L’instabilità politica ed economica continuano ad arrestare la ripresa della Tunisia, Paese-culla dei movimenti rivoluzionari che sconvolsero il Nordafrica. A ormai tre anni dall’immolazione di Mohamed Bouazizi – il giovane venditore tunisino che si diede fuoco il 17 dicembre 2010 a Sidi Bou Zid, morendo il 4 gennaio successivo per le ustioni riportate – le forze politiche tunisine non riescono a trovare la concordia necessaria a riprendere in mano le redini del Paese e a portare avanti il processo di transizione verso la democrazia. Risultato sono l’aumento della discordia all’interno del Paese e un continuo aggravarsi delle tensioni sociali che scuotono il cuore della Tunisia.
Solo sfiorata dalle agitazioni che capovolsero il Nordafrica, l’Algeria ha cercato di approfittare della continuità ai vertici del Paese per accrescere la propria influenza regionale e cercare di acquisire un ruolo di garante nella sicurezza della regione. La crescita delle preoccupazioni riguardanti la permeazione di militanti jihadisti nel territorio nazionale e un’impasse politica dettata in primo luogo dalle speculazioni sullo stato di salute del Presidente Bouteflika hanno però aumentato i timori di Algeri riguardanti la solidità delle proprie istituzioni. L’ampia disponibilità di risorse energetiche garantisce al Governo algerino una rendita economica di dimensioni considerevoli, ma insufficiente per proteggerlo ad oltranza dall’aggravamento delle tensioni sociali nel Paese.
Per evitare che i rispettivi punti di debolezza finiscano per aggravare la situazione nell’intera regione, Algeria e Tunisia stanno cercando di rafforzare la cooperazione, studiando le direttive lungo le quali sviluppare una collaborazione più solida. All’iniziale coordinazione per limitare il peggioramento della situazione lungo i confini, i due Paesi stanno lavorando per abbinare un sostegno utile per impedire che lo stallo interno finisca per danneggiare i reciproci interessi e adottando misure per incrementare la collaborazione economica. Una lunga serie di incontri diplomatici e colloqui tra i massimi rappresentanti dei due Paesi hanno avuto luogo nel corso degli ultimi mesi.
La scorsa settimana a Parigi c’è stato un incontro tra il Presidente tunisino Moncef Marzouki e il Primo Ministro algerino Abdelmalek Sellal, che hanno discusso le principali problematiche legate alla sicurezza e alla pace nei rispettivi Paesi. Il Ministro degli Esteri tunisino Othman Jerandi, anch’egli presente al meeting, ha sottolineato la necessità di “accrescere in ogni campo la cooperazione bilaterale”. Sellal, dal canto suo, ha ribadito la determinazione del proprio Paese a “supportare la transizione democratica in Tunisia”, impegnandosi a individuare soluzioni consensuali senza “interferire negli affari tunisini”.
«L’Algeria è pronta a supportare la Tunisia ed è aperta a qualsiasi soluzione cui il Dialogo nazionale in Tunisia condurrà» ha inoltre detto il Premier algerino, preannunciando un nuovo meeting dell’Alto Comitato congiunto tunisino-algerino (una commissione bilaterale che si prefigge lo scopo di discutere tematiche legate alle relazioni tra i due Paesi) alla fine di dicembre, in cui verrà ulteriormente approfondito il dibattito riguardante le minacce per la sicurezza e i campi dove rafforzare la cooperazione bilaterale.
La discussione di Parigi rappresenta solo il passo più recente compiuto dai due Paesi per cercare di stabilire nuove basi attorno alle quali far convergere i rispettivi interessi. A metà novembre, Marzouki e il Presidente del Consiglio nazionale algerino Bensalah si sono incontrati in Kuwait per discutere riguardo la costruzione di nuove strategie e meccanismi per contenere la diffusione del terrorismo jihadista all’interno dei confini nazionali. Il 23 novembre Bouteflika ha invece incontrato Rachid Ghannouchi, leader di Ennahda, e l’ex-Premier Beji Caid Essebsi, attuale leader del gruppo di opposizione Nidaa Tounes, segno della crescita dell’importanza dell’Algeria nel rafforzamento delle istituzioni tunisine.
«Le relazioni amichevoli tra Tunisia e Algeria non sono niente di nuovo, dal momento che i due Paesi sono sempre stati vicini e hanno cooperato in molti settori» scrive su ‘Middle East Monitor‘ Abdelaziz Alaoui. «L’attività diplomatica di queste ultime settimane, quindi, sembra banale. Ad ogni modo, considerando la posizione algerina nel Nordafrica assieme agli ultimi anni ricchi di avvenimenti che sono accaduti nella regione MENA, gli sforzi dell’Algeria per accrescere la cooperazione con la Tunisia, e i suoi sforzi per promuovere la stabilità politica potrebbero nascondere qualcos’altro che la genuina cooperazione bilaterale o una semplice visita di cortesia. […] Potrebbe sembrare che l’attuale politica del governo algerino sia intesa a raggiungere solo quello: un ruolo di mediazione nella scena politica tunisina potrebbe portare stabilità politica nel Paese che incrementerebbe poi la cooperazione per la sicurezza nel Paese e cementerebbe la posizione dell’Algeria nell’area MENA».
Una delle principali incognite è legata al ruolo che le autorità libiche riusciranno a giocare all’interno delle trattative. Il caos libico sta contribuendo al peggioramento della situazione nei Paesi vicini: l’incapacità delle istituzioni libiche di riprendere in mano la sicurezza nella nazione, di disarmare i gruppi armati che imperversano nel suo territorio e di rafforzare il controllo sulle attività lungo i suoi confini costituiscono dei grandi interrogativi relativi all’efficacia delle politiche che i vari Paesi riusciranno a intraprendere nella nazione. Poco potranno infatti fare Algeria e Tunisia per limitare un’espansione delle attività jihadiste e del contrabbando nella regione se il Governo libico non sarà in grado di restaurare la sicurezza all’interno del suo territorio nazionale e porre limiti all’attività criminale delle milizie. «Senza la stabilità non c’è progresso» ha ribadito il Premier algerino Sellal in riferimento alla Libia durante il meeting di Parigi.
Solo dalla costruzione di nuove strategie di cooperazione può passare il futuro del Nordafrica. Un’intesa tra Governi in difficoltà può aiutare a diffondere nuova solidità istituzionale e rimettere in carreggiata in processi di transizione post-rivoluzionaria nei vari Paesi. Qualora non si riuscisse a porre un limite alla proliferazione del jihadismo e all’indebolimento economico in atto nella regione, la diffusione di pulsioni antistatali potrebbe portare a un collasso dalle conseguenze difficilmente prevedibili.