Il quartiere generale del U.S. Africa Command (AFRICOM), collocato, dal 2008, nella città tedesca di Stoccarda, verrà chiuso per ordine diretto del Presidente Donald Trump. Lo ha annunciato lo scorso venerdì il Comandante AFRICOM, il Generale Stephen J. Townsend.
La chiusura della sede AFRICOM a Stoccardaderiva dalla decisione dell’Amministrazione Trump di ritirare 12.000 soldati americani presenti in Germania, a seguito della fine del periodo di ‘tutela’ americana.
La Germania non ha gradito la decisione diTrump di ritirare le truppe americane presenti in solo tedesco. Annegret Kramp-Karrenbauer, Ministro della Difesa ha espresso rammarico per la decisione di ritirare le truppe americane. Un rammarico non dovuto a un atteggiamento di sudditanza verso gli Stati Uniti, ma a un pratico opportunismo economico.
Fino ad ora sono gli Stati Uniti che hanno supportato gli elevati costi della difesa della Germania contro il nemico russo. Con il disimpegno americano la Germania si vedrà costretto a spendere considerevoli fondi per rafforzare il proprio Esercito. Fondi che rallenteranno i progetti ‘egemonici’ sull’Europa. Non è un caso che Kramp-Karrenbauer abbia immediatamente fatto appello alla necessità di creare un esercito Europeo, che permetterebbe alla Germania di condividere i costi del riarmo con gli altri Stati membri della UE. Un Esercito europeo che, secondo alcune letture ma non secondo la posizione ufficiale di Berlino, potrebbe sostituirsi alla NATO.
«Ci vorranno diversi mesi per elaborare valide opzioni prima di avviare il ricollocamento della sede AFRICOM», avverte il generale Stephen Townsend. Secondo il Segretario della Difesa americano Mark Esper, i tempi di realizzazione del ricollocamento delle truppe americane stanziate in Germania potrebbero necessitare non di mesi ma di un paio di anni. Oltre alla AFRICOM, il Pentagono deve smobilitare la sede del EUCOM (US European Command), la sede di tre divisioni di fanteria, le sedi della difesa aerea e delle divisioni sia di artiglieria che quellecorrazzate. Per EUCOM si pensa al Belgio. Per le divisioni di fanteria, artiglieria e truppe corrazzate si pensa sia la Belgio che ad alcuni Paesi dell’est Europa, mentre parte dell’aeronautica militare sarebbe dirottata verso l’Italia.
Per l’AFRICOM la situazione è complessa. Negli ultimi 12 anni il Pentagono ha tentato di spostare il quartiere generale direttamente in Africa,trovando, però, una forte resistenza da parte dei governi africani, compresi i migliori alleati americani: Etiopia, Uganda, Rwanda o i suoi protettorati (come la Liberia). Opposizione che ha imbarazzato gli Stati Uniti fino al punto di essere costretti inventarsi una scusa per giustificare il fallimento.
Dal 2016, gli Stati Uniti, tramite l’AFRICOM, hanno deciso di offrire un valido supporto militare alle minacce che incombono sui Paesi africani (compresa quella terroristica), aderendoperò al principio di evitare la ‘militarizzazione e dell’Africa’ stabilendo la Sede operativa e inviando truppe permanenti. Una scusa inventata dall’Amministrazione Barak Obama che viene smentita dalla presenza di truppe americani i vari Paesi africani: Ciad, Nigeria, Niger, Camerun, Mali nella lotta contro il terrorismo, in collaborazione con la Francia, e nell’Africa Orientale.
La nuova sede dell’AFRICOM potrebbe essere collocata in Belgio, Italia o addirittura negli Stati Uniti.
Al momento nessuna decisione è stata presa, anche se il generale Townsend ha assicurato i vari governi africani che gli Stati Uniti non verranno meno nei loro impegni di collaborazione militare, assistenza e impegno diretto contro il terrorismo islamico e le altre minacce interne ed esterne che compromettono la pace e lo sviluppo in Africa. E qui ci si scontra tra le affermazioni di principio e i veri obiettivi strategici degli Stati Uniti.
L’AFRICOM nasce dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 alle torri gemelle, grazie all’iniziativa del Congressman William Jefferson,che individuò la protezione delle riserve di idrocarburi africane come una priorità di sicurezza nazionale per gli Stati Uniti. Le aeree di interesse geostrategico e militare individuate furono i Paesi del Golfo della Guinea –Sierra Leone, Liberia, Guinea Bissau, Guinea Equatoriale, Gabon–i Paesi dell’Africa occidentale ricchi di petrolio –Ciad, Cameroun, Nigeria, Senegal–; Repubblica Democratica del Congo, Repubblica del Congo (Brazzaville) e Repubblica del Centrafrica nell’Africa Centrale – Orientale e i Paesi produttori di petrolio dell’Africa settentrionale –Angola e Mozambico.
Per meglio assicurare la protezione degli interessi energetici americani, il Pentagono considerò vitale sia il rafforzamento della cooperazione militare con gli alleati africani di lunga data –Etiopia, Uganda e Rwanda– sia un maggior impegno americano nel Nord Africa (Libia compresa), che ha portato al rafforzamento con le due potenze regionali –Algeria, Egitto, quest’ultimo gestito non dall’AFRICOM, ma dal Comando Americano in Medio Oriente. Nell’ambito del Corno d’Africa gli Stati Uniti stanno ancora lavorando per stabilizzare la Somalia.
Ad esclusione degli alleati storici dell’Africa Orientale, di Algeria ed Egitto, gli altri Paesi africani rientranti negli interessi energetici americani hanno governi instabili, seri problemi interni, eserciti inefficaci, male armati e male addestrati.
I Paesi del Golfo della Guinea e dell’Africa Occidentali rientranti nel raggio d’azione americano, soffrono, inoltre, di conflitti (in atto o potenziali) politici, religiosi ed etnici. Crescente estremismo islamico e attività terroristiche. Pirateria (soprattutto nel Golfo della Guinea), traffico di droga e di armi leggere.
La situazione nell’Africa Occidentale e Centrale è ancora più difficile. Il Camerun è a rischio causa lo scontro che contrappone le regioni anglofone a quelle francofone. Il Ciad è vittima degli attacchi di Boko Haram e di continue ribellioni contro il regime di Idriss Déby Itno. La Repubblica Centrafricana è in guerra civile dal 2012, e ora terra di conquista per la Russia. La Repubblica Democratica del Congo è ancora in una fase critica e instabile, nonostante la politica di riforme e di stabilizzazione intrapresa dal Presidente Felix Tshisekedi. In Angola e Mozambico iniziano esserci segnali di ripresa di attività armate antigovernative e iniziano comparire movimenti terroristici islamici collegati ad Al Qaeda e al Daesh.
AFRICOM, dal 2014, ha constatato un’escalation della cooperazione militare di Russia e Cina proprio nei Paesi di interesse energetico americano. La Russia tramite il suo impegno attivo in Centrafrica e Libia e alcune basi militari, come per esempio in Guinea Equatoriale. La Cina con la creazione di un ‘Commando Militare Africano’ non dichiarato, scaturito dagli accordi FOCAC (Forum on China Africa Cooperation). Truppe cinesi (sotto bandiera dei Caschi Blu ONU o indipendenti) sono presenti a Gibuti e Sud Sudan (dove si sono assicurati il 98% delle esportazioni petrolifere).
Sia la Russia che la Cina sono diventati competitori militari ed economici degli Stati Uniti in Africa. Concorrenti tosti. Basti pensare che dal 2015 Mosca e Pechino sono stati in grado di bloccare tutti i piani americani ed europei per attuare un cambiamento di regime in Burundi o la stabilizzazione della Libia.
Il ruolo sempre più aggressivo di Mosca nel conflitto libico è fonte di preoccupazione per l’AFRICOM, che si trova scoperta a livello politico e diplomatico a causa della schizofrenica politica dell’Amministrazione Trump, che a fasi alterne appoggia il Governo di Tripoli e il generaleKhalifa Ḥaftar (appoggiato dai russi). Il rischio di una guerra per procura tra Egitto e Turchia per l’egemonia in Libia rappresenta un problema che coinvolge, oltre all’AFRICOM, anche il Comando Americano in Medio Oriente e la NATO. L’Egitto è un Paese chiave per il Comando Americano Mediorientale, mentre la Turchia fa parte della NATO. In caso di conflitto tra le due potenze, la Casa Bianca si troverà nella difficile situazione di dover scegliere tra due alleati indispensabili per il Nord Africa e il Medio Oriente.
I guai per l’AFRICOM che potrebbero venire dall’alleato egiziano non si limitano alla sola Libia. All’orizzonte vi è il rischio di una guerra regionale per le acque del Nilo: Egitto e Sudan contro Etiopia, causa la costruzione della mega–diga etiope Grande Rinascita, che diminuirà del 40% il livello del Nilo nei territori sudanesi ed egiziani (secondo le previsioni più ottimistiche). La guerra coinvolgerebbe anche Eritrea e Somalia, con il rischio che Paesi dell’Africa Orientale, quali Kenya e Uganda, appoggino militarmente l’Etiopia.
L’intransigenza e il doppiogiochismo del Primo Ministro etiope, Abiy Ahmed, e le necessità per il Governo di Addis Ababa di attivare subito la produzione di energia elettrica per venderla all’estero, ricavando valuta pregiata, e di creare nemici esterni per risolvere il conflitto politico etnico al suo interno –che ha le potenzialità di trasformarsi in guerre etniche ed indipendentiste- sono fattori che avvicinano sempre di più il rischio del primo conflitto per le risorse idriche in Africa.
Il problema è che sia l’Egitto che l’Etiopia sono alleati di primo rango per gli Stati Uniti. Il Sudan, dopo la caduta del regime islamico di Omar el-Bashir, è diventato un obiettivo strategico per la Casa Bianca, che considera la necessità di porre il fragile Governo transitorio sotto la zona di influenza americana e europea, per non consegnare il Sudan alla Cina, dopo aver perso il Sud Sudan e i suoi immensi giacimenti di petrolio a favore di Pechino.
L’Etiopia è fondamentale per la politica di contenimento dell’estremismo e terrorismo islamico nel Corno d’Africa. Senza il suo appoggio gli Stati Uniti perderebbero la battaglia in corso in Somalia per stabilizzare il Paese, rafforzare le istituzioni e sconfiggere il gruppo terroristico Al-Shabaab, ora alleato con il Daesh (ISIS). Il teatro somalo rappresenta un considerevole sforzo militare per l’AFRICOM,causa i costosissimi ma necessari raid aerei contro Al-Shabaab.
Se dovesse scoppiare il conflitto per le risorse del Nilo, qualunque scelta di alleanze politiche militari che potrebbe fare Washington (Egitto-Sudan o Etiopia) danneggerebbe gli interessi americani dal Nord Africa al Corno d’Africa.
A queste difficoltà si aggiunge una crescente ostilità espressa da vari Paesi africani contro l’AFRICOM.
Vari governi stanno ipotizzando che il mandato del Comando Americano in Africa non sia quello di assicurare la pace nel continente, ma quello di proteggere gli interessi economici e la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, mantenendo una situazione di ‘conflitti controllati e permanenti’ che giustifichi la necessità per i governi africani di cooperare con AFRICOM. Questa posizione è piùmarcata nei Paesi membri della SADC (Comunità per lo Sviluppo dell’Africa Settentrionale) che, esclusa l’Angola, hanno ufficialmente chiesto la fine della cooperazione militare con AFRICOM, sostituendola con una cooperazione militare autoctona e regionale.
L’incertezza sulla nuova sede dell’AFRICOM rafforza le critiche degli alleati europei e dei Democratici sulla scelta di disimpegno militare in Germania. Una scelta che potrebbe favorire la Russia in Europa e Russia e Cina in Africa.
Trump ha difeso il ritiro delle truppe dal suolo tedesco, affermando che costano troppo, anche causa il boicottaggio finanziario di Berlino, in fatto di contributo economico alla NATO, che dovrebbe essere pari al 2% del suo PIL.
«Gli Stati Uniti spendono un sacco di soldi per la difesa della Germania, mentre Berlino, esonerato dalle spese militari, usa questo vantaggio per rafforzare le sue industrie e renderle più competitive sul mercato internazionale a scapito delle industrie americane. Se i tedeschi vogliono che le truppe americane restino per difendere la Germania, allora devono iniziare a pagare seriamente. In caso contrario gli Stati Uniti non vogliono essere più responsabili della difesa della Germania», ha dichiarato Trum.
La difesa di Trump potrebbe sembrare logica, ma ad una attenta analisi contiene forti contraddizioni. Se il motivo del ritiro delle truppe dalla Germania è legato al mancato rispetto di Berlino agli impegni di contribuire adeguatamente al finanziamento della NATO, non si riesce a comprendere il motivo del ricollocamento di gran parte delle truppe e Comandi Strategici in Paesi come il Belgio o l’Italia, ancora più avari e morosi nel finanziamento alla NATO.
Le critiche interne stanno uscendo dal campo democratico e liberal. All’interno dei Repubblicani stanno crescendo forti critiche verso la politica estera del Presidente in Europa. «Il ritiro delle nostre truppe dalla Germania è un grave errore per gli Stati Uniti e un regalo inaspettato per la Russia. È uno schiaffo in faccia ai nostri alleati europei, che fino ad ora si sono impegnati in Europa e in altre parti del mondo a contenere la minaccia rappresentata da Russia e Cina. E’ un regalo osceno alla Russia subito dopo che sono giunte prove inconfutabili che Mosca sta fornendo armi e supportando i Talebani al fine di far uccidere un maggior numero di nostri ragazzi in Afghanistan», ha dichiarato il Senatore repubblicano Mitt Romney.
Anche l’operato dell’AFRICOM è sotto attacco. In una lettera indirizzata al Comandante AFRICOM, generale Stephen J. Townsend, lo scorso giovedì un gruppo di senatori Democratici ha chiesto di rivedere gli interventi militari in Africa, e in special modo l’uso dei droni in raid aerei in Somalia. I senatori Democratici considerano inaccettabile l’alto numero di civili somali uccisi durante questi raid che non farebbero altro che rafforzare la propaganda del terrorismo islamico e alienare la fiducia verso l’America delle popolazioni locali.
Inoltre, i raid aerei compromettono la collaborazione con le forze africane della AMISOM (Burundi, Kenya, Etiopia, Uganda), in quanto sono attuati senza nemmeno informare i partner militari che operano sul terreno. I senatori democratici esigono una immediata moratoria dell’utilizzo dei droni in Somalia, e una ridefinizione della strategia militare fino ad ora adottata dall’AFRICOM per sconfiggere definitivamente Al Shabaab e Daeshnel Corno d’Africa.