si aggiunge la crisi politica determinata dai vari errori sullo scenario internazionale, dal rapporto con l’Iran alla crisi -congelata- con il Qatar, alla guerra nello Yemen. E proprio questa consapevolezza sul futuro che ben poco avrà a che fare con il passato dei Saud, può essere alla base di questa che sembra una ‘svolta’ epocale.

Nel disegno del principe ereditario, secondo alcuni analisti, vi sarebbe un ‘ritorno alla fine degli anni Sessanta e ai primi anni Settanta, quando regnante era Faisal, ucciso nel 1975. Furono, nella sua visione, anni di riforme, in particolare per le donne, alle quali fu consentito, tra l’altro, l’accesso all’istruzione. Dall’altra parte punta a ridisegnare il Regno avendo in mente quanto fatto dalle altre monachie del Golfo, impegnate in progetti architettonici innovativi e ambiziosi.
Un segnale che depone a favore della sincerità delle intenzioni di combattere l’estremismo viene dall’annuncio fatto lo scorso martedì dal principe circa la costituzione del The King Salman Complex. Si tratta di un consiglio di studiosi d’élite provenienti da tutto il mondo, con il compito di sradicare false ed estremiste interpretazioni attraverso la stessa lettura dei hadith del profeta Muhammad, «eliminare testi finti e estremisti e testi che contraddicono gli insegnamenti dell’Islam e giustificano l’esecuzione di reati, omicidi e atti terroristici» deve essere l’obiettivo della Commissione, secondo quanto spiegato dal Ministro della Cultura.
Già nell‘autunno 2015 i media occidentali pubblicarono una copia delle istruzioni alle Ambasciate saudite negli Stati del Medio Oriente -documento segreto- che contiene la direttiva per tutti i rappresentanti diplomatici di cessare gradualmente il supporto finanziario all’opposizione armata siriana. Un segnale di ripensamento al tempo sottovalutato dagli osservatori occidentali, ma non a quelli di cultura islamica. L’Arabia Saudita, sosteneva già allora Ahmad Abbas, un analista iracheno residente a Londra, «sta velocemente raggiungendo una consapevolezza politica: i suoi rapporti con il terrorismo e i crimini di guerra che Riyadh continua a commettere in Yemen sono diventati troppo complicati da razionalizzare, anche per i devoti media».
Circa gli errori nello Yemen, sempre nel 2015, Antoine Macon-Perrier, analista indipendente francese che lavorava nel Golfo, sosteneva che «le politiche imperialiste di Riyadh in Medio Oriente rischiano di evidenziare il fallimento nel riconoscere la propria vulnerabilità politica dentro i propri confini. Le ambizioni egemoniche dell’Arabia Saudita non sono esattamente nuove. La Casa di Saud vanta una lunga eredità di conquiste sotto il proprio nome, partendo dalla scalata del Wahabismo nel XVIII secolo. Detto questo, il livello di aggressione militare al quale abbiamo assistito negli ultimi mesi è qualcosa che il regno non aveva mai tentato prima, ed è qui che Al Saud ha chiaramente sbagliato i calcoli, nonostante le pressioni che deve affrontare a causa del calo del prezzo del petrolio. L’Arabia Saudita non è una potenza militare, si affida a mercenari per esercitare le proprie volontà politiche e in questo modo, alla fine, le sue ricchezze vengono sperperate. Nel frattempo i movimenti di resistenza stanno fomentando la legittimità politica della regione».
Il principe nel suo intervento di ieri naturalmente non ha nominato il wahhabismo, ma l’estremismo che ha promesso sradicare è proprio quello, il wahhabismo, che sta alle radici del regno stesso, e che oramai non è più sotto controllo, i movimenti che il regno a finanziato ora il Regno non riesce più controllarli, e il cancro dell’estremismo sta colpendo il Regno stesso, inoltre i religiosi stanno diventando un potere troppo grande che potrebbe mettere a rischio quello della famiglia reale.

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