Il recente attentato all’aeroporto di Kabul aggrava ulteriormente l’impressione che il ritiro delle truppe occidentali dall’Afghanistan abbia precipitato il Paese asiatico in un caos dalle implicazioni difficilmente valutabili. Se dovesse essere confermata la rivendicazione dell’attacco da parte di IS–KP (Islamic State – Khorasan Province), lo scenario che si propone potrebbe essere, infatti, quello di una ripresa della guerra per fazioni che ha caratterizzato gli anni Novanta, resa più complessa dalla presenza di un elemento esogeno e fortemente antagonista rispetto allo scenario politico afgano come quello rappresentano dal sedicente Stato islamico. Un’eventuale evoluzione in questa direzione rafforza gli interrogativi riguardo alla bontà della scelta compiuta dall’amministrazione Biden, che da diverse settimane è al centro di pesanti critiche. Negli scorsi giorni, una riunione virtuale del G7 in cui si sarebbe dovuta valutare la possibilità di posticipare il completamento del ritiro (ora previsto per il 31 agosto) si è conclusa con un sostanziale nulla di fatto. Oggi, di fronte al rischio di una nuova escalation della violenza, il problema di cosa fare dell’Afghanistan assume una rilevanza ancora maggiore.
In un commento ‘a caldo’, il Presidente Biden ha dichiarato che gli Stati Uniti puniranno i responsabili dell’attacco, in cui sono morti, fra gli altri, almeno tredici militari americani e almeno diciotto sono rimasti feriti. Tuttavia, se da una parte l’impegno a colpire gli attentatori ‘con i nostri tempi, nel luogo e nel momento che sceglieremo’ può andare incontro all’esigenza di dare l’opinione pubblica un segnale ‘forte’ di presenza dall’altra sembra confermare l’impressione di disorientamento dell’amministrazione di fronte al rapido deterioramento della situazione sul campo. La presa di distanza delle autorità talebane da quanto accaduto è indicativa di quanto magmatico sia lo stato della sicurezza nella capitale afgana; un fattore che può spiegare la volontà – ribadita del Presidente – di portare a termine il ritiro entro la scadenza stabilita. Di contro, l’ennesima perdita di vite umane e il modo in cui essa ha avuto luogo hanno dato nuovo alimento alle polemiche riguardo alla capacità della Casa Bianca di gestire un disimpegno la cui conduzione è apparsa viziata, sin dall’inizio, da numerose pecche.
Per Joe Biden si preannunciano, quindi, giorni difficili. I vertici militari USA non hanno escluso l’eventualità di nuovi attacchi e il fatto che la sicurezza dell’area esterna all’aeroporto sia affidata alle forze telebane limita considerevolmente la possibilità di porre in essere adeguate misure preventive. Il poco tempo a disposizione rende, inoltre, difficile provvedere all’effettivo trasferimento fuori dal Paese di tutto il personale che l’amministrazione si è impegnata ad evacuare, compreso quello afgano che ha collaborato con le forze occidentali negli anni della loro presenza. La questione è già stata sollevata nelle scorse settimane e potrebbe diventare, nei mesi a venire, un altro elemento di critica dell’operato presidenziale. Anche in sede G7, quello dell’evacuazione del personale afgano si è dimostrato un punto critico e ha messo in luce le divergenze che esistono fra Washington e i partner europei, preoccupati del rischio che la chiusura delle frontiere con Iran e Pakistan e la fine del ponte aereo si traducano, sul lungo periodo, in una ripresa dei flussi di profughi in rotta verso il Vecchio continente.
L’impressione è che, comunque, l’amministrazione consideri tutto ciò un prezzo accettabile per chiudere una partita che gli Stati Uniti hanno capito da tempo di non potere vincere. Le sfide sono due: da un lato, minimizzare l’impatto elettorale degli eventi di questi giorni, dall’altro dimostrare che, con la fine della presenza sul campo, Washington non ha perso la capacità di tutelare i suoi interessi nella regione. Nell’annunciare l’avvio del ritiro dall’Afghanistan, Biden ha affermato che, nonostante questo, gli Stati Uniti mantengono una capacità operativa ‘over the horizon’ sufficiente a “tenere gli occhi ben fissi su ogni minaccia […] provenga dalla regione e, se necessario, per agire rapidamente e in modo deciso”. In questa luce, una risposta adeguata all’attentato degli scorsi giorni potrebbe tradursi, per l’amministrazione, in un importante recupero di credibilità e contribuire a fare inquadrare la vicenda del disimpegno in una prospettiva diversa. Occorre però ricordare come molte delle variabili in gioco sfuggono, oggi, al controllo della Casa Bianca e come, almeno fino al 31 agosto, le necessità del breve periodo continueranno in ogni caso a fare premio sulle valutazioni a lungo termine.