sabato, 1 Aprile
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Accordo nucleare Iran: a caccia dell’intelligenza dell’equilibrio e dell’ambiguità strategica

Ieri 22 marzo, il Presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sissi ha ospitato il Primo Ministro israeliano Naftali Bennett e il principe ereditario di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed, nel Sinai, a Sharm el-Sheikh, in un vertice volto a per rafforzare i legami regionali in un momento globale particolarmente pericoloso.
L’incontro rappresenta il
primo vertice trilaterale in assoluto dei leader israeliani, egiziani ed emiratini.

Secondo le note rilasciate, i leader hanno discusso del conflitto in Ucraina, dell’insicurezza alimentare globale e della crisi energetica. Inoltre, i tre Stati condividono le preoccupazioni per le ambizioni nucleari dell’Iran. Secondo gli osservatori regionali questo incontro è l’ultima conseguenza in ordine di tempo degli Accordi di Abraham mediati dall’ex Presidente Donald Trump, nel 2020, che hanno visto Israele normalizzare i rapporti diplomatici con Bahrain, Marocco e Emirati Arabi Uniti.
L’Egitto, il più grande importatore mondiale di grano, sta risentendo della scarsità di cibo e dell’aumento dei prezzi a causa della guerra, e Israele ha espresso la disponibilità a intervenire in supporto.
Molto probabilmente
l’incontro è servito anche per concordare una posizione comune nei negoziati in corso a Vienna sul programma nucleare iraniano.

Gerusalemme si oppone al ritorno congiunto USA-Iran all’accordo ufficialmente noto come Piano d’azione globale congiunto, Il Cairo e Abu Dhabi sono invece tendenzialmente favorevoli. Secondo gli osservatori, Bennett avrebbe utilizzato il vertice per raccogliere il sostegno dell’Egitto e degli Emirati Arabi Uniti alla sua campagna pubblica contro i piani statunitensi sull’accordo e per far riconoscere come gruppo terroristico il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamichedell’Iran. Nulla sull’esito dei colloqui su questo tema è trapelato. Per altro, ‘Times of Israel’ ha reso noto di aver parlato con un funzionario americano, il quale ha riferito che gli Stati Uniti sono «preparati a prendere decisioni difficili per riportare il programma nucleare iraniano ai limiti del JCPOA», non negando, però, che la cancellazione dell’accordo è potenzialmente sul tavolo.
E’ la nuova frenata che si sta registrando in queste ore a Vienna.

Solo una settimana fa, afferma ‘AFP‘, ricostruendo gli ultimi passaggi di questa tortuosa trattativa, «i funzionari di Washington speravano che un accordo che mirasse a fermare la marcia dell’Iran verso la capacità delle armi nucleari, dopo quasi un anno di negoziati, fosse a portata di mano». E ciòdopo una prima frenata nei primi giorni di guerra in Ucraina causata dalle pressioni di Mosca su Teheran.

Il Ministro degli Esteri russo, infatti, Sergei Lavrov, aveva infatti chiesto agli Stati Uniti di fornire alla Russiagaranzie scritteche le sanzioni guidate dall’Occidente non avrebbero interferito con il commercio e gli investimenti russi con l’Iran. Il 15 marzo, il Ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amirabdollahian, si è recato a Mosca per incontrare Lavrov. Amirabdollahian conclude il viaggio dichiarando che «la Russia non sarà alcun tipo di ostacolo al raggiungimento di un accordo». E a quel punto sembrava che le posizioni tra Stati Uniti e Iran non fossero divergenti.
«Siamo vicini a un possibile accordo, ma non siamo ancora arrivati», aveva detto il 16 marzo il portavoce del Dipartimento di Stato, Ned Price. «Pensiamo che le questioni rimanenti possano essere superate». I funzionari statunitensi avevano detto di ritenere che Teheran avrebbe raggiunto un accordo dopo la celebrazione, domenica, del Nowruz, il capodanno persiano.
Il 17 marzo, i toni sono già cambiati. «Voglio essere chiaro che un accordo non è né imminente, né certo», ha dichiarato Price il 21 marzo. Il giorno dopo, ricostruisce ‘AFP‘, «pur rifiutandosi di dire che i colloqui avevano raggiunto un punto morto, Price ha affermato che gli Stati Uniti avevano piani di emergenza se non fosse stato possibile raggiungere un accordo e i presunti piani dell’Iran di sviluppare armi nucleari non fossero stati fermati. “Spetta a Teheran prendere decisioni che potrebbe considerare difficili”, ha detto Price ai giornalisti».
Per quanto riguarda l’Iran, si ritiene che le richieste alle quali non ha ancora avuto risposta soddisfacente siano «una garanzia di protezione nel caso gli Stati Uniti si ritirano nuovamente dall’accordo e la rimozione della designazione ufficiale di Washington ‘Organizzazione terroristica straniera’ del Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche (IRGC) . “Stiamo ancora affrontando una serie di problemi difficili”, ha affermato Price, senza confermare quali fossero i punti specifici non concordati e lasciando intendere che Washington non si è arresa, potrebbe fare concessioni ‘difficili’, pur di riattivare l’accordo.

Ieri ‘Politicoriferiva che «i democratici iniziano a mettere in discussione i colloqui sul nucleare. Alcuni nel partito del Presidente Biden si uniscono ai critici del GOP nel sollevare dubbi sul suo percorso verso il raggiungimento di una promessa elettorale poco riconosciuta». In quello che viene definito lo ‘scetticismo bipartisan‘ che sta emergendo a Capitol Hill, preoccupa in particolare il ritiro delle sanzioni in discussione e il livello di capacità di produzione di materiale sufficiente per un’arma nucleare raggiunta dall’Iran.
Sempre ieri, ‘
The New York Times‘, attraverso uno dei suoi editorialisti di punta, Bret L. Stephens, ha sostenuto il temporeggiamento. Scrive Stephens: «Un anno fa, la risposta sembrava ragionevolmente chiara all’Amministrazione: Teheran aveva risposto alla decisione di Donald Trump di abbandonare l’accordo originale del 2015 – noto come Joint Comprehensive Plan of Action, o JCPOA – arricchendo l’uranio a livelli sempre più elevati di purezza, avvicinandola sempre più a una bomba nucleare, o almeno la capacità di costruirne una rapidamente. Salvo un nuovo accordo che ponesse limiti all’arricchimento, l’Iran sembrava destinato a tagliare il traguardo del nucleare prima piuttosto che poi. Da qui l’urgenza di un accordo.
Ma oggi viviamo in un mondo diverso. È un mondo in cui Russia e Cina, parti sia del JCPOA che dei negoziati in corso, non sono assolutamente i nostri sostenitori, e un mondo in cui Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti non risponderebbero alle telefonate di Joe Biden nel mezzo della più grande crisi geopolitica del XXI secolo. Forse l’Amministrazione ha bisogno di riflettere un po’ più attentamente sulle implicazioni più ampie di un nuovo accordo prima di firmare di nuovo».

Esfandyar Batmanghelidj, visiting fellow con il programma Medio Oriente e Nord Africa presso il European Council on Foreign Relations, nonchèfondatore e CEO della Bourse & Bazaar Foundation, un think tank incentrato sulla diplomazia economica, lo sviluppo economico e la giustizia economica in Medio Oriente e Asia centrale, delinea il quadro di questo ‘mondo diverso’ e le sue carenze.

Afferma Batmanghelidj: «Il mondo è cambiato radicalmente da quando l’accordo nucleare è stato concordato per la prima volta, nel luglio 2015. Mentre l’invasione russa dell’Ucraina ha provocato un terremoto nell’ordine globale, le placche tettoniche si sono spostate per anni. Tra il 2016 e il 2018, gli sforzi per attuare il PACG sono stati complicati dalla preoccupazione che l’accordo non riflettesse una nuova realtà geopolitica. Il governo Rouhani è stato descritto come ingenuo dai suoi rivali politici interni, i quali ritenevano che il perseguimento degli investimenti occidentali fosse un anacronismo in un mondo che presto sarebbe stato dominato da Cina e Russia.

In vista del ritiro degli Stati Uniti dall’accordo nucleare nel 2018, l’Amministrazione Trump ha ignorato le richieste dei funzionari europei di continuare a far parte del JCPOA. Quando gli Stati Uniti alla fine si sono ritirati e hanno reimpostato le sanzioni secondarie legate all’accordo, alle restanti parti del PACG è stato ricordato come la loro sovranità economica fosse circoscritta all’interno di un sistema finanziario globale dominato dal dollaro USA. La pandemia di Covid-19 ha poi rivelato i costi umanitari dell’isolamento economico dell’Iran, poiché il Paese ha lottato per assicurarsi beni medici e aiuti.

In questo contesto, la diplomazia nucleare tra le potenze mondiali e l’Iran è spesso apparsa disconnessa da altri aspetti della geopolitica. All’interno di molti ministeri degli esteri, la pianificazione politica è passata in secondo piano rispetto alla non proliferazione quando si trattava di definire gli obiettivi della diplomazia con l’Iran».

Uno dei tratti distintivi dei negoziati sul nucleare iraniano è stata una straordinaria capacità di compartimentalizzazione da parte di tutte le parti, afferma Esfandyar Batmanghelidj. «I negoziati sono stati di portata limitataincentrati sulle attività nucleari dell’Iran– e isolati il più possibile da eventi importanti come elezioni, omicidi, atti di sabotaggio e invasioni. Questa compartimentazione è una ragione fondamentale per cui i colloqui hanno raggiunto uno stadio avanzato nonostante i numerosi tentativi deliberati di farli deragliare». Ma la compartimentazione ha i suoi limiti. Ciò, infatti, ha comportato che «le grandi domande sul ruolo dell’Iran nell’ordine globale sono rimaste senza risposta per troppo tempo».

Le critiche più comuni al JCPOA riguardano gli aspetti dell’accordo che consentono tale compartimentazione. In definitiva, l’accordo nucleare si basa su un quid pro quo ristretto: l’Iran si attiene a severi limiti al suo programma nucleare civile e la comunità internazionale toglie sanzioni. I funzionari iraniani insistono sul fatto che il ripristino dell’accordo sul nucleare è coerente con una politica estera in equilibrio tra l’Occidente e i suoi rivali geopolitici. Il Presidente iraniano Ebrahim Raisi, che molti si aspettavano abbracciasse Russia e Cina dopo la sua elezione, ha sottolineato l’importanza del bilanciamento in un recente discorso, sostenendo che “alcune persone ci accusano di guardare unidimensionalmente a est e affermano che, mentre in passato [l’Iran] guardava verso ovest, oggi il governo guarda a est. Questo non è vero. E il governo cerca di sviluppare relazioni con tutti i Paesi per creare un equilibrio nella politica estera del Paese”. Ma è questa ambivalenza strategica nel PACG che irrita molti politici occidentali».

Il senatore democratico USA Robert Menendez ha recentemente criticato la portata limitata dell’accordo, prosegue Batmanghelidj, «osservando che, se l’Iran fosse disposto a fare maggiori concessioni per fermare l’arricchimento dell’uranio, distruggere le infrastrutture nucleari e limitare seriamente il suo programma di missili balistici, gli Stati Uniti e la comunità internazionale dovrebbero prendere in considerazione la revoca di una portata più ampia delle sanzioni, includendo potenzialmente alcune sanzioni primarie”. Se Menendez stesse suggerendo sinceramente che Washington potrebbe revocare le sanzioni primarie contro l’Iran a determinate condizioni, ciò potrebbe indicare la volontà di alcuni leader occidentali di stringere un accordo diplomatico che porti il Paese nell’orbita dell’Occidente».

«Un’interpretazione delle buffonate di Lavrov sull’accordo nucleare è che i politici di Mosca sono anche turbati dall’idea che l’Iran continui a bilanciare le sue relazioni internazionali mentre la Russia diventa sempre più isolata. La Russiapotrebbe aver fatto marcia indietro sulle sue richieste perché ha rischiato troppo facendo deragliare i negoziati sul nucleare».
Le conseguenze dell’innesco di una nuova crisi di sicurezza in Medio Oriente
«avrebbe complicato le sue relazioni con Israele, Emirati Arabi Uniti,Qatar e Arabia Saudita, Paesi il cui allineamento con l’Occidente è motivato in parte dalla necessità di rispondere alle minacce alla sicurezza provenienti dall’Iran. Sebbene la Russia desideri attirare l’Iran nella sua sfera di influenza, sa che beneficia dell’ambiguità strategica delle altre potenze mediorientali. Come ha sostenuto in modo convincente la mia collega Cinzia Bianco, per gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita, “l’ambiguità sull’Ucraina riguarda più le loro relazioni con gli Stati Uniti che i loro interessi in Russia”. Anche la Cina ha deliberatamente mantenuto una posizione ambigua sulla guerra in Ucraina».

La conclusione della trattativa a questo punto è in forse. Ma se il JCPOA viene ripristinato, conclude Esfandyar Batmanghelidj, «i responsabili politici americani ed europei dovranno pensare oltre la non proliferazione per elaborare una politica iraniana che tenga conto delle prospettive strategiche del Paese. La positiva conclusione dei negoziati sul nucleare sarebbe un segnale forte che gli interessi a lungo termine dell’Iran risiedono in una politica estera equilibrata, soprattutto visti i cambiamenti sismici nell’ordine globale. Dato che anche altre potenze mediorientali stanno optando per l’equilibrio e l’ambiguità in un momento di incertezza, ci sono nuove opportunità per affrontare problemi di sicurezza di vecchia data da tutte le parti. La recente ripresa della diplomazia nel Golfo ne è un esempio.

I politici occidentali sono in una buona posizione per cogliere queste opportunità grazie all’improvviso rinnovamento dell’alleanza transatlantica, che è evidente nel loro impressionante coordinamento per imporre sanzioni alla Russia. Ma questa unità è in parte motivata da una mentalità ‘noi-contro-loro’ che creerà disagio tra i leader in Medio Oriente che sono riluttanti a scegliere da che parte stare.
Amirabdollahian si è recato a Mosca per creare spazio affinché l’Iran mantenga la propria ambiguità strategica. Mentre i politici occidentali fanno il punto su questo momento di crisi, dovrebbero tenere conto del bilanciamento iraniano. Per fare ciò, devono pensare oltre la questione nucleare e prepararsi a rispondere alle grandi domande che hanno ignorato a lungo per il bene dell’accordo nucleare».

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