Venerdì 3 dicembre è stato un venerdì nero per il JCPOA. A Vienna, il settimo round di colloqui indiretti USA-Iran sul salvataggio dell’accordo nucleare iraniano del 2015, il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), si sono interrotti, e, dopo una riunione delle parti rimanenti dell’accordo -Iran, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania-, si è deciso che riprenderanno la prossima settimana.
I funzionari europei, riferisce ‘Reuters‘, hanno espresso ‘sgomento‘, ‘delusione e preoccupazione‘ per le richieste della nuova Amministrazione iraniana del Presidente Ebrahim Raisi. La delegazione iraniana guidata dal negoziatore nucleare Ali Bagheri Kani ha proposto modifiche radicali al testo di un accordo negoziato nelle tornate precedenti, hanno affermato i diplomatici. I funzionari europei si sono opposti alle modifiche proposte a un testo accuratamente redatto che, secondo loro, è finito al 70-80%.
«Più di cinque mesi fa, l’Iran ha interrotto i negoziati. Da allora, l’Iran ha fatto avanzare rapidamente il suo programma nucleare. Questa settimana ha fatto marcia indietro sui progressi diplomatici compiuti», hanno detto in una nota alti funzionari di Francia, Gran Bretagna e Germania, aggiungendo che l’Iran chiedeva «grandi cambiamenti» al testo.
«Non è chiaro come queste nuove lacune possano essere colmate in un lasso di tempo realistico», hanno aggiunto. Alcune delle richieste dell’Iran, secondo gli europei, sono incompatibili con i termini dell’accordo o vanno oltre all’accordo stesso, come per altro era già chiaro fin dalla vigilia.
La posizione intransigente di Bagheri Kani è cheda quando gli Stati Uniti hanno lasciato l’accordo, spetta a Washington fare la prima mossa,revocando tutte le sanzioni imposte all’Iran da allora, anche quelle non legate alle attività nucleari di Teheran. Bagheri Kani ha detto a ‘Reuters‘ che gli Stati Uniti e i suoi alleati occidentali dovrebbero offrire garanzie all’Iran che non saranno imposte nuove sanzioni in futuro.
I negoziatori occidentali considerano il ritorno all’accordo originale come linea di base, il che significa che se l’Iran vuole che vengano revocate più sanzioni di quelle menzionate nell’accordo, dovrebbe offrire di più in fatto di nucleare.
L’Iran «non farà marcia indietro» sulle sue richieste, ha dichiarato, in un’intervista esclusiva all”ANSA‘, Ali Bagheri Kani. Le proposte iraniane, ha aggiunto Bagheri Kani, sono «documentate e logiche» e pertanto possono essere usate come base per i negoziati.
Trita Parsi, Trita Parsi, Vicepresidente esecutivo del Quincy Institute, in un commento afferma: «La linea di fondo è: il round è andato come previsto. Entrambe le parti sono arrivati al tavolo dei colloqui con posizioni più dure, ed entrambe le parti hanno respinto quelle dell’altra. In questo senso, tutto è andato secondo il copione. Ciò che è importante, tuttavia, è che le parti si riuniscano nuovamente per continuare i colloqui. Questo è fondamentale. Sebbene la retorica sia stata dura da entrambe le parti, nessuna delle due ha scelto di trasformarla in una crisi senza diplomazia».
«Gli iraniani hanno prevedibilmente avanzato richieste che gli Stati Uniti hanno rifiutato. Ad esempio, Teheran vuole che tutte le sanzioni vengano revocate immediatamente, ma vogliono che la loro riduzione dell’arricchimento sia graduale e che progredisca solo nella misura in cui la riduzione delle sanzioni si dimostra efficace. Questo è stato ovviamente respinto dall’UE e dagli Stati Uniti, e dubito che Teheran ne sia sorpresa», afferma Parsi.
«La preoccupazione di Teheran sembra essere che le società dell’UE non rientrino nel mercato iraniano anche con la revoca delle sanzioni, poiché richiederanno molta più stabilità nel JCPOA prima di fare una mossa. Ciò potrebbe includere l’attesa di vedere cosa accadrà alle elezioni presidenziali statunitensi del 2024. Ciò lascerebbe l’Iran in una situazione in cui mantiene la sua fine del patto, ma non otterrà la maggior parte degli investimenti economici promessi fino al 2024, supponendo che un democratico vinca la presidenza.
Sebbene ciò contribuisca allo stallo di Vienna, indica una questione più profonda che la parte statunitense deve affrontare: le divisioni politiche e l’instabilità negli Stati Uniti hanno reso sempre più difficile per il governo degli Stati Uniti mantenere la parola data e rispettare i suoi accordi internazionali, che a sua volta ha eroso il potere contrattuale delle sanzioni.
Se la revoca delle sanzioni in pratica non fornisce all’altra parte vantaggi economici, allora la promessa di revocare le sanzioni in una negoziazione perde la sua potenza, il che, a sua volta, rende l’imposizione di sanzioni una misura che serve solo a cementare o intensificare il conflitto.
Sia Washington che Teheran dovrebbero considerare il fatto che nessuno di loro ha un piano B praticabile, nonostante la loro retorica. Se si lascia che la diplomazia fallisca perché entrambe le parti si affidano troppo agli strumenti coercitivi e all’escalation piuttosto che al compromesso e alla flessibilità, allora entrambe le parti si ritroveranno presto sulla strada della guerra».