Se si va avanti con questa drammatica cadenza, si arriverà facilmente a cento; e il 2022 sarà ricordato come l’annus horribilis del carcere. Nel momento in cui si scrive si è già toccato quasi 80 suicidi ufficiali in cella dal 1 gennaio. L’aspetto più inquietante consiste nel fatto che a togliersi la vita spesso sono persone che si trovano in carcere in attesa di sentenza: non sono condannati definitivamente; si tratta di persone che tecnicamente sono innocenti, e tali potrebbero essere riconosciuti, dopo il processo. Molti di loro inoltre sono imputati per reati che comportano pene di lieve entità, e potrebbero facilmente usufruire delle previste misure alternative alla detenzione. Non sono inoltre disponibili dati relativi ai tentati suicidi, ma si calcola che ce ne siamo almeno un paio la settimana, sventati dall’intervento degli agenti della polizia penitenziaria. Stesso discorso per gli atti di autolesionismo.
La questione è stata oggetto di un interessante confronto e riflessione nell’ambito del ventitreesimo congresso nazionale della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria (Simspe). Tra i maggiori problemi evidenziati la grave carenza di personale sanitario e di formazione specifica, le difficoltà operative per il personale infermieristico, l’assenza di un reale coordinamento tra le regioni; il tutto si traduce in un’assistenza sanitaria segnata da gravi criticità: “Gli ultimi dati sui suicidi nelle carceri e le tensioni emerse rappresentano solo la punta di un iceberg che è costituito anche dai limiti cronici della sanità penitenziaria”, si legge nel documento finale.
Problema nel più generale problema, la pandemia da Covid. “Il Covid ha colpito la medicina penitenziaria non solo per il numero di contagi e le complesse attività di prevenzione e vaccinazione, ma per l’effetto dirompente della pandemia su tutto l’assetto sanitario nazionale e in particolare sulla medicina territoriale di cui la sanità penitenziaria fa parte” spiega Luciano Lucanìa, presidente Simspe. “Il passaggio delle competenze dal dicastero della Giustizia al Ssn, avvenuto nel 2008 in modo disordinato, ha provocato una frammentazione tra i servizi che le diverse regioni sono in grado di erogare. A questo si aggiunge il complesso problema emerso dopo la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari nel 2015: i soggetti in misura di sicurezza avrebbero dovuto confluire nelle neo istituite Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), ma proprio le carceri ancora ospitano detenuti in attesa di Rems o altra sistemazione residenziale. Queste condizioni incidono non solo sui servizi, ma anche sulla disponibilità dei medici ad accettare di lavorare in un sistema che in questo momento presenta gravissime criticità”.
La pandemia ha sottratto energie e risorse alle attività nelle carceri. Sergio Babudieri, Direttore Scientifico Simspe pone l’accento sul fatto che “il personale sanitario che opera nelle carceri non è fisso e le altre opportunità emerse hanno ulteriormente depauperato questa categoria. In questi anni abbiamo realizzato importanti risultati: i dati raccolti sull’Epatite C hanno permesso di eliminare il virus nella popolazione carceraria di diversi penitenziari, gli screening per l’HIV hanno consentito di avviare i relativi trattamenti. Gli stessi detenuti si sono rivelati collaborativi, a seguito delle attività informative che gli hanno permesso di comprendere il contributo che si offriva a tutela della loro salute. La pandemia ha interrotto questo processo virtuoso e dopo il lungo stop dovremo ripartire con processi di screening, informazione e formazione”.
Per tornare ai suicidi: “un numero impressionante, senza paragoni in epoca recente”, nota Lucanìa. “Questo dato deve farci riflettere, ma ancora più rilevanti sono i dati che abbiamo in modo parziale o che non possiamo reperire. Bisognerebbe saperequanti siano i detenuti che hanno tentato il suicidio senza riuscirci. O anche le statistiche su italiani e stranieri, su coloro che sono in custodia cautelare e quanti in espiazione di pena, le condizioni nelle quali si vive in carcere, tra sovraffollamento, promiscuità, con sentimenti di disperazione e frustrazione. In queste condizioni non è semplice identificare chi abbia realmente una malattia mentale che può portare al suicidio. Queste lacune non si colmano con la burocrazia, ma con un’azione di sistema, dove Simspe e il personale sanitario possono partecipare, anche se componente minoritaria: affinché il supporto scientifico sia concreto, è necessario che gli istituti siano sicuri per il personale sanitario e dotati delle risorse necessarie. Serve una nuova cultura del carcere, basata su una visione che consenta al detenuto di vivere l’esperienza in maniera corretta”.
‘Fermiamo la strage dei suicidi in carcere’ così comincia un appello, primi firmatari Roberto Saviano, Gherardo Colombo, Luigi Manconi, Giovanni Fiandaca, Massimo Cacciari, Fiammetta Borsellino, Ascanio Celestini, Mimmo Lucano e decine di altre personalità. Un appello per scuotere il mondo della politica, indifferente e sorda: “Sorda perché sul carcere e sulla pelle dei reclusi si gioca una partita tutta ideologica che non tiene in nessun conto chi vive ‘dentro’, oltre quel muro che divide i ‘buoni’ dai ‘cattivi’”.
Nell’appello vengono indicati alcuni punti:
– Aumentare le telefonate per i detenuti. Bisognerebbe consentire ai detenuti di chiamare tutti i giorni, o quando ne hanno desiderio, i propri cari. (oggi ogni detenuto (tranne quelli che non possono comunicare con l’esterno) ha diritto a una sola telefonata a settimana, per un massimo di dieci minuti.
– Alzare a 75 giorni i 45 previsti a semestre per la liberazione anticipata.
– Creare spazi da dedicare ai familiari che vogliono essere in contatto con i propri cari reclusi per valorizzare l’affettività.
– Aumentare il personale per la salute psicofisica. In quasi tutti gli istituti vi è una grave carenza di psichiatri e psicologi.
– Attuare al più presto, con la prospettiva di seguire il solco delle misure alternative, quella parte della riforma Cartabia che contempla la valorizzazione della giustizia riparativa e nel contempo rivitalizza le sanzioni sostitutive delle pene detentive.
Nulla di particolarmente rivoluzionario o eversivo; richieste che sono in linea con quanto prescritto dalla Costituzione, che tutti sono tenuti ad osservare, che il Governo ha giurato di difendere e onorare, che i parlamentari devono avere come punto di riferimento e stella polare. Solo il primo passo per contenere il massacro di vite e di diritto.