giovedì, 23 Marzo
HomeAfghanistan - il ritorno dei TalebaniAl Zawahiri e le esecuzioni a distanza degli USA

Al Zawahiri e le esecuzioni a distanza degli USA

Tutto quello che ho per difendermi è l’alfabeto;

è quanto mi hanno dato al posto di un fucile

(Philip Roth)

“Giustizia è fatta” afferma dal balcone della Casa Bianca il pluricovizzato presidente Biden alla notizia dell’eliminazione su un altro balcone alle prime luci dell’alba di Ayman Al Zawahiri attuale capo dei resti di Al Qaeda. La concisa ed asciutta descrizione che la Direttrice di questo giornale ha proposto ieri nella sua scheda anagrafica del medico di famiglia Al Zawahiri fa da viatico a riflessioni prospettiche che aiutano ad inquadrare con questa ulteriore esecuzione un modus operandi dell’ex principale dell’Impero dinanzi ad un mondo che agisce e decide con strategie multipolari.

Le parole di Biden non denotano molta fantasia, avendo utilizzato le stesse parole che Obama pronunciò nel 2011 dopo che l’attacco mirato dei Navy Seals aveva eliminato fisicamente Osama bin Laden, il principe dell’allora nascente e ramificata Al-Qaeda, ad Abbottabad, in Pakistan. Come è opportuno ricordare ai tanti distratti l’assassinio avvenuto il 3 gennaio 2020 con un attacco all’aeroporto internazionale di Baghdad in Iraq di Qasem Soleimani per ordine di Donald ‘fascista’ Trump. Con l’Occidente libero e democratico succube sempre dei voleri americani che non spese una parola di dissenso. Personaggio, quel Soleimania capo di Niru-ye Qods (Brigata Santa in persiano), ovvero l’unità delle Guardie della Rivoluzione responsabile di diffondere l’ideologia khomeinista oltre la Repubblica Islamica. Uomo molto pericoloso, come tanti ovunque nel mondo tra americani e occidentali o cinesi e russi. Certo, si dirà, ma noi non vogliamo destabilizzare altri Paesi e nazioni come fanno le potenze non democratiche.

Veramente? e l’Iraq che cosa è stato, il Vietnam, l’Afghanistan, la Siria, tutte guerre d’invasione non legittimate da alcuno, semplicemente decise dalle strategie americane. Sì ma se non lo facciamo noi lo fanno gli altri. Ah ecco, ma a noi ci hanno insegnato e poi manipolato con propagande di ogni tipo che noi siamo “diversi”, se il cattivo ammazza, noi “buoni” non ammazziamo. Se il “cattivo” distrugge noi “buoni” non ammazziamo donne e bambini a migliaia in Iraq, non distruggiamo qualsiasi cosa si muova in Siria, non radiamo al suolo con il napalm interi villaggi vietnamiti. Insomma noi siamo la ragione, il progresso, la civiltà, lo spirito contro la barbarie. Andatelo a raccontare ai milioni di musulmani che ci odiano, chissà perché. Sto dalla parte del nemico? Sì certo, gli stolti e cretini abbondano, le intelligenze ormai scarseggiano, i pensieri pensati da qualcun altro prevalgono sui contorcimenti personali di un pensiero critico e non accomodante. Ah ecco perché oltre il dolore per una sola singola morte i 5-6 mila civili ucraini morti, magari pure il doppio, non mi hanno toccato fino in fondo. Perché sono stato anestetizzato a comprendere che migliaia di morti tra la popolazione irachena o afghana erano “l’inevitabile” prezzo che qualcuno doveva pagare per le nostre libertà occidentali. Poi non li vedevamo neanche, non conoscevamo i loro nomi, parlavano altre lingue, non usavano i nostri profumi ed essenze, di morte per loro.

Ritornando al Soleimani, era stato inserito nel 2007 dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu (con voto unanime?) e dal Consiglio dell’Unione europea nella lista degli uomini chiave per il suo ruolo nel programma nucleare iraniano con misure restrittive verso l’Iran per le sue attività connesse a missili nucleari o balistici. Allora come oggi, ieri in Pakistan, poi in Iraq, oggi in Afghanistan, il killer americano compie esecuzioni a distanza senza che le sue istituzioni locali vengano neanche informate dei blitz in atto di vari presidenti, democratici o meno. Questo il codice di approccio ed il regime d’azione che gli americani utilizzano per manifestare la loro affinità con il concetto di democrazia di guerra che hanno interiorizzato sin dai primi quaccheri bovari sul suolo del Nuovo Mondo per poi attribuirsi l’arbitrio, con fucili ed impiccagioni, massacri di indiani ed istituzione di un proprio ordine, quello bianco poi così ben espresso dal suprematismo bianco oggi rigurgitante e terroristico dopo il loro sodale fascista Trump alla Casa Bianca.

L’America deve sempre essere in guerra con qualcuno per mostrare che loro sono dalla parte del giusto, con il solito armamentario di Dio fede e verità dalla loro parte. Così l’Occidente ha costruito la sua supremazia. Certo, dall’altra parte stanno sgherri assassini e dittatori, le donne vengono silenziate o eliminate quando non schiavizzate, il diritto a dire pensieri contrari a quanto stabilito dai vari ministeri della virtù (!), esiste, tra i pecorari tribali lerci e brutti afghani. E così come nei Blues Brothers, esilarante delizioso film di Belushi ed Aykroid, anche loro, per una buona causa, of course, ovviamente, erano in missione per conto di Dio. Un uso sempre più talebano della fede che almeno prima del clan Bush alla presidenza era tenuto fuori dal governo del paese. Poi, particolare sfuggito ai tantissimi, divenuto rito officiante l’apertura di discussioni tra presidente e consiglieri, individui come Cheney e Ramsey, per non dire del fu Colin Powell che all’Onu dichiarò il falso dimostrando con carta straccia, i famosi dossier provenienti dalla Nigeria a cui demmo un contributo anche noi italiani con qualche agente dei servizi, ché siamo fedeli alleati, come i cani da riporto, che Saddam avesse le famose armi di distruzione di massa. Che infatti non si trovarono mai, perché non esistevano. Altra guerra d’invasione, peggiore di quella russa, compiuta con Dio a fianco al mitra che guida i droni. Stessa vecchia storia.

Qualcuno dirà, sì tutto vero ma fanno il lavoro sporco per conservare la democrazia per tutti noi. Non so, ma certo da uomo bianco se vado in certi posti sono il nemico a prescindere. Se invece di utilizzare sempre il canone delle armi ci si rimboccasse le maniche per spuntare qualche compromesso forse sarebbe meglio. Ma per far ciò si dovrebbe imparare una legge della storia e dei contesti geopolitici del mondo, ovvero che non è scritto da nessuna parte che gli altri siano, debbano essere come noi. Il fatto che le direttrici della modernizzazione economica abbiano invaso altre aree del mondo, che il capitalismo sia diffuso come una metastasi nel mondo, ciò non induce per nulla a ritenere che le culture siano simili. Modernizzazione è un conto, che sia anche occidentalizzazione è una baggianata infantile. Il mondo è fatto da estremi diversi che non sopportiamo. Ma ci dobbiamo convivere, altrimenti fai l’americano che uccide tutti gli altri per instaurare il dominio dell’uno che vale più di tutti gli altri. Sì lo so, significa rimettere in discussione le traiettorie le decisioni e le strategie che lo sviluppo del capitale e lo sviluppo ed innovazione hanno prodotto in aree del mondo piuttosto che in altre. Dove poi sono arrivate novità come uguali diritti di genere (la più gigantesca opera di discriminazione che l’uomo abbia mai posto in essere, nell’abbrutire dominare schiavizzare, molto violentare, le donne), diritto di dire e manifestare dissenso, fino alle atrocità peggiori quando non interferiscano con le strutture del sistema.

Alla fin fine, quest’ultima esecuzione acquista un valore di risarcimento simbolico che la nazione americana ha voluto tributare ai suoi anonimi donne ed uomini caduti un giorno di settembre di 21 anni fa da una Torre con l’impossibile istinto di sopravvivenza negato con quel volo lanciandosi in un vuoto cosmico mortale. Sarebbe stato bello che la forza di gravità avesse arrestato la sua forza, li avesse trattenuti e sospesi il volo, ma queste cose le pensano solo i bambini, che poi purtroppo diventano adulti di un mondo dove si cade e si muore. Senza un motivo personale, solo perché inconsapevoli umani di una storia più grande di loro. Dunque i familiari delle vittime inconsapevoli, ‘l’uomo che cade’, nell’asciutto terribile racconto del raffinato Don De Lillo, potranno forse convivere con quel terrore e piangere con maggiore sollievo la fine di parenti ed amici volanti dalle Torri Gemelle in fiamme poi polverizzate da un attentato di abile e terribile precisione chirurgica. Come una nuova Pearl Harbour, si disse, ormai ventuno anni fa. Il mondo è migliore oggi? Boh, forse, no, chissà, senza alcun dubbio. Ci siamo, ci hanno tolto, un peso? Vengono così risolti e definiti premesse ed esiti di una battaglia del terrore islamico contro l’Occidente, o forse contro gli Usa? Il primo elemento da non poter omettere, dietro il plausibile momento per una vendetta attesa molti anni e compiuta ancora in territorio extra legem, poiché diverse circostanze inducono a ritenere che non vi sia mandato alcuno da parte di qualsiasi attore istituzionale sul terreno di gioco della geopolitica, Onu, Nato, consessi parlamentari disparati, perché l’America si faccia sempre carico di amministrare guerra e talora pace nel mondo. Perplessità e chiaroscuri emergono tra l’evidenza di un’azione militare e la sua esecuzione in barba a qualsiasi eventuale diritto di poter guerreggiare in territori in cui sono stranieri. Si dirà, comunque meglio così. Diverse considerazioni ci inducono a pensare il contrario oltre l’afflato emotivo-spettacolare di una simile azione che colpisce più perché pare un videogioco che per le sue opportunità. Questa legge del taglione si accompagna a diverse ombre tra cui il filo rosso che collega Al Zawahiri e Osama bin Laden agli americani. Sin dai primi anni ’80. Perché entrambi erano stati protagonisti della loro guerra con l’appoggio americano contro l’allora Unione Sovietica. Imbarcandosi in una guerra altrettanto disastrosa, ben prima del ventennale fallimento americano finito in modo indecente per pressappochismo e confusione nel ritiro dall’Afghanistan l’agosto di un anno fa. Paese, l’Afghanistan, di montagne pietre e deserti inospitali dove condurre azioni militari tra attentati vari in luoghi inospitali ben conosciuti dagli abitanti del posto è stata impresa fallimentare per le due potenze. Un luogo della Terra dove non si vedono motivi per andarci a trascorrere le vacanze, figurarsi imbarcarsi in dispendiosissime guerre contro clan tribali, per egemonizzarli e democratizzarli. Non sapendo nulla, essendo gli americani dominatori del mondo ignoranti come pochi, di culture antropologia storia. Gli ex sovietici per sottometterli. Così due potenze hanno avuto la peggio. E non poteva essere altrimenti. Di certo non conosciamo tutta la storia intercorsa tra americani e jihadismo in Afghanistan, del ruolo della Cia, come di tutti i servizi segreti, e dei sorprendenti intrecci con gruppi jihadisti in Medio Oriente (uno dei focolai centrali al mondo di conflitto, non solo israelo-palestinese). Per risalire a quelle che diverranno le prove generali dell’11 settembre. Sì perché mi trovai a tornare a New York nel 1995, poco dopo, meno di 2 anni, dal primo attentato alle Torri Gemelle. Una sorta di prova generale che poi andò proprio a buon fine per i terroristi, quasi tutti pakistani tra l’altro. era il 26 febbraio 1993 ed un furgone bomba esplose con 680 chili di esplosivo nei sotterranei del WTC, World Trade Center a Manhattan. Morirono 6 persone e ci furono 1042 feriti. Otto anni e mezzo dopo la strategia si raffinò. Non più dai sotterranei, ma la morte arrivò dal cielo.

Resta il problema di fondo. Se diciamo che siamo migliori, dobbiamo essere sempre migliori, certo con tutte le ambiguità del caso. Persino i nazisti a Norimberga ebbero un processo con difensori ed accusati, prove, testimonianze. I nemici delle democrazie sono molti, vorrebbero spazzarci via. Noi ci difendiamo, a volte attaccando. Ma se poi i metodi sono simili, allora cadono tutte le declamazioni morali su noi e loro. Guantanamo resta una macchia per cui forse nessuno ha pagato. Ma erano terroristi, poi non tutti. Per anni privati di vita ma in vita. Con torture, il famigerato waterboarding, soffocamento con cannula in gola al detenuto versandogli acqua fino a ‘quasi’ affogarlo. Uguali alle torture degli altri. Inevitabilmente umano.

Massimo Conte Schächter
Massimo Conte Schächter
PhD Sociologo, scrittore per elezione e ricercatore per vocazione, inquiete persone ancora senza eteronimi di Pessoa. Curioso migrante di mondi, tra cui Napoli, Vienna, New York. Ha percorso solo per breve tempo l’Università, così da preservarlo da mediocrità ed ipocrisie, in un agone dove fidarsi è pericoloso. Tra decine di pubblicazioni in italiano ed in lingua si segnala l’unica ricerca sociologica al mondo sull’impianto siderurgico di Bagnoli, Conte M. et alii, 1990, L’acciaio dei caschi gialli. Lavoro, conflitto, modelli culturali: il caso Italsider di Bagnoli, Franco Angeli, Milano, Pref. A. Touraine. Ha diretto con Unione Europea e Ministero Pari Opportunità le prime indagini sulle violenze contro le donne, Violenza contro le donne, (Napoli 2001); Oltre il silenzio. La voce delle donne (Caserta 2005). Ha pubblicato un’originale trilogia “Sociologia della fiducia. Il giuramento del legame sociale” (ESI, 2009); “Fiducia 2.0 Legami sociali nella modernità e postmodernità” (Giannini Editore, 2012); “Fiducia e Tradimento. In web we trust Traslochi di società dalla realtà diretta alla virtualità della network society”, (Armando Editore, 2014). Ha diretto ricerche su migrazioni globali, lavoro e diritti umani, tra cui 'Partirono bastimenti, ritornarono barconi. Napoli e la Campania tra emigrazione ed immigrazione' (Caritas Diocesana Napoli, 2013 con G. Trani), ed in particolare “Bodies That Democracy Expels. The Other and the Stranger to “Bridge and Door”. Theory of Sovereignty, Bio-Politics and Weak Areas of Global Bίos. Human or Subjective Rights?” (“Cambridge Scholar Publishing”, England 2013). Nella tragica desiderante società dello spettacolo scrive per non dubitare troppo di se stesso, fidarsi un poco più degli altri e confidare nelle sue virtuose imperfezioni. Sollecitato, ha pubblicato la raccolta di poesie Verba Mundi, Edizioni Divinafollia, Bergamo. È Vice Presidente e Direttore Scientifico dell’Associazione Onlus MUNI, Movimento Unione Nazionale Interetnica.
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